AVVENTO - 3a Settimana, Domenica (Anno A)
Dalla sua prigione, Giovanni Battista manda dei messaggeri per chiedere informazioni su Gesù. Il dubbio ha preso piede. In precedenza, nel Vangelo di Matteo, ci viene detto che Giovanni sa esattamente chi è Gesù: è colui che viene dopo di lui, che egli non è degno di battezzare. Forse che ora si sta tirando indietro? La risposta di Gesù può sembrare crudele, soprattutto nel caso in cui Giovanni stia attraversando un momento di dubbio. Gesù gli dice che sta compiendo tutte le
opere potenti predette sul Messia. Tranne una. I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, ai poveri è annunciata la buona novella e anche i morti risuscitano. Allora, quale opera viene tralasciata? 'Il Signore libera i prigionieri’, come leggiamo nel salmo di oggi. Il Messia libererà anche i prigionieri dal carcere (Isaia 42,7; 49,9; 61,1). Presumibilmente, questa è l'opera messianica in cui Giovanni ha l'interesse personale più immediato mentre languisce nel carcere di Erode, ed è strano che qui venga omessa.
Vi è una forte tendenza, che risale ai primi tempi del cristianesimo, di vedere Giovanni Battista e Gesù come avversari piuttosto che come partners in un compito comune. È una tendenza cui è difficile resistere e può trarre in inganno in maniera significativa. Vederli come collaboratori in un progetto comune ci aiuta a capire che cosa stia accadendo qui: stanno imparando insieme il modo in cui comportarsi, e cosa questo modo potrebbe significare per ciascuno di loro. Solo poco tempo dopo, Gesù stesso si trova in una situazione analoga (Si tira indietro? Un momento di dubbio?) quando cade a
terra nell’orto. Le sue mani sono stanche e le ginocchia tremanti. A questo punto della sua storia, il Battista è già morto e Gesù non ha nessuno da chiamare, nessuno a cui chiedere il senso di ciò che sta accadendo, se non il
Padre. E prega, 'questo calice passi da me'.
Celebriamo Giovanni Battista come colui che preparò la strada. Riflettendo sulla sua prigionia e la sua morte, notiamo che egli preparò la strada non solo nel senso di presentare Gesù e poi sparire dalla scena. Ha percorso la via prima di Gesù e, in questo senso, l’ha preparata. Essi annunciano lo stesso messaggio, 'Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino' (Matteo 3: 2; 4,17). Incontrano la stessa sorte, un giudizio ingiusto e una crudele esecuzione. E l'arresto di Giovanni - tutti i vangeli testimoniano questo - è il segnale che è giunto il momento, per Gesù, di prendere l'iniziativa. Inizia una nuova e ultima fase del suo ministero pubblico.
È fin troppo facile mettere Giovanni Battista e Gesù in opposizione l'uno all'altro. Le nostre menti, che amano 'dualizzare', lo fanno molto velocemente. Giovanni parla di paura e minacce, di un Dio da temere, e Gesù parla di misericordia e consolazione, di un Dio da amare. Non è forse così? No, non è così. Visto che la missione di ognuno dei due è parte di un unico, complesso momento, essi appartengono, insieme, alla visita definitiva di Dio per il giudizio di questo
mondo.
Questo è il messaggio realizzato e insegnato dal Battista e da Gesù. La salvezza non avviene per essere distolti dall’esperienza umana - noi non siamo salvati dall’essere persone - ma piuttosto avviene attraverso l'esperienza umana - è Dio che, secondo un termine gradito da alcuni teologi, è 'humanissimus', umanissimo, e ha mandato il Figlio per renderci persino più umani.
Ciò che viene promesso non è un leggero, magico cambiamento, una sorta di rimpiazzo. Ciò che ci si promette è un fortificarci in quello che succede, un perfezionarci nel fuoco del giudizio e dell’amore, una nuova, consolidata forza per la quale i nostri cuori di pietra si abituino ad essere così che l'esperienza umana, pur rimanendo umana, si trasformi radicalmente. Proprio come il coraggio non elimina la paura, ma ci permette di agire a dispetto della paura, così anche la
fede, la speranza e l'amore non sostituiscono l'esperienza umana, ma ci consentono di credere, di sperare e di amare Dio dal di dentro di questa esperienza umana, persino attraverso la morte.
Noi crediamo in Gesù e non in Giovanni. Ma Giovanni è sempre colui che ci indica questa direzione, ci presenta Gesù e il suo messaggio. Lo fa non solo con il dito, ma con la sua predicazione. Lo fa non solo con le sue parole e il suo strano modo di vivere, ma con la sua passione e morte che prefigurano la passione e la morte salvifica di Colui che egli ha servito.
Potrebbe sembrare una riflessione cupa per la Domenica Gaudete. Ma la gioia che ci viene promessa non è superficiale o poco profonda. È una gioia che nasce laddove giustizia e amore si sposano insieme e hanno sopraffatto il buio più profondo e il male più grande. Si tratta, quindi, di una gioia che è profonda e duratura. Una gioia piena e completa.
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