Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 18 dicembre 2016

IL SEGNO ORDINARIO DELLA PRESENZA STRAORDINARIA

AVVENTO - 4a Settimana, Domenica (Anno A)


Se si tratta di attirare l'attenzione, un segno dovrebbe essere eccezionale, sorprendente, diverso, drammatico. Eppure il segno che ci viene offerto nel periodo natalizio è così ordinario! Una giovane donna dà alla luce il suo primo figlio. Il nome del bambino potrebbe sembrare un indizio importante: Emmanuel, Dio-è-con-noi. Eppure anche noi chiamiamo i nostri figli Giovanni, amato-di-Dio, o Domenico, uomo-di-Dio.

È quando la vita di Gesù si legge col senno di poi che la natura straordinaria di questo segno ordinario diventa chiara agli occhi di tutti coloro che credono. Sono stati gli eventi alla fine del percorso terreno di Gesù che hanno rivelato il mistero nascosto, fin dall'inizio, nella sua persona. Fu allora che le storie della sua concezione e della sua nascita vennero raccolte. Fu allora che il modo in cui egli aveva compiuto le profezie del Vecchio Testamento divenne chiaro. Fu allora che il prodigio della sua nascita venne riconosciuto.

San Paolo, nella Lettera ai Romani, espresse già la fede cristiana fondamentale in quella che fu poi chiamata “Incarnazione”. In Gesù Cristo due realtà - la natura increata di Dio e la natura creata del genere umano – si unirono in modo misterioso, unico. Era un essere umano, un discendente del Re Davide, un membro della razza ebraica. Questo è ciò che egli fu 'secondo la natura umana'. Fu anche proclamato, 'nell'ordine dello spirito di santità', Figlio di Dio per la sua risurrezione dai morti.

Dio era stato con il popolo di Israele per secoli: nelle loro gioie e nei loro dolori, nella loro fedeltà e nelle incongruenze, consolandoli e sfidandoli. Ma i Giudei, che erano i primi discepoli di Gesù, ci insegnano come egli fosse, per loro, una presenza unica di Dio in mezzo a loro. Egli è il compimento delle promesse dell'Antico Testamento, dice Matteo. La sua concezione stessa era fuori dal comune, unica. Avrebbe salvato il suo popolo dai suoi peccati, dice ancora Matteo. Attraverso di lui noi riceviamo la grazia e predichiamo in onore del suo nome, chiamando le genti ad appartenere a Gesù Cristo, dice Paolo.

Ripensando allo splendore della Pasqua e di Pentecoste, il massimo prodigio della venuta di Dio nella nascita di Gesù Cristo è il fatto di essere visto. Com'è straordinaria questa presenza ordinaria di Dio con noi! Egli è il Signore e sua è la terra e quanto contiene. Egli è colui che ha fondato la terra sui mari e l’ha stabilita sulle acque. Che strano che egli possa essere con noi nell'impotenza di un bambino! Com'è misterioso che sia stato presente nella vulnerabilità che ha accompagnato la fragile vita dei suoi genitori umani, Maria e Giuseppe!

La cosa più straordinaria di questa presenza di Dio è proprio come essa sia ordinaria. Qui non c'è violenza per l'umanità, nessun assalto ai nostri sensi, non il rifiuto di ciò che è ordinario, carnale, profano e umano. Tutta la carne, tutto il tempo, tutto lo spazio, tutti gli esseri umani, la lotta, la fatica, ogni atto di amare, i pianti e le risate, tutto è santificato, benedetto e reso luminoso da questa incarnazione di Dio. Si è nascosto nel cuore dell'uomo, rendendo santa la nostra vita ordinaria. Così le parole di un poeta contemporaneo, che parla dell'Eucaristia: 'Noi spezziamo questo pane ordinario come qualcosa di sacro'. Allo stesso modo, accogliamo questa persona comune come qualcuno di santo. Santo della santità di Dio.

Potrebbe essere che la presenza nascosta di Dio nell'ordinario e nel povero, nel fragile e nel vulnerabile, nella mancanza di potere e di semplicità, ci sfuggirebbe inevitabilmente se non fosse per questa rivelazione di Dio nella carne umana che celebriamo a Natale?

martedì 13 dicembre 2016

TROVARE LA PROPRIA IDENTITÀ NELLA RELAZIONE

AVVENTO - 3a Settimana, Martedì


'Qualche volta devo passare di qua.' 'È bello che ci siamo incontrati di nuovo, dobbiamo tenerci in contatto'. 'È un peccato che ci incontriamo solo ai funerali'. Così di frequente ci capita di fare promesse che non manteniamo! Le nostre intenzioni, spesso, superano il nostro tempo e la nostra energia. E la strada per l'inferno, si dice, è lastricata di buone intenzioni. Di tutte quelle cose che diciamo che faremo ma che mai, effettivamente, troviamo il tempo di fare ...

Nel vangelo di oggi, Gesù parla di due figli. Un figlio ha accettato di fare ciò che suo padre ha chiesto, ha cambiato idea, e non è riuscito a farlo. L'altro ha rifiutato di fare ciò che suo padre ha chiesto, ha cambiato idea, e lo ha fatto. Quale dei due ha fatto la volontà del Padre?

Il senso è abbastanza chiaro. Quelli ai quali è dato di conoscere, in un primo tempo, la volontà di Dio, e che accettano di vivere secondo le sue esigenze, potrebbero non riuscire ad essere fedeli alla loro parola. Altri che in un primo momento sembrano non badare alla volontà di Dio, 'alla fine', o 'in fondo in fondo', possono effettivamente compiere la volontà di Dio nella loro vita.

Vi è, naturalmente, la possibilità di un terzo figlio, quello che dice che farà ciò che suo padre chiede e che effettivamente lo fa. Gesù stesso è, chiaramente, questo figlio. Anche se non parla di se stesso in questa parabola, tutto l'insegnamento del Nuovo Testamento circa il rapporto tra Gesù e il Padre testimonia questa unità nella sua opera.

Tra Gesù e Dio Padre prevale un’unica e straordinaria unità. Uniti nella convinzione e nell'amore, con un obiettivo comune e un pensiero comune, non vi è concorrenza tra di loro. Ognuno nasconde se stesso, per così dire, in quanto il Padre è 'tutto per il Figlio' e il Figlio è 'tutto per il Padre'. Trovano la loro identità nella relazione reciproca. Il successo del Figlio è la gloria del Padre e l'opera del Figlio - il suo cibo - è fare la volontà del Padre.

Il giardino del Getsemani e la collina del Calvario ci ricordano la lotta umana che questa unità di padre e figlio ha domandato. Ci sono forze che potrebbero impedire il successo dell’amore, forze che tirano verso il basso, strappano, interferiscono. 'Dio mio, perché mi hai abbandonato?' e 'Padre, nelle tue mani affido il mio spirito', sono due facce di un’unica, misteriosa medaglia. L'amore eterno del Padre e del Figlio si dipana davanti ai nostri occhi nel percorso umano di Gesù Cristo, il Verbo del Padre fatto carne.

La fede cristiana chiama Gesù 'Figlio' e lo chiama 'Parola'. Il Figlio è l'immagine del Padre, trae la sua vita dal Padre, trae la sua conoscenza dal Padre. La Parola è l'espressione del Padre, di tutto ciò che è nel Padre - la sua saggezza, l'intenzione e il piano. Queste relazioni eterne vengono rese note a noi attraverso la vita, l'opera, l'insegnamento e la morte di Gesù.

Il terzo membro è 'lo Spirito', nel quale l’opera di Padre e Figlio viene portata a compimento e nel quale siamo portati dentro la rete di relazioni che è la Santissima Trinità, per diventare membri della famiglia di Dio, figlie e figli dell'unico Padre, sorelle e fratelli di Gesù.

Essere fedeli alla parola di qualcuno è una cosa pratica e ammirevole nelle vicende umane. La relazione tra Gesù e il Padre ci insegna che Dio è fedele alla sua parola. Egli è fedele allo scopo originario del suo amore. Chiama tutti a condividere la vita in Cristo, nell'amore del Padre e nello Spirito di tenerezza.

Per noi diventare uniti nelle nostre convinzioni e nel nostro amore, vivere con uno scopo comune e un pensiero comune, è già 'diventare come Dio' e vivere, come ha fatto Gesù, come una figlia o un figlio di Dio.

lunedì 12 dicembre 2016

DIO PUÒ USARE CHIUNQUE COME STRUMENTO PER COMUNICARE LA SUA SAGGEZZA

AVVENTO - 3a Settimana, Lunedì


Una delle cose più sorprendenti nella Cappella Sistina è la presenza delle Sibille tra i profeti dell'Antico Testamento. A una certa altezza nella cappella, in alternanza con le figure dalla lunga barba di Isaia, Geremia e degli altri, troviamo le Sibille della Libia, di Delfi e così via. Sono le profetesse visionarie pagane associate a diversi santuari del mondo antico. Si tratta di un’espressione, nell'architettura e nell'arte, di una particolare comprensione della rivelazione di Dio, che è in modo unico data agli Ebrei e, attraverso di loro, al mondo, ma che non è priva di testimoni anche in tutte le culture e civiltà. Le parole delle Sibille sono considerate anche come 'messianiche', ad esempio i poemi di Virgilio, testi in cui si trovano suggerimenti, indizi e premonizioni dell'Incarnazione del Verbo. Tali scintille di rivelazione devono essere trovate ovunque gli esseri umani entrino profondamente nella ricerca della saggezza.

Balaam, un profeta di Moab, i cui oracoli ascoltiamo nella prima lettura di oggi, è posizionato, nella Cappella Sistina, tra le profetesse pagane e il più grande dei profeti, Giovanni Battista. È un 'pagano' che sembra essere in grado, tuttavia, di parlare in nome del Signore. Il Battista è chiaramente, intimamente coinvolto nella predicazione e nell'opera di Gesù. Le profetesse e i profeti pagani, anche se da una grande distanza, sono in qualche modo coinvolti nell’opera di Cristo. Balaam serviva il suo padrone Balak, re di Moab. Minacciato dagli ebrei invasori, Balak chiese a Balaam di dirgli quello che egli vedeva riguardo questo popolo. Anche se è un moabita, sembra che Balaam abbia creduto nel Signore, il Dio d'Israele. Perlomeno, egli ha accesso al pensiero di Dio riguardo il destino del Suo popolo.

Così noi riceviamo questi bei poemi con qualche immagine familiare dell’Avvento - 'il re di Giacobbe sarà più grande e il suo regno sarà esaltato' - e ciò che possiamo ascoltare ora come una profezia di Colui che deve venire - 'Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele '. Come tutti i profeti, Balaam dice più di quanto non si renda conto di dire. Nella prospettiva di Dio, il profeta in realtà non sa di che cosa sta parlando. Dal nostro punto di vista, questo antico veggente pagano diventa un poeta dell'Incarnazione.

Che cosa significa questo per il nostro insegnamento e la nostra predicazione? Chiaramente ci sono stabiliti e autorevoli canali lungo i quali la predicazione del Vangelo ha luogo e dove ci aspettiamo di trovarlo. Ma ci sono molti altri luoghi nei quali siamo in grado di raccogliere suggerimenti, premonizioni, scorci di verità su Dio e sui rapporti di Dio con il mondo. Tutte queste persone - profeti, pagani, sacerdotesse - sono figli di Dio e quindi nessuno di loro è escluso dalla possibilità di essere un canale della verità di Dio per gli altri. Verità che può essere intimamente nascosta in ciò che devono dire. Può essere al di là della loro comprensione del tutto. Ma Dio può usare ciascuno di noi come strumento per comunicare la Sua presenza e la Sua saggezza.

Giovanni Battista è il più grande dei profeti. Ciò non significa che anche il più piccolo di loro, persino un nemico di Israele come Balaam, non possa essere usato da Dio per il bene della Sua opera nel mondo.

domenica 11 dicembre 2016

LA FEDE, LA SPERANZA E L'AMORE NON SOSTITUISCONO L'ESPERIENZA UMANA

AVVENTO - 3a Settimana, Domenica (Anno A)


Dalla sua prigione, Giovanni Battista manda dei messaggeri per chiedere informazioni su Gesù. Il dubbio ha preso piede. In precedenza, nel Vangelo di Matteo, ci viene detto che Giovanni sa esattamente chi è Gesù: è colui che viene dopo di lui, che egli non è degno di battezzare. Forse che ora si sta tirando indietro? La risposta di Gesù può sembrare crudele, soprattutto nel caso in cui Giovanni stia attraversando un momento di dubbio. Gesù gli dice che sta compiendo tutte le opere potenti predette sul Messia. Tranne una. I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, ai poveri è annunciata la buona novella e anche i morti risuscitano. Allora, quale opera viene tralasciata? 'Il Signore libera i prigionieri’, come leggiamo nel salmo di oggi. Il Messia libererà anche i prigionieri dal carcere (Isaia 42,7; 49,9; 61,1). Presumibilmente, questa è l'opera messianica in cui Giovanni ha l'interesse personale più immediato mentre languisce nel carcere di Erode, ed è strano che qui venga omessa.

Vi è una forte tendenza, che risale ai primi tempi del cristianesimo, di vedere Giovanni Battista e Gesù come avversari piuttosto che come partners in un compito comune. È una tendenza cui è difficile resistere e può trarre in inganno in maniera significativa. Vederli come collaboratori in un progetto comune ci aiuta a capire che cosa stia accadendo qui: stanno imparando insieme il modo in cui comportarsi, e cosa questo modo potrebbe significare per ciascuno di loro. Solo poco tempo dopo, Gesù stesso si trova in una situazione analoga (Si tira indietro? Un momento di dubbio?) quando cade a terra nell’orto. Le sue mani sono stanche e le ginocchia tremanti. A questo punto della sua storia, il Battista è già morto e Gesù non ha nessuno da chiamare, nessuno a cui chiedere il senso di ciò che sta accadendo, se non il Padre. E prega, 'questo calice passi da me'.

Celebriamo Giovanni Battista come colui che preparò la strada. Riflettendo sulla sua prigionia e la sua morte, notiamo che egli preparò la strada non solo nel senso di presentare Gesù e poi sparire dalla scena. Ha percorso la via prima di Gesù e, in questo senso, l’ha preparata. Essi annunciano lo stesso messaggio, 'Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino' (Matteo 3: 2; 4,17). Incontrano la stessa sorte, un giudizio ingiusto e una crudele esecuzione. E l'arresto di Giovanni - tutti i vangeli testimoniano questo - è il segnale che è giunto il momento, per Gesù, di prendere l'iniziativa. Inizia una nuova e ultima fase del suo ministero pubblico.

È fin troppo facile mettere Giovanni Battista e Gesù in opposizione l'uno all'altro. Le nostre menti, che amano 'dualizzare', lo fanno molto velocemente. Giovanni parla di paura e minacce, di un Dio da temere, e Gesù parla di misericordia e consolazione, di un Dio da amare. Non è forse così? No, non è così. Visto che la missione di ognuno dei due è parte di un unico, complesso momento, essi appartengono, insieme, alla visita definitiva di Dio per il giudizio di questo mondo.

Questo è il messaggio realizzato e insegnato dal Battista e da Gesù. La salvezza non avviene per essere distolti dall’esperienza umana - noi non siamo salvati dall’essere persone - ma piuttosto avviene attraverso l'esperienza umana - è Dio che, secondo un termine gradito da alcuni teologi, è 'humanissimus', umanissimo, e ha mandato il Figlio per renderci persino più umani.

Ciò che viene promesso non è un leggero, magico cambiamento, una sorta di rimpiazzo. Ciò che ci si promette è un fortificarci in quello che succede, un perfezionarci nel fuoco del giudizio e dell’amore, una nuova, consolidata forza per la quale i nostri cuori di pietra si abituino ad essere così che l'esperienza umana, pur rimanendo umana, si trasformi radicalmente. Proprio come il coraggio non elimina la paura, ma ci permette di agire a dispetto della paura, così anche la fede, la speranza e l'amore non sostituiscono l'esperienza umana, ma ci consentono di credere, di sperare e di amare Dio dal di dentro di questa esperienza umana, persino attraverso la morte.

Noi crediamo in Gesù e non in Giovanni. Ma Giovanni è sempre colui che ci indica questa direzione, ci presenta Gesù e il suo messaggio. Lo fa non solo con il dito, ma con la sua predicazione. Lo fa non solo con le sue parole e il suo strano modo di vivere, ma con la sua passione e morte che prefigurano la passione e la morte salvifica di Colui che egli ha servito.

Potrebbe sembrare una riflessione cupa per la Domenica Gaudete. Ma la gioia che ci viene promessa non è superficiale o poco profonda. È una gioia che nasce laddove giustizia e amore si sposano insieme e hanno sopraffatto il buio più profondo e il male più grande. Si tratta, quindi, di una gioia che è profonda e duratura. Una gioia piena e completa.

domenica 4 dicembre 2016

IL CORAGGIO DEL DESERTO

AVVENTO - 2° Settimana, Domenica (Anno A)


Due immagini sono in antitesi fra loro nelle letture di oggi. Una è l'immagine del deserto e l'altra è l'immagine del raccolto.

Il deserto è il luogo in cui compare Giovanni Battista, un luogo ricco di significato per il popolo dell’alleanza. È il luogo in cui i loro cuori sono messi alla prova, per vedere se davvero amano Dio con tutto il loro cuore, con tutta la loro mente e tutta la loro forza. Giovanni Battista è un profeta che li richiama di nuovo a questo rapporto con Dio come molti profeti avevano fatto prima di lui.

Il ritratto del Battista, il suo messaggio, lo stile di vita, la sua identità e il suo impatto sono familiari. Il suo messaggio è la chiamata al pentimento, che la gente dimostra presentandosi al suo battesimo. Il suo stile di vita è strano, una dieta di locuste e miele selvatico, si veste di pelli di cammello e vive nel deserto. Per quanto riguarda la sua identità, egli è la voce che grida nel deserto, egli è l'Elia che doveva venire prima del grande e terribile giorno del Signore, non è la luce, ma colui che testimonia la luce e addita l'Agnello di Dio quando questi fa la sua comparsa. L’impatto del Battista è significativo: Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione intorno al Giordano vanno da lui.

C'è un frutto nell’essere rinsaldati in questa esperienza del deserto, un frutto morale e spirituale che dice che le persone stanno veramente vivendo secondo l'alleanza che il Signore ha stabilito con loro. C'è un raccolto da salvare e Giovanni Battista afferma che Colui che viene dopo di lui presiederà questo raccolto. Egli vaglierà, trebbierà e raccoglierà ciò che è buono, e brucerà ciò che sarà rimasto e non avrà dato frutti.

Un cammino attraverso il deserto è necessario se si vuole realizzare la raccolta. E come il popolo d'Israele è stato portato alla comunione con Dio attraverso la propria esperienza nel deserto, così chi vuole vivere in quella comunione deve prepararsi a visitare il deserto e a farlo più di una volta. Ciò significa pentirci dei nostri peccati, purificare le motivazioni delle nostre azioni, intravedendo ancora una volta il modo in cui dovremmo portare frutto. Significa essere pronti a perdere tutto per guadagnare la completa semplicità, necessaria per condividere la vita che viene promessa.

Il Messia viene nella potenza dello Spirito Santo, battezzando in quello stesso Spirito e con il fuoco. Questo non sta a significare semplicemente una punizione. Significa essere raffinati e purificati, significa una guarigione profonda e una nuova creazione, significa rendere forti e capaci di resistenza cuori e menti che altrimenti sarebbero deboli e vacillanti. I più grandi maestri spirituali ci dicono che la qualità del raccolto dipende dal tempo trascorso nel deserto.

Più svuotiamo la nostra vita di cose che in realtà non contano al fine di fare spazio all'unica cosa che è necessaria, e più saremo aperti al fuoco purificante dello Spirito Santo e al potere ricreante dei suoi doni. Avremo il coraggio del deserto, in qualunque modo esso sopraggiunga, e produrremo un ricco raccolto, amando Dio sempre più intensamente e condividendo sempre più profondamente la comunione di vita e di amore che Egli vuole per noi.

domenica 20 novembre 2016

INTRODUZIONE

Con la prima domenica di Avvento 2016, iniziamo l’avventura di questo Blog di predicazione domenicana. Desideriamo condividere con voi la bellezza, la vita e la grazia della Parola di Dio. Troverete nel blog le omelie di fr. Vivian Boland OP sui testi biblici che si leggono in chiesa nelle domeniche e nelle solennità. Ci saranno anche alcune omelie dei giorni feriali. Piccoli suggerimenti o condivisioni di parole, poesia, musica e arte completano il Blog: sono scintille di bellezza che parlano di quel Dio che è bellezza, luce e vita. Ogni frutto dell’ingegno e della creatività umana, infatti, è messaggero, talora in maniera inconsapevole, ma non per questo meno reale, attendibile e feconda, della verità e della tenerezza di Dio.


Lo Sguardo (The Glance) di George Herbert (1593-1632)

Quando, un tempo, il tuo occhio dolce e grazioso
accondiscese, persino nel mezzo della gioventù e della notte,
a guardare me, che ero steso davanti,
affogato nel peccato,
sentii una dolce, strana gioia
meglio di tutte le bevande rinfrescanti, di ogni tipo,
lavare, calmare, conquistare il mio cuore,
e accoglierlo.

Da quel tempo, la mia anima ha sentito
tante turbinose tempeste, anche capaci di distruggere,
se il male nemico avesse avuto
il suo potere e influsso:
ma sempre la tua gioia dolce e primigenia
sprizzata dal tuo occhio, stava lavorando dentro la mia anima
e controllava tristezze crescenti, divenute audaci,
e ha prevalso.

Se il tuo primo sguardo fu cosi potente,
una felicità aperta e poi di nuovo chiusa,
quali saranno le meraviglie che sentiremo quando vedremo
il tuo amore pieno di sguardi!
Quando ci guarderai al di fuori del dolore
e una delle tue angolature diffonderà felicità
più della luce di mille soli
nel firmamento del cielo.
- Traduzione: VB e MS