Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

lunedì 29 gennaio 2018

SPIRITUALITÀ TOMISTA

Questo articolo è stato pubblicato da VB in The New SCM Dictionary of Christian Spirituality, edito da Philip Sheldrake, SCM Press, London 2005, pagine 618-620 (tradotto da MS)
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(La spiritualità tomista) concerne la vita spirituale e l'insegnamento di san Tommaso d'Aquino (1225 / 26-1274) e di coloro che appartengono alla sua scuola. Da bambino, così si dice, Tommaso si poneva già la domanda 'che cosa è Dio?', e questa è rimasta la pre-occupazione centrale della sua vita. Optò per i domenicani, piuttosto che per i Benedettini, per ragioni che rimangono sconosciute, ma le preoccupazioni intellettuali del nuovo Ordine possono aver fatto presa su di lui, così come il suo impegno nel contrastare le idee neo-manichee dei Catari. In pratica questo ha significato lo sviluppo di un approccio teologico in cui un apprezzamento della bontà della creazione era centrale.

Tommaso era già stato introdotto alla filosofia di Aristotele a Napoli ed i suoi studi sotto Alberto Magno a Parigi rafforzarono il suo interesse per le opere di Aristotele recentemente tradotte. All’apparenza, Aristotele sembrava un alleato meno promettente per la teologia cristiana rispetto a Platone, dalla disposizione mentale più religiosa. In realtà c'era poco di disponibile delle opere di Platone nel XIII secolo, anche se egli aveva già avuto un impatto significativo nello sviluppo della teologia nel periodo patristico. In ogni caso, Tommaso trovò in Aristotele l'alleato di cui aveva bisogno per sostenere l'affermazione teologica della realtà creata. Problemi che sono centrali per la vita cristiana quali, per esempio, la creazione stessa, individualità umana e integrità, grazia e libertà, incarnazione e sacramento - tutti vengono analizzati in maniera innovativa e stimolante alla luce degli insegnamenti scientifici, etici e metafisici di Aristotele.

L’antropologia olistica di Tommaso - la sua comprensione dell'unità essenziale di corpo e anima nell’individuo umano - è un contributo distintivo e originale al pensiero umano. Tanta sapienza morale e spirituale deriva dalla sua convinzione che l'uomo è essenzialmente un essere fisico, che l'anima ha bisogno del corpo proprio come il corpo ha bisogno dell'anima, e che non c’è sapere umano, persino le più alte forme di comprensione spirituale umana, che non dipenda da ciò che è stato sperimentato fisicamente. È stato sostenuto che Tommaso è il primo filosofo cristiano ad ammettere serenamente il carattere corporeo dell'esistenza umana. Per Tommaso il corpo umano è anche essenziale per ciò che egli chiama 'il benessere della nostra felicità eterna': nessuno, prima, aveva dato un tale onore al corpo umano.

Con il suo caratteristico spirito provocatorio, G.K.Chesterton dice che Tommaso, con Francesco d'Assisi, ha salvato l'Occidente dalla spiritualità. Con questo intende dire che l'affermazione della bontà della creazione da parte di Francesco e Tommaso rafforzò la comprensione tipicamente cristiana del Verbo che si è fatto carne e di Dio che ha visto tutto quello che aveva fatto e lo ha trovato molto buono. Il mondo stesso è già dono di Dio, in virtù del mistero dell'essere o dell'esistenza che si trova al cuore della più piccola cosa che possa esserci. Da questo punto di vista, tutto ciò di cui uno ha bisogno è una foglia o una formica per iniziare una meditazione sull'esistenza che porterà, in ultima analisi, a Dio. Nel pensiero di Tommaso d'Aquino troviamo una mistica dell'essere in cui la presenza divina è riconosciuta principalmente nell’emanazione creativa e continua di Dio - Tommaso non ha paura di questa parola - che è l'essere delle cose. Per il fatto che è creata a immagine di Dio, la creatura umana ha la capacità di ricevere il dono di essere con consapevolezza e gratitudine.

La sua opera più famosa, la Summa Theologiae, è stata intesa come una teologia morale, che si occupa della realizzazione della vita cristiana intesa come pellegrinaggio di ritorno a Dio della creatura umana. Un tema chiave, costitutivo di questa opera è la beatitudo, benedizione o beatitudine. Tommaso usa questo termine per caratterizzare la vita trinitaria di Dio, in cui creazione e salvezza hanno origine. Lo usa anche per indicare il fine ultimo o il desiderio fondamentale che muove gli esseri umani alla ricerca morale e spirituale. Beatitudo è ciò che Gesù Cristo porta, perché è lui che di fatto apre la strada all’accesso dell'uomo nella vita beata di Dio. Tommaso non visse abbastanza per scrivere le parti della Summa dedicate all’escatologia ma è chiaro, da ciò che egli ha scritto, che la beatitudine della quale ora siamo in attesa è oltre tutto ciò che cuori umani possano concepire.

Tommaso parla dell’appropriazione umana della beatitudo in termini di grazia e divinizzazione. La sua comprensione della grazia è essenzialmente trinitaria. Il Figlio e lo Spirito sono stati inviati dal Padre a portare il mondo dentro l'abbraccio di Dio, in modo che possa partecipare la Vita propria di Dio che è conoscere e amare. Grazia si riferisce al rafforzamento e all'elevazione della natura che partecipa all’inabitazione delle persone divine. La grazia opera all'interno delle capacità umane del conoscere e dell’amare e conforma gli esseri umani alla 'Parola che respira amore'. L'umanità graziata è fatta per essere come Dio.

In pratica, ciò avviene attraverso le virtù o doni di fede, speranza e carità con le molte azioni, le espressioni, le iniziative e le pratiche a cui danno luogo e che costituiscono la vita pastorale e spirituale degli individui e delle comunità cristiane. La vita del credente, stimolata e sostenuta da Cristo nella sua Chiesa, è comunque una vita vissuta nel mistero, dal momento che in questa vita, dice Tommaso, possiamo essere uniti a Dio soltanto come a uno sconosciuto. La fede è, per lui, profondamente paradossale. Si tratta di un assenso fermo non supportato da prove sufficienti a soddisfare l'intelletto. Si tratta di un parlare o di un’articolazione la cui comprensione della verità va oltre ciò che le parole usate contengono. Tocca una realtà significata da quelle parole, che ancora rimane sconosciuta'. È nella notte oscura dell’ignoranza ', scrive, 'che arriviamo ad essere più vicini a Dio in questa vita' (in I Sentenze 8,1,1).

Per Tommaso, ‘sapienza’ significa sapere che noi non conosciamo Dio. Siamo viatores o viaggiatori che vivono in una tensione verso ciò che è e non è ancora nostro. Viviamo quindi di speranza, una virtù il cui atto caratteristico è la preghiera, che Tommaso descrive come 'l'interprete del desiderio'. La preghiera è la lotta della mente e la bocca per trovare le parole per ciò che il cuore desidera.

Tommaso usa la parola ‘carità’ per significare l'amicizia con Dio. Non più semplicemente creature o servi, noi siamo stabiliti in amicizia con Dio per mezzo di Gesù Cristo (Giovanni 15,15) in modo che diventiamo partner di Dio e collaboratori nella cura del mondo e nella guida del suo progresso. È in questa amicizia di carità che si comincia già a sperimentare la beatitudo mentre siamo portati a partecipare alla natura di Dio che è amore.

Cristo ha conquistato questo dono per noi attraverso la sua passione e i sacramenti sono i frutti della sua passione. Adattano il dono della vita divina o grazia al tipo di creature che siamo: linguistiche, gestuali, sociali, politico, fisiche, che celebrano dei riti e storiche. Sappiamo da quanti hanno testimoniato sul suo modo di vivere che la vita spirituale personale di Tommaso è stata incentrata sulla celebrazione dell'Eucaristia. La sua devozione all'Eucaristia si può anche vedere nella poesia che ha composto per accompagnare le liturgie del Corpus Domini. Dopo essersi confessato e aver celebrato l'Eucaristia, trascorreva poi la sua giornata a studiare la Parola di Dio, cercando di penetrare e di esporre la verità della sapienza in una vita teologale intensa e creativa.

Nella sua vita di Gesù, Tommaso lo descrive come un insegnante errante la cui missione era quella di servire la verità in una vita di povertà, preghiera e di predicazione. Tommaso ha cercato di imitare questo modo di vivere, dedicandosi senza riserve e senza ambizione al ministero di studio e di insegnamento. Alcune parti del clero secolare hanno reagito con forza alla nascita degli ordini mendicanti e hanno cercato di impedire il loro modo di vivere. Tommaso ha scritto un certo numero di opere in difesa della nuova forma di vita religiosa. Al centro della vita del frate, ha detto, è l'obbedienza, il più alto esercizio della libertà umana nel momento in cui una persona si affida totalmente a Dio e al progetto di Dio per il mondo. Egli ha sostenuto che questo era un modo valido di sequela di Cristo, il cui amore e la cui obbedienza sono la salvezza del mondo. 

La spiritualità tomista, almeno come la vediamo in Tommaso stesso, unisce la dedizione intellettuale e la disciplina con una relativamente semplice vita di preghiera e pratica liturgica. Il 6 dicembre 1273, festa di San Nicola, Tommaso ha avuto un’esperienza durante l'Eucaristia che lo ha portato ad abbandonare la scrittura. Aveva spesso citato un detto di Pseudo-Dionigi, secondo il quale la ricerca di Dio non comporta solo conoscere le cose divine, ma viverle, letteralmente 'soffrirle' (non solum discens sed et patiens divina). Questo detto è diventato realtà per lui in quel giorno. Aveva dato la sua vita alla contemplazione, cioè allo studio della Parola di Dio. Ora, a quanto pare, fu condotto in quel luogo di silenzio, di cui la tradizione mistica cristiana aveva sempre parlato, in quelle nebbie entro le quali - come Tommaso ben sapeva - si dice che Dio abiti.

Altre letture:
Thomas F.O’Meara, Thomas Aquinas Theologian, University of Notre Dame Press: Notre Dame, Indiana and London, 1997
William H.Principe, Thomas Aquinas’ Spirituality, Pontifical Institute of Medieval Studies, 1984
J.-P.Torrell, Saint Thomas Aquinas: Spiritual Master (translated from the French by Robert Royal), Catholic University of America Press, Washington DC, 2003
Simon Tugwell, Albert and Thomas, The Classics of Western Spirituality, Paulist Press, 1988
James A.Weisheipl, Friar Thomas d’Aquino: His life, thought, and works Oxford, Blackwells, 1974 (second edition Washington DC, 1983)
A.N.Williams, The Ground of Union: Deification in Aquinas and Palamas, Oxford University Press, 1999

domenica 28 gennaio 2018

COSA CI SPINGE AD ANDARE OLTRE L'AMMIRAZIONE OCCASIONALE?

IV Domenica B
Letture: Deuteronomio 18,15-20; Salmo 95; 1 Corinzi 7,32-35; Marco 1,21-28

'Se solo Dio potesse fare x', 'se solo Dio potesse fare y'. A volte pensiamo in questo modo, e a volte sentiamo la gente parlare in questo modo: 'Se solo Dio si rivelasse in qualche modo inequivocabile, innegabile, potente', 'se solo Dio agisse con qualche grande azione che stabilisse la Sua presenza e il Suo interesse in modo che tutti coloro che l'hanno visto, o ne hanno sentito parlare, possano essere persuasi, liberati per sempre dalle distrazioni del dubbio e delle domande'.

Certo, gli esseri umani sono complicati e la prima lettura di oggi ci ricorda la loro preghiera di non sentire la voce del Signore e di non vedere il grande fuoco! L'umanità non può sopportare a lungo la realtà, come dice T.S.Eliot, e in particolare, sembra, la realtà di Dio ("nessuno può vedere Dio e restare vivo", ci viene detto).

Naturalmente, c'è sempre esaltazione ovunque appaia un nuovo profeta, un insegnante, un guru spirituale o un operatore di prodigi, che sembrano avere un'autorità e un potere al di là dell'ordinario. Queste sono le persone che vogliamo - e allo stesso tempo non vogliamo. In ogni caso, la maggior parte di loro alla fine mostrano di avere i piedi di argilla. Non appena cominciano ad essere venerati da alcuni, cominciano ad essere esclusi da altri. Persino l'opera di Teresa di Calcutta, per esempio, che sembra un amore diretto (inequivocabile, innegabile) per i poveri, è stato criticato e attaccato: qual era la sua motivazione? Ha aiutato i poveri a liberarsi dalla loro povertà?

Un vecchio assioma filosofico afferma che "le cose vengono ricevute in base alle condizioni del ricevente". Dio potrebbe benissimo gridare verso di noi nella creazione e nella storia della salvezza, ma ciò non garantisce che sarà ascoltato da noi o, se ascoltato, che sarà compreso e conquisterà la nostra obbedienza.

Quindi Dio risponde alla preghiera del suo popolo, suscitando un profeta come Mosè che starà, a loro nome, davanti al grande fuoco e che ascolterà, a loro nome, la voce del Signore. Questo profeta, Gesù di Nazareth, è abbastanza potente e autorevole da conquistare l'attenzione della gente, almeno all'inizio della sua missione. "Porta qualcosa di nuovo", dicono. (Gli esseri umani amano le cose nuove.) Hanno ragione e torto nel pensare che sia nuovo. Insegna con autorità, a differenza degli scribi, e la sua autorità è palese nel suo potere sulle forze del male. Il lato demoniaco dell'esperienza umana è più sintonizzato col Suo significato; laddove siamo pazzi, disturbati e vulnerabili, Lo riconosciamo più rapidamente. La parte più sana di noi viene, al momento, colpita, ma  è (giustamente) apprensiva. I demoni riconoscono la sua santità e il suo potere di distruggerli. Gli obbediscono, dice la gente, e questo solleva la domanda sulla loro personale obbedienza: continueranno ad ascoltare? Resteranno colpiti? Saranno in grado di voltare le spalle a ciò che li distrae per essere uniti a Lui? Potranno, alla fine, vedere il grande fuoco e ascoltare la voce del Signore o continueranno a trattenersi, a mantenere aperte le varie possibilità, a lottare contro tutto ciò che richiede la fede?

Dio si è rivelato senza ambiguità, innegabilmente, con potenza. Dio ha agito con una grande azione che conferma la Sua presenza e il Suo interesse. Questa rivelazione di Dio e questa grande azione di Dio, sono la stessa persona: Gesù di Nazareth. Questa è l'autorità che Egli ha, quella Parola e quella Azione sono una cosa sola in Lui. Ma il genere umano non può sopportare molto la realtà e ci sono molte distrazioni interessanti, o almeno stimolanti, che ci impediscono di sentire la Sua voce e di vedere il Suo fuoco. Di tanto in tanto saremo affascinati da Lui, da questo profeta come Mosè, ma altre volte preferiremo ignorare quella voce e allontanarci da quel fuoco. Temeremo che Egli sia venuto per distruggerci, per toglierci la possibilità di vivere. In realtà, Egli è venuto per dimorare nelle nostre menti con il Suo insegnamento e per rimanere nei nostri cuori con il fuoco del Suo Spirito. È venuto, secondo le parole del vangelo di san Giovanni, perché possiamo avere la vita, la vita in tutta la sua pienezza. Cos'è che ci spinge ad andare oltre l'ammirazione occasionale, per condividerne la vita, per condividere la vita del Santo di Dio?

Puoi ascoltare qui questa omelia (in lingua inglese).

domenica 21 gennaio 2018

PRONTI A LASCIARE TUTTO PER SEGUIRLO?

III Domenica B


Come Matteo e Giovanni, Marco ci dice che l'arresto di Giovanni il Battista è il segnale dell'inizio del ministero pubblico di Gesù. Egli è stato attivo prima di questo avvenimento come una sorta di discepolo di Giovanni (o così sembrerebbe dall'esterno), ma una volta che viene a sapere dell'arresto di Giovanni, le cose cambiano rapidamente e radicalmente: si ritira dalla Giudea in Galilea, e inizia la propria opera di predicazione, guarigione ed esorcismi.

C'è un forte contrasto nel vangelo di Marco tra la predicazione del Battista e la predicazione di Gesù. Giovanni ha predicato un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati. Gesù predica il vangelo di Dio, il compimento del tempo e l'imminenza del regno di Dio. È tempo di pentirsi e di credere nel Vangelo.

Ciò che è successo tra la predicazione di Giovanni e la predicazione di Gesù è il battesimo di Gesù e le sue tentazioni nel deserto, entrambi gli avvenimenti descritti brevemente ma profondamente da Marco. L'apertura dei cieli nel battesimo è la risposta a un'antica preghiera di Israele che domandava a Dio di aprire i cieli, di intervenire, di visitare il suo popolo, di scendere, di salvarli. Marco ci dice che questa preghiera di Israele viene esaudita nel momento del battesimo di Gesù: lo Spirito arriva dai cieli aperti per ungere Gesù mentre le parole del Padre, che accompagnano l'unzione dello Spirito, lo riconoscono come il Figlio amato di cui il Padre è compiaciuto.

Gesù è ora stabilito nella sua identità. Ciò accade al livello della sua natura divina (se possiamo dirla così) nel suo battesimo. E succede a livello della sua natura umana nelle tentazioni nel deserto. Lì, come lo descrive Marco, il Figlio di Dio (Mc 1,1) è il centro della creazione, tentato dal diavolo come Adamo ed Eva, è con le bestie feroci in sintonia con le profezie predette riguardo al bambino che avrebbe guidato il popolo nel regno, e gli angeli lo avrebbero servito come era stato promesso riguardo il prescelto da Dio nei salmi.

Di qui l'enorme differenza tra la predicazione del Battista - una chiamata al pentimento e ad una sua simbolica attuazione nel battesimo - e la predicazione di Gesù - che porta il vangelo di Dio, annuncia che il tempo è compiuto, afferma che il regno di Dio è vicino. C'è una logica razionale completamente nuova riguardo il pentimento, un livello del tutto nuovo di vita spirituale, non solo per cercare di mettere ordine e fare chiarezza in noi stessi, ma per "credere", per aprirci all'approccio con Dio, per essere pronti, come i primi discepoli, a rispondere alla sua chiamata e, se necessario, lasciare tutto ciò che abbiamo conosciuto fino ad ora per seguirlo nel suo regno.

Vediamo che quest'opera di trasformazione dello Spirito che accompagnava la predicazione di Giona accompagna anche la predicazione del Battista e poi di Gesù. I tentativi di Giona di evitare la missione a cui è stato chiamato, alla fine, vengono frustrati ed egli, pur continuando a lamentarsi, intraprende il compito apparentemente impossibile di richiamare un'immensa città al pentimento. Ma, passato un solo giorno nel compiere quest'opera, scopre che tutti si pentono, incluso Dio che, ci viene detto, "si pente del male che aveva minacciato di fare loro". Possiamo immaginare Giona e Giovanni Battista, entrambi mentre dicono "siamo servi inutili, abbiamo fatto solo ciò che era nostro dovere fare". In altre parole, hanno permesso a se stessi e alle loro vite di essere strumenti del progetto di Dio sugli altri. Lo stesso accade a Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni: anche loro permettono allo Spirito di operare fortemente in loro in modo che possano lasciare tutto per seguire Gesù.

"Passa la figura di questo mondo": così San Paolo nella seconda lettura di oggi. Questa trasformazione avviene attraverso l'opera di Gesù che entra nella prima creazione per stabilire in essa i semi della nuova creazione. È già sottinteso nelle vite di Giona e di Giovanni il Battista. Succederà in modo decisivo nella vita degli apostoli. In tutti i casi, lo schema è lo stesso: il Padre parla, lo Spirito unge e il Verbo si fa carne nelle vite di tutti coloro che ascoltano e ricevono questa unzione. Tutti coloro che sono stati battezzati sono chiamati a questo: a vedere tutto in una luce nuova, a sperimentare una nuova libertà, a contribuire all'opera di costruzione della civiltà dell'amore. Viviamo nel tempo dell'adempimento e siamo chiamati a costruire il regno in tutti i modi possibili.

domenica 14 gennaio 2018

LA DIGNITÀ DI OGNI PERSONA


La prima lettura ci parla ancora della triplice chiamata di Samuele, e la lettura del Vangelo ci parla ancora della chiamata di Simone che sarà Pietro o Cefa. La nostra attenzione di solito va a queste due figure più importanti, uno dei più grandi profeti di Israele, Samuele, e il capo degli apostoli, Pietro.

Ma è interessante vedere come le altre persone sono coinvolte nel discernimento delle loro vocazioni. Samuele ha bisogno della saggezza e dell'esperienza di Eli per capire cosa sta succedendo. Egli è il destinatario delle rivelazioni, un leader chiave del popolo di Dio, ma la sua preparazione per questo compito e la realizzazione della sua chiamata sono aiutate da Eli. Simone, che si chiamerà Pietro, ha bisogno delle informazioni che giungono da Andrea, che a sua volta segue la guida di Giovanni il Battista. Pietro dovrà essere una figura centrale nella comunità dei credenti in Gesù, un leader chiave del popolo di Dio, ma la sua preparazione per questo compito e la sua realizzazione della sua chiamata sono aiutate da Andrea e, dietro di lui, da Giovanni il Battista.

La gente parla molto della dignità umana, cioè del valore inestimabile di ogni singolo essere umano. Non parliamo altrettanto spesso della sorgente o del fondamento di quella dignità. Perché pensiamo e parliamo nel modo in cui lo facciamo riguardo alla dignità umana? Nel mondo della Bibbia è il fatto di essere creati e chiamati da Dio che stabilisce ogni essere umano nella sua dignità. Ricevere l'amore creativo di Dio, e ricevere una chiamata da Dio, significa essere stabiliti con un'identità, una dignità, un riconoscimento, una missione, nell'opera creatrice e salvifica di Dio. Significa ricevere un nome, a volte un nuovo nome, che racchiude la dignità, l'identità, la personalità che è unica per ognuno.

È facile vederlo nei casi di Samuele e di Pietro. Sono VIP nella storia della salvezza. Ma le letture di oggi ci ricordano l'intricata rete di relazioni umane all'interno della quale queste grandi persone hanno trovato la strada per la loro missione. Quindi Eli, Andrea e Giovanni il Battista hanno il loro posto, la loro missione, la loro dignità all'interno del corpo del popolo di Dio.

Mentre stavo preparando questa omelia, mi venivano in mente persone importanti per il discernimento e lo sviluppo della mia stessa vocazione. Non che io voglia paragonarmi a Samuele o a Pietro. Ma solo riconoscere che questo è il mondo umano in cui tutti viviamo, un mondo in cui ci stiamo formando l'un l'altro per il bene o il male, formandoci e sfidandoci a vicenda, e così aiutando le persone a discernere e sviluppare ciò che sono, le loro particolare dignità, vocazione, missione, identità. Ho pensato a Michael Condon, il mio insegnante di inglese, che quando ha saputo che stavo pensando al sacerdozio mi ha ricordato che avevo il primo dovere di considerare i bisogni della nostra chiesa locale, la diocesi di Dublino. Ho pensato a Eugene Kennedy, allora curato della nostra parrocchia, che mi ha insegnato che le decisioni importanti sulla vocazione sono di solito, dentro di noi, una questione di maggioranza piuttosto che di unanimità. E posso rapidamente pensare a dozzine di altri che mi hanno aiutato lungo la strada, a volte solo con un singolo commento, confermando o facendo domande, ma ognuno guidando, plasmando, stimolando, aiutandomi a discernere, a decidere e a crescere. In modi che superano la mia conoscenza, e per grazia di Dio, forse anch'io ho aiutato altri a discernere, a decidere e a crescere. Soprattutto spero di avere aiutato qualcuno a trovare la propria strada verso Gesù, verso colui che è veramente buono, vero e bello, la fonte e il fondamento di tutta la dignità umana.

Quindi possiamo rallegrarci oggi nella vocazione di ciascuno. Non siamo tutti Samuele o Pietro, ma siamo tutti Eli, Andrea o Giovanni Battista. O persone che in qualche modo hanno aiutato Eli, Andrea e Giovanni il Battista. C'è un passaggio negli scritti del Cardinal Newman che riassume splendidamente quello che penso sia un insegnamento centrale nella liturgia di oggi, un insegnamento sulla nostra chiamata, la nostra identità e la nostra dignità, indipendentemente da quale sia il nostro posto nel corpo del popolo di Dio, o da quale sia il nostro ruolo nello sviluppo degli obiettivi di Dio:

Dio mi ha creato per fargli un determinato servizio. Mi ha impegnato in un lavoro che non ha affidato ad altri. Ho la mia missione - che potrei non conoscere mai in questa vita, ma la conoscerò nell'altra. In qualche modo sono necessario per i Suoi propositi, così necessario al mio posto come un Arcangelo al suo - se, anzi, fallisco, Egli può suscitare un altro, come Lui potrebbe trarre dalle pietre dei figli di Abramo. Eppure ho una parte in questa grande opera; Sono un anello in una catena, un legame di connessione tra le persone. Non mi ha creato per niente. Se osserverò i suoi comandamenti e lo servirò nella mia chiamata, farò del bene, farò il suo lavoro; sarò un angelo di pace, un predicatore della verità al mio posto, pur non essendone consapevole (John Henry Newman, Prayers, Verses and Devotions, Ignatius Press 1989, pagine 338-339, tradotto da MS).

Si può ascoltare quest'omelia (in inglese) in questa pagina.