Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

martedì 31 dicembre 2019

I BENEVOLI PROPOSITI DI DIO FATTI CARNE

NATALE - 31 DICEMBRE


Dio ha mostrato misericordia perdonandoci i nostri peccati. Ma non solo il perdono è misericordia di Dio. L'intera opera di Dio è misericordiosa. La creazione stessa fluisce dall'amore generoso e dalla misericordia di Dio. È già un'opera di misericordia il fatto che Dio abbia pietà di ciò che non era, al fine di portarlo ad essere. La creazione stessa è partecipazione all’esistenza propria di Dio, alla vita, alla saggezza e all'amore di Dio. Dio non aveva bisogno di crearci e l’averlo fatto è un dono generoso. La creazione avviene attraverso i benevoli propositi di Dio.

Sono questi benevoli propositi di Dio che disegnano questo mondo e guidano la sua storia. Quegli stessi benevoli propositi ci chiamano a vivere con Dio e a condividere una felicità oltre i nostri sogni. Quei benevoli propositi hanno condiviso con il popolo di Israele i doni della saggezza e della legge di Dio. I suoi benevoli propositi sono giunti al culmine a Natale con la nascita di Gesù - la Parola, e la sapienza, e la legge, di Dio. Gesù di Nazareth è il benevolo proposito di Dio in persona.

Misericordia significa dono o grazia, qualcosa che si è ricevuto per pura generosità. La venuta di Gesù riguarda questa generosità: 
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto

e grazia su grazia (Giovanni 1,16). 
La parola latina per misericordia è la stessa, ‘misericordia’, che si riferisce sia alla miseria che al cuore. La misericordia è una compassione che è sincera, e Gesù viene dal cuore di Dio: 
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato (Giovanni 1,18). 

Tutto ciò che sappiamo dell'amore ci dice che l'amore sarà misericordioso. Tutto ciò che sappiamo dell'amore ci dice che l'amore sarà gentile e generoso. Tutto ciò che sappiamo dell'amore conferma che esso è vissuto come immeritato e liberamente dato. Tutto ciò che sappiamo dell'amore ci dice che si tratta di un’unione di cuori.

L'amore e la misericordia rimarrebbero solo un meraviglioso, ma impossibile sogno se non fosse per Gesù Cristo. Ha combattuto contro i nemici dell’amore, dell'egoismo, la disperazione, la malattia, il peccato e la morte. Alla fine non è stato un bello spettacolo, questo bambino nato in semplicità e gioia che è morto in lacrime e sangue sulla croce. Ma era sempre Dio che rivelava in questo modo i suoi benevoli propositi e la vittoria della misericordia divina. È stato il trionfo della grazia e della generosità di Dio su tutta l’avarizia, l'egoismo, l'orgoglio, la crudeltà, l'inganno, e la paura (le armi dell'Anticristo) che possono essere dispiegate contro quella grazia e quella generosità.


Il benevolo proposito di Dio è che il cuore umano - guarito e liberato – sia reso uno con il cuore di Dio. Lo splendore infinito della misericordia di Dio risplende attraverso il cuore spezzato del bambino nato a Natale, quel bambino nel cui cuore Dio e l'essere umano sono per tutti i tempi resi uno nell’amore.

giovedì 26 dicembre 2019

IL VERBO SI FECE CARNE PERCHÈ ANCHE NOI POSSIAMO VIVERE NEL MONDO REALE

26 Dicembre - SANTO STEFANO


In The Stolen Child, una delle prime poesie di W.B.Yeats, troviamo il seguente ritornello:

'Vieni, fanciullo umano!
Vieni all’acque e nella landa
Con una fata, mano nella mano,
Perché nel mondo vi sono più lacrime
Di quanto tu non potrai mai comprendere'.

È una poesia funesta, bella e suggestiva. Parla della seduzione della mistica e dell’attrazione del soprannaturale. Quello angelico, quello filosofico, qualsiasi religione naturale: queste cose sono potenti e attraenti. Da giovane Yeats stesso era molto coinvolto nello spiritualismo esoterico, pseudo-mistico. Il bambino umano rubato dalle fate, sedotto dal loro mondo, vivrà in eterno, ma non sarà una vita umana. Il prezzo che deve pagare è quello di rinunciare a tutte le esperienze propriamente umane del mondo. Egli non godrà più dei piaceri dei sensi nel modo in cui gli esseri umani fanno. Né soffrirà nel modo proprio degli esseri umani. Abbandonando la sofferenza ordinaria, il dolore e la desolazione, alla ricerca di emozioni, distrazione e compagnia, si ritrova invece in un mondo crepuscolare, disincarnato, libero dal legame del tempo e dello spazio, ma vuoto, alla deriva, inutile. Il mondo perde i suoi colori ed i suoi profumi, il suo sapore, sensazioni e suoni.

La commercializzazione del Natale è così volgare ed esplicita che non pone gravi minacce al vero significato della festa cristiana. È chiaro, infatti, che non è quello il suo senso.  Più pericolosa è la ‘sentimentalizzazione’ del Natale, quando lo si trasforma in qualcosa di dolce ed emotivo che può essere scambiato con la realtà. Non è di questo che si tratta, la nascita di un bambino nel buio dell'inverno? Ahh! Sì, a condizione che diciamo molto di più del bambino e dell'oscurità che è venuto a disperdere. La celebrazione del martirio di Santo Stefano sulla scia del Natale ci salva dal troppo sentimentalismo.

L’Infante Cristo è nato in questo mondo reale che vive i propri problemi e le proprie ansie, pianto e lotta, depressioni e delusioni e tradimenti, discorsi di guerra e ostilità, dimenticanza di Dio e dei poveri, culto degli idoli e spaccio di miti. Vieni, fanciullo umano, vieni all'acque e nella landa, con una fata, mano nella mano. C'è troppo pianto, troppa sofferenza, troppo dolore. Non è forse questo ciò che la religione dovrebbe assicurare, conforto nel dolore, consolazione nella sofferenza, sicurezza per chi è nel disagio psicologico? La grande fuga.

Gesù prepara i suoi discepoli per situazioni nelle quali saranno odiati da tutti. Stefano deve affrontare persone infuriate che digrignano i denti. Coloro che cercano di essere fedeli a Gesù e al suo insegnamento saranno consegnati ai tribunali, flagellati nelle sinagoghe, trascinati davanti a governatori e re. Essi saranno portati nei tribunali e rilasciati, respinti e detestati, scherniti e temuti. In tali circostanze, si è tentati di tradurre il tutto in qualcosa di 'spirituale', forse anche di 'mistico'. Non politico, o fisico, o storico. Qualcosa di gradevole, elevato, facendo un passo indietro da tanta roba torbida, invece di esserne immersi e andare al sodo. Le persone criticano la Chiesa accusandola di essere troppo distaccata dal mondo 'reale' e di essere troppo coinvolta nel mondo 'reale'. Deve mettersi più in gioco. Non deve ficcare il naso.

La morte di Stefano, sulla scia del Natale, ci salva dai mondi fatati del sentimentalismo, della falsa spiritualità e dello pseudo-misticismo. Il Principe della Pace è nato in un mondo che è sempre in guerra. La sua presenza sposta i termini di quella guerra su un altro piano perché egli è venuto con una spada, portando il fuoco. Il fuoco è lo Spirito che possiede il bambino umano e che lo conduce, non nel paese delle fate, ma più in profondità nel mondo umano, ancora di più nelle sue complessità e difficoltà, nel fondo del calice bevuto dal Figlio dell'uomo, il luogo di amarezza e lacrime, il luogo dell'amore e della pienezza della vita umana. Perché lo Spirito è Spirito dì verità e quindi di vita, giustizia e dignità.

mercoledì 25 dicembre 2019

BELLEZZA DELLE PAROLE, BELLEZZA DELLA PAROLA DI DIO

NATALE - MESSA del GIORNO

Queste sono tra le più belle letture che si possano scegliere in tutte le Scritture. 'Come sono belli sui monti i piedi di coloro che recano una buona notizia', le sentinelle che annunciano il ritorno del Signore. 'Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio'. 'In principio era il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che era la vita e la luce degli uomini’: l'essere, la vita, la comprensione. E 'anche se la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo'. 'Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria'.

Come perle o diamanti preziosi si può permettere allo splendore di queste frasi di illuminare le nostre menti e lentamente nutrire i nostri pensieri. La loro lettura pubblica deve sicuramente toccare anche il nostro cuore. Forse hanno il potere che hanno non solo perché sono testi bellissimi in se stessi, ma per la funzione che hanno nella lunga tradizione centenaria della Chiesa. Mentre li ascoltiamo, sappiamo che anche i nostri antenati hanno ascoltato queste parole, si sono chiesti il loro significato, sono stati incoraggiati e animati da ciò che esse rivelano.

Possiamo sperimentare reazioni simili di fronte alla grande letteratura di ogni genere, un sonetto o soliloquio di Shakespeare, un passo di Dante o Milton, nei tempi moderni una poesia di Seamus Heaney, o alcune pagine di Sebastian Faulks, o la visione di un meraviglioso film ... la letteratura ha questo potere, di evocare sensazioni e identificazioni, di porre a noi le questioni di senso e fine. Tutte le parole di valore, parole che portano la verità, o che sono belle, o parlano di bontà, sono scintille della Parola. Vengono da e puntano verso la Parola increata originale che era con Dio all'inizio e era Dio. Ogni verità, tutta la bellezza, tutta la bontà si manifestano nel pronunciare quella Parola. Tutto l'essere, tutta la vita, tutta la conoscenza e la comprensione, sono stabilite nel proferire quella Parola.

Tutto ciò potrebbe costituire un problema per qualcuno, così meraviglioso come sembra! Se Dio non esiste, per esempio, allora non ci può essere il Verbo increato originale di Dio. I filosofi e gli scrittori ancora oggi stanno sollevando la questione della finalità delle cose, che descrive il livello tipicamente umano della nostra esperienza e il modo in cui il mondo sembra aver bisogno di un destino, un principio di forma e di guida che evoca, forma e disegna progressivamente le cose. La gente parla della spiritualità che c'è nell'arte, nella musica e nella poesia, ciò che evoca e tira fuori in loro, il senso di qualcosa di misterioso al cuore della nostra esperienza.

Alcuni potrebbero avere problemi in un altro senso: cosa può significare che 'il Verbo si fece carne', questa identificazione del Verbo increato originale con un essere umano, Gesù di Nazareth, Gesù chiamato il Cristo? Quel nome che compare nel grande prologo del vangelo di Giovanni dovrebbe scuoterci e disturbarci. Sappiamo che sta arrivando: Giovanni ci prepara a lui parlando del suo omonimo, Giovanni il Battista, che testimonia la luce che è venuta dopo di lui. In un certo senso, quindi, non siamo sorpresi quando la dimora di Dio con noi si identifica con Gesù Cristo. In un altro senso, come può la pienezza della divinità essere trovata, essere contenuta in un solo individuo umano?

Questa è la domanda che Gesù pone più avanti ai suoi discepoli: chi dite che io sia? La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo, Giovanni ci dice. 'Grazia e verità' è l'amore saldo e fedele così ben attestato, nell'Antico Testamento, come il carattere del Signore, il Dio d'Israele. Abbiamo percorso una lunga strada dal momento in cui il Signore è stato inteso come un Dio tribale in lotta per il suo popolo eletto, che caccia via gli altri popoli e i loro dei. Abbiamo percorso una lunga strada anche dall'universalismo del profeta Isaia, che prevedeva l'arrivo di tutti i popoli in Sion per adorare il Dio di Israele. Abbiamo qui un compimento delle profezie di Ezechiele, secondo le quali Dio sarebbe venuto lui stesso per pascere il suo popolo, per cercarlo, per guarirlo, per prendersi cura di loro e riconquistarli con la sua tenerezza e il suo amore. 'La grazia e la verità', in altre parole la natura divina, sono venute nel mondo per mezzo di Gesù Cristo.

La nostra fede, allora, non è solo una spiritualità. La nostra è una religione fisica, ci chiede di credere in eventi e persone in carne ed ossa, che vivono e agiscono nel nostro spazio e nel nostro tempo. In un certo senso, la spiritualità è facile. Paradossalmente, è a portata di mano. Siamo in grado di passare facilmente dal sentimento all'emozione, al sentimento profondo e alla compassione, a un senso di qualcosa di misterioso che si apre attraverso ciò: è ciò che la musica, la poesia e la grande arte fanno in noi.

Più difficile da credere è la presenza del Dio creatore nell'impotenza di un bambino appena nato. Non solo nel senso che ogni neonato è, come giustamente crediamo, un dono di Dio. Ma la convinzione che in questo particolare neonato, figlio di Maria e come si suppone anche di Giuseppe, il Verbo increato originale, immutabile con il Padre nell'eternità, diventa uno di noi.

Una rapida riflessione ci assicura che questa è l'unica cosa che vale la pena di credere. Tutte le altre interpretazioni delle letture, come quelle che sentiamo oggi - più razionaliste, più intellettuali, più spirituali, le interpretazioni più letterarie - tutte queste ci lasciano esattamente dove eravamo prima. Con sentimenti ammirevoli e domande, sì. Ma la convinzione che in Gesù Cristo Dio diventa visibile, che il mistero al cuore della realtà si è rivelato in forma umana: questo è qualcosa che vale la pena di credere e ha implicazioni immediate per il modo in cui valutiamo noi stessi, la nostra carne, la nostra animalità, il nostro corpo, la nostra dignità di ciò che siamo. Egli non è un visitatore angelico da un altro piano così come non ci sono visitatori angelici intrappolati in corpi animali. Egli è un essere umano come noi, in realtà più umano di noi.

Ecco una poesia che lo esprime bene. È di Edwin Muir. Può essere letta come una bella descrizione dell’esperienza di incontrare un'altra persona e innamorarsi. Ma cerchiamo di interpretarla oggi, il giorno di Natale, nel registro delle letture della Scrittura che abbiamo appena ascoltato. Ascoltiamo questa poesia come se parlasse di Gesù Cristo, della nostra esperienza di incontro con Lui, del fatto che Egli è la Parola o Sapienza di Dio per mezzo della quale tutte le cose sono state create:

Sì, il tuo, amore mio, è il vero volto umano.
Lo avevo atteso a lungo nel mio animo,
Vedendo il falso e cercando il vero,
Poi ho trovato te come d’improvviso un viaggiatore
Trova un luogo accogliente in mezzo a sperdute
Valli e rocce e strade contorte. Ma te,
Come ti chiamerò? Una sorgente nel deserto,
Una fonte d’acqua in un paese arido,
O qualunque cosa onesta e buona, un occhio
Che rende tutto il mondo luminoso. Il tuo cuore aperto,
Semplice nel dare, dà l’atto primigenio,
Il primo mondo buono, il fiore, il seme alato,
Il focolare, la terra ferma, il mare errante;
Non belli né rari in ogni loro parte,
Ma simili a te, com’erano creati ad essere.

GESU - MESSIA, PRINCIPE DELLA PACE, SAGGEZZA DIVINA

NATALE - Messa di mezzanotte

I Vangeli, in particolare Luca, collocano la nascita di Gesù nel contesto più ampio di quello che stava accadendo nel mondo in quel momento. Ci viene detto che questi eventi sono accaduti nei giorni di Erode, re della Giudea (Luca 1,5). Questi era Erode il Grande che, quaranta anni prima della nascita di Gesù, era stato dichiarato Re dei Giudei dal Senato romano. Un uomo paranoico e spietato, rinomato per i suoi progetti di costruzione, in particolare il restauro del Tempio di Gerusalemme.

In relazione a ciò che stava accadendo a Roma, Luca ci dice che Gesù è nato mentre era imperatore Augusto (Luca 2,1). È stato descritto come il principe della pace, perché sotto di lui la guerra cessò e sopraggiunse ovunque la pax romana chiamata anche pax Augusta. Fu Cesare Augusto ad instaurare questa pace, e così venne chiamato il salvatore del mondo.

Questo è il contesto del giudaismo e di Roma. Potremmo essere tentati di chiedere che cosa stesse accadendo in altri luoghi significativi in tutto il mondo, al momento della nascita di Gesù. Che dire di Atene e la filosofia, per esempio? Sembra una domanda interessante per noi, che potremmo essere interessati alla filosofia, alla scienza e alla sapienza. I Vangeli non ci dicono chi fosse il successore di Platone nell'Accademia di Atene al momento della nascita di Gesù. È probabile che in realtà non ci fosse alcun successore, essendo stata distrutta l'Accademia da un generale romano circa ottant'anni prima della nascita di Gesù.

Ma seguendo l’esempio di Luca in relazione alla Palestina e a Roma, sembra una cosa legittima per noi almeno speculare sulla sapienza, la conoscenza e la filosofia e chiederci come la nascita di Gesù sia correlata a queste cose e come esse andassero nel mondo. Ci sono alcuni suggerimenti circa la sapienza nel brano evangelico che è stato appena cantato (Luca 2,1-14). Sono nascosti in quella semplice dichiarazione degli angeli ai pastori, il segno che essi danno ai pastori, ‘troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (1,12).

C'è solo un altro luogo nella Bibbia in cui sono menzionate fasce. Si trova nel libro della Sapienza: è un testo attribuito a Salomone, ma in realtà scritto ad Alessandria circa un secolo e mezzo prima della nascita di Gesù. Il passaggio in cui sono menzionate le fasce non è poi così importante: l'autore sta parlando di re e di come essi siano soggetti alle esperienze ordinarie di nascita, invecchiamento e morte. Un re neonato è posto in fasce e ha bisogno di essere curato esattamente allo stesso modo di qualsiasi altro neonato umano (Sapienza 7,4). Quindi non c’è molto su filosofia o saggezza, ma questo passaggio stabilisce almeno un tenue legame per noi. 

Questo legame si rafforza nel riferimento alla mangiatoia. Che era una greppia, un luogo dove gli animali potevano trovare cibo. Nel vangelo di Luca c'è un chiaro legame tra la mangiatoia di Betlemme e l'ultima cena. Betlemme è la casa del pane. La locanda che non aveva spazio per la Sacra Famiglia (Luca 2,7) è chiamata con lo stesso termine che viene utilizzato per la stanza o pensione dove Gesù istruisce i suoi discepoli per la preparazione della Pasqua (Luca 22,11). L'ultima cena diventa allora la nostra Eucaristia, nella quale riceviamo Gesù come il pane della vita e il pane vivo. Tutti questi legami molto forti con la sapienza, con i modi con cui l'Antico Testamento parla della Signora Sapienza, che passa per le strade, invita la gente a trovare riparo e sostentamento con lei, a venire al suo banchetto di vino e mangiare il suo pane. Quel pane è la conoscenza, la comprensione e la sapienza che ella ha da offrire, una guida per la vita umana, un vero insegnamento, e così via. Nel bambino che nasce vediamo l'adempimento di tali promesse perché lui è la sapienza di Dio, ci alimenta con la Parola di Dio e ci nutre con il suo Corpo e Sangue.

Vi è un altro legame tra Betlemme e la filosofia: si può dire che la filosofia occidentale è cominciata in una grotta e che anche la storia cristiana è iniziata in una grotta (o in una stalla: in ogni caso, il rifugio in cui è nato Gesù). A tutti coloro che studiano filosofia è stato riferito molto presto della caverna di Platone, la sua allegoria sulla gente seduta incatenata che guarda le immagini e le ombre su una parete, pensando che sia la realtà; poi in qualche modo uno di loro si libera, si volta, trova lungo la caverna la propria via del ritorno verso la luce e nel mondo. Tutto ciò riguarda la realtà e la verità e la ricerca della filosofia per trovare la verità e vivere nella luce.

Con la nascita di Gesù, possiamo dire che anche la filosofia cristiana inizia in un “grotta”, a Betlemme. Ci sono due contrasti sorprendenti, tuttavia, tra la caverna di Platone e il luogo della nascita di Gesù. Uno è che nella storia di Platone il sole è fuori e colui che cerca la saggezza e la verità deve allontanarsi dal punto in cui si trova e andare alla ricerca di quella luce al di là o dietro la sua esperienza immediata. Con la nascita di Cristo, invece, il Sole di giustizia si trova all'interno, nella grotta. Il Verbo è nato per noi nel mezzo della nostra oscurità, nel luogo della nostra confusione, incertezza e irrealtà. La sapienza è venuta a noi per illuminare le nostre tenebre e ci conduce alla verità.

L'altro contrasto tra la storia di Platone e l'evento Cristiano è che l'energia che muove il filosofo di Platone alla ricerca della verità è, come dice Platone altrove, l’eros, un essere sedotti dalla bellezza che ci stimola, ci attrae e ci conduce. Per l'Ebraismo e il Cristianesimo è l’eros di Dio che origina le cose, prende l'iniziativa ed è la forza motrice della rivelazione e della salvezza. Questa può sembrare una cosa rischiosa da dire, parlare di eros di Dio, ma vi è abbondanza di supporto su ciò nelle letture bibliche che ascoltiamo in questi giorni. La vigilia di Natale abbiamo sentito Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, proclamare che è la “tenera misericordia” del nostro Dio che ha portato a questi eventi (Luca 1,78). E, nella seconda lettura della Messa dell’Alba del giorno di Natale, Isaia ci ri-assicura che siamo un popolo “ricercato, una città non abbandonata” (Isaia 62,12).

L'eros in noi di cui Platone parla è pur sempre al lavoro, il nostro desiderio di conoscenza, comprensione e verità, ma la sua destinazione finale non è chiara. Come cristiani noi crediamo che il nostro desiderio è soddisfatto dall’eros di Dio, l’amore di Dio per l'umanità che non solo è venuto incontro al nostro desiderio, ma, in primo luogo, lo ha anche creato e lo sostiene.

La parte finale del segno dato dagli angeli ai pastori è che troveranno un bambino. Che questo bambino sia il nostro Creatore è la meraviglia del Natale spesso sottolineato dai predicatori e dagli insegnanti. Ha anche questo significato: che il Creatore è entrato nel nostro modo di crescere nella conoscenza, nella comprensione e nella sapienza. Egli non è solo un visitatore, un tipo di essere ultraterreno che decide di trascorrere un po' di tempo con noi e poi torna al luogo cui propriamente appartiene. No, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Dio si è fatto uomo, assumendo la nostra natura, entrando nella nostra situazione, e sperimentando ciò che una generazione precedente di filosofi avrebbe denominato come la “condizione umana”. È entrato nel nostro modo di crescere nella conoscenza, nella comprensione e nella sapienza, ed è cresciuto nella nostra carne. Luca poi ci dice questo: che il bambino è cresciuto in forza, sapienza e grazia (Luca 2,40.52). Lo ha fatto in modo che possiamo entrare nel suo modo di conoscere, capire ed essere saggi. Egli è venuto per stabilire questa comunione con noi, condividendo il nostro modo di crescere in sapienza e grazia e così ci introduce alla sua sapienza e grazia. Il nostro amore per la sapienza, la nostra filosofia, trova in lui il suo termine, è la meta del nostro desiderio di verità, e lui è la conoscenza che cerchiamo. 

Così come sappiamo che non è Erode, ma Gesù di Nazareth, che è davvero il re dei Giudei, restauratore del Tempio e Messia di Israele, e proprio come sappiamo che non è Cesare Augusto, ma Gesù Cristo che è veramente il salvatore del mondo e il principe della pace, quindi sappiamo che la conoscenza, la comprensione e la verità si trovano, in ultima analisi, solo in Colui che è la sapienza e la via per la sapienza, la sapienza che viene da Dio a ordinare tutte le cose con dolcezza, che viene a insegnarci la via della prudenza. 

lunedì 29 luglio 2019

UNA STRAORDINARIA LEZIONE SULLA PREGHIERA

29 Luglio - Santa Marta

Santa Marta è ricordata ed onorata come un'amica di Gesù che lo ha ricevuto nella casa che condivideva con Lazzaro, suo fratello, e con Maria, sua sorella. Marta è ricordata come una donna pratica che, nel vangelo di Luca, è corretta da Gesù quando si lamenta che Maria lascia tutto il lavoro a lei. "Maria ha scelto la parte migliore", dice Gesù, il che significa che Maria, alimentata spiritualmente da Gesù, è meglio di Marta che nutre Gesù con l'alimentazione fisica.
Almeno questa è l'interpretazione tradizionale e così Marta è giunta a rappresentare la vita attiva insieme a Maria che rappresenta la vita contemplativa. L'unica divergenza da questa tradizione di cui io sono al corrente è Meister Eckhart che interpreta il commento di Gesù a Marta con questo significato: "Maria ha scelto ciò che per lei, per ora, è la parte migliore". Eckhart non ha dubbi sul fatto che Marta sia stata più avanzata nella sequela di Cristo, come si può vedere dalla sua compassione, dalla sua premura e dal suo desiderio di servire Gesù. La maturità cristiana è estatica in questo modo, nell'uscire da sé per dare piuttosto che ricevere, nell'assistere altri prima di pensare a se stessi. L'interpretazione di Eckhart sembra seguire l'insegnamento di Tommaso d'Aquino per il quale la forma più perfetta di vita è quella in cui non solo si contempla ma anche si condivide con gli altri i frutti della propria contemplazione.
E questa è l'immagine di Marta che emerge dal famoso episodio di Luca, capitolo 10. L'altra lettura evangelica che può essere scelta oggi è dal vangelo di Giovanni, capitolo 11. Vediamo che è la stessa Marta che si avvicina a Gesù mentre egli arriva alla loro casa quando Lazzaro era già morto. «Se tu fossi stato qui», dice a Gesù. È diretta, persino brusca, ancora una volta pratica e semplice nel suo reclamo.
Ma ora apprendiamo di più sul suo rapporto con Gesù e vediamo come le cose sono mature tra loro. "So che anche ora Dio ti darà tutto quello che vuoi", dice Marta. "Tuo fratello risorgerà", risponde Gesù. «Lo so», dice, forse con un tono di sarcasmo, «nella risurrezione, nell'ultimo giorno». Lo schema del vangelo di Giovanni è ben noto: a partire da un malinteso da parte di un ascoltatore Gesù porta lo stesso a un livello di comprensione molto più profonda e, in tal modo, rivela qualcosa di straordinario su se stesso. Queste rivelazioni, generate in esperienze di conversazione trascendentalmente fruttuosa, spesso cominciano con le parole "io sono". E così è qui: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno". Gesù chiede a Marta se lo crede e ciò la porta a una professione fruttuosa e feconda di verità: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo".
Questa donna, la cui personalità è già conosciuta dal vangelo di Luca, ci mostra che la preoccupazione pratica e l'azione compassionevole non costituiscono un ostacolo alle più profonde realizzazioni spirituali. Al contrario, sembra. E ci dà una straordinaria lezione di ciò che significa pregare. La preghiera che impariamo da Marta è semplicemente una conversazione con Gesù, una conversazione trascendentale. Ovviamente queste sono parole mie piuttosto che sue, mentre cerco di attingere qualcosa dalla ricca esperienza che lei testimonia. Pregare significa avvicinarsi al Signore con i nostri bisogni e le nostre rimostranze, non nascondere niente nel parlare con lui, aprire i nostri cuori, le menti e le vite alle sue parole giuste e curative ed essere aiutati a superare il ​​nostro attuale livello di comprensione per vedere di più del mistero divino che sta venendo nel mondo, per essere portati ulteriormente dentro la luce della verità su Gesù Cristo che è, come impariamo attraverso le domande di Marta, "la risurrezione e la vita".
L'incontro di Gesù con Marta in Giovanni 11 rivela la sua natura divina. Il suo incontro con Maria, sua sorella, che segue immediatamente, rivela la sua natura umana, mentre piange con lei per il suo amico che è morto. Ma la grandezza di Marta potrebbe essere trascurata, la lezione che ci offre su come stare con Gesù, come parlare con lui, come permettergli di correggerci e di portarci sempre più nel mistero della sua persona. Almeno oggi, la sua festa, dobbiamo onorare il ricordo di questa donna pratica, valorosa, saggia e compassionevole.

venerdì 26 aprile 2019

L'AMORE INDICA LA STRADA

Venerdì fra l'ottava di Pasqua

L'ultimo capitolo del vangelo di Giovanni è stato descritto come una sorta di ripetizione, ripresa o ricapitolazione di gran parte dei vangeli: la chiamata dei discepoli, i pani, l'eucaristia, il camminare sull'acqua, la brace di carbone, una pesca miracolosa, le reti, la pesca di uomini, Simon Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo, altri due (come altrove ci sono spesso "altri discepoli").
Allo stesso tempo, è ora detto "dall'altro lato". È post-pasquale e un po'surreale (gli esseri umani sono in mare e i pesci sono sulla riva). Succede "quando già era l’alba", tra il tempo dell'oscurità e la prima luce del giorno. Avviene tra acqua e terra. Ci potrebbe ricordare il segno di Giona, con gli uomini vomitati fuori dal mare. E Cristo come pesce e pane.
I discepoli sono indotti a vedere che Gesù è vivo ed è presente in mezzo a loro. L'amore indica la strada e il discepolo amato è il primo a parlare. Non è la prima volta che il vangelo di Giovanni ci insegna che l'amore è il primo a rendersi conto delle cose – il discepolo amato ha raggiunto la tomba prima di tutti, Maria Maddalena è stata la prima a incontrare il Risorto, ora l'amore indica la strada.
Pietro agisce in modo strano. Ci sono buone ragioni per questo. La brace di carbone sulla quale qualcuno sta preparando la colazione gli ricorda l'ultima volta che si era trovato davanti a un fuoco di carbone e aveva rinnegato Gesù. È noto che il suo triplice rinnegamento è ora annullato da una triplice affermazione del suo amore per Gesù. È ancora un capo nel gruppo, scelto per avere un'attenzione particolare, ‘soprintendendo’, in qualche modo, all'opera di pesca della Chiesa.
E l'Eucaristia è il modo supremo in cui i discepoli sanno di essere in presenza del Signore Risorto, riconoscendolo nella frazione del pane, lasciandosi nutrire da lui, dando se stessi in servizio amorevole agli altri così come lui ha dato completamente se stesso in amorevole servizio a noi.

giovedì 25 aprile 2019

LA CREATIVITÀ DEL DIO DELLE SORPRESE

Giovedì fra l'ottava di Pasqua


Pietro e Giovanni sono testimoni. Essi testimoniano gli eventi accaduti, la condanna e l'esecuzione di Gesù di cui tutti sono già a conoscenza, ma poi anche la sua risurrezione. Questo è il compito specifico dell'apostolo: essere testimone della risurrezione.
Questo li obbliga a diventare anche interpreti, maestri di un nuovo modo di leggere le Scritture. La legge, i profeti, i salmi, la promessa ad Abramo, l'alleanza con Mosè, l'insegnamento dei profeti da Samuele in poi ... tutto deve essere riesaminato alla luce di ciò che è successo. Abbiamo familiarità con l'idea che la vita e il ministero di Gesù assumono un nuovo significato quando li leggiamo alla luce della risurrezione. Ciò che gli apostoli ci insegnano è che tutta la storia dei rapporti di Dio con la gente assume un nuovo significato quando viene riletta alla luce della risurrezione.
Proprio come c'è continuità e discontinuità nell'esperienza dei discepoli del Risorto, c'è continuità e discontinuità nella comprensione della storia di Israele. Talvolta lo riconobbero e lui era per loro una persona familiare. In altre occasioni non riuscivano a riconoscerlo o addirittura li riempiva di paura e di inquietudine. Le antiche promesse fatte a Israele: sono realizzate o soppiantate nella risurrezione di Gesù? Ciò che è accaduto ha una continuità con quello che era successo prima o no? A questa domanda dobbiamo rispondere "entrambe le cose": c'è continuità nel compimento delle promesse, c'è discontinuità nel modo radicalmente inatteso in cui sono state realizzate.
Possiamo fare un passo ulteriore e dire che anche la vita della Chiesa e ogni vita vissuta alla luce di questa fede saranno caratterizzate dalla continuità e dalla discontinuità. A volte le cose si svolgeranno nei modi in cui ci aspettiamo a partire da ciò che abbiamo già sperimentato dei modi di agire di Dio con noi. Ma a volte le cose si svolgeranno in modi che non ci aspetteremmo o non sospetteremmo. Non c'è fine all'inventiva del "Dio delle sorprese" che è sempre creativo ed è anche sempre fedele.

Significa che la risurrezione non è semplicemente una questione di lasciare ciò che è “qui” per essere "lì", ma è una trasformazione di ciò che è “qui”, questo corpo, queste relazioni, questo comportamento, qui e ora. Non è solo una questione di aspettare qualche illuminazione futura, ma di nuovo significato, nuova luce, nuove possibilità per dove siamo ora e per chi siamo. Si tratta di ripensare il nostro passato, leggendolo alla luce della risurrezione, per vivere una nuova vita ora e in futuro.

mercoledì 24 aprile 2019

IL CONFORTO DELLA SUA PRESENZA

Mercoledì fra l'ottava di Pasqua

Qualcosa ha impedito loro di riconoscerlo. Cos'era? Paura o sgomento? Una cecità causata dall'umiliazione e dalla sconfitta? O il fatto che neanche per un momento avevano previsto una resurrezione quindi l'ultima cosa che poteva venir loro in mente era che potesse essere Gesù? O qualcos'altro?
La loro difficoltà a riconoscere che Egli era davvero risorto dai morti si è lentamente dissolta al vibrare della sua voce, alle parole del suo insegnamento, alla sua apertura delle Scritture per loro, quando mostrava come le parole delle Scritture si applicavano al Cristo, a ciò che gli doveva accadere...
Sempre senza riconoscerlo, gli chiedono di restare con loro, anche se lui fa come per andare avanti. Al loro invito rimane. Cosa significa? Stanno trovando conforto in quello che sta dicendo loro, nella Sua presenza, anche se non riconoscono ancora pienamente che è Lui. Ma poi prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro, e in queste azioni eucaristiche Lo riconoscono, nella frazione del pane, nella frazione (così sembra) della Sua presenza con loro.
Il messaggio è chiaro e potente, per la prima comunità dei credenti e fino a noi molti secoli dopo. Non avere paura. Abbi un cuore grande. Egli rimane con te, così come rimase con noi, nell'apertura delle Scritture e nella frazione del pane.

martedì 23 aprile 2019

MENTRE CERCAVA COLUI CHE IL SUO CUORE AMAVA

Martedì fra l'ottava di Pasqua



Le apparizioni della Risurrezione si possono forse definire più adeguatamente come ‘incontri di Risurrezione’. È apparso, sì, ed è stato visto, anche se a volte non immediatamente riconosciuto. Ma c'è anche la conversazione, lo stare seduti a tavola, il camminare insieme lungo la strada, il preparare la colazione, il mangiare pesce e con Tommaso, forse, toccare.
Né è necessaria semplicemente una vista fisica al fine di 'vedere' il Risorto. In molti di questi incontri c'è incertezza su chi sia, dubbio e discussione, paura e apprensione. Il Signore Risorto lo si incontra all’interno della fede e, in primo luogo, con l'amore. Coloro che hanno ascoltato la predicazione degli apostoli si sono sentiti 'trafiggere il cuore'. Maria piangeva mentre cercava colui che il suo cuore amava. Il discepolo prediletto è il primo a riconoscerlo nell'incontro annotato in Giovanni 21.
Questi incontri sono sempre anche vocazionali. C’è sempre il caso che la grazia comporta la vocazione. L'incontro con il Signore Risorto spinge verso la missione, le persone vengono inviate per parlare agli altri, per continuare l'opera di Gesù, per essere gioiose e impegnate nel lavoro di edificazione della Chiesa.
Maria riconosce Gesù quando la chiama per nome. Tante storie vocazionali nella Bibbia prendono questa forma. E poi la manda: 'Va’ dai miei fratelli e dì loro'. Lei diventa l'apostola degli apostoli, prima testimone della risurrezione.
Maria Maddalena è stata identificata con la donna della quale leggiamo, in Luca 7, che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli. Che fosse la stessa o no, possiamo dire di Maria Maddalena che ha visto il Signore Risorto, perché ha molto amato. La sua testimonianza è parte della testimonianza apostolica su cui è fondata la fede di tutte le successive generazioni di discepoli.

domenica 31 marzo 2019

IL PERDONO: RICORDARE E ONORARE LE FERITE

IV Domenica di quaresima Anno C


Il punto di svolta della storia avviene quando il figliol prodigo ricorda qualcosa: è ritornato in sé, è tornato a se stesso, si è ricordato chi era. La strada della riconciliazione e del perdono sta nel ricordare. La saggezza popolare potrebbe incoraggiarci a perdonare e dimenticare, ma sappiamo per esperienza che il perdono viene piuttosto dal ricordare. Su questa base operavano le commissioni "verità e riconciliazione" istituite per stabilire buone relazioni tra popoli che prima erano stati in guerra tra loro. Solo ricordando con verità, ricordando tutto ciò che deve essere ricordato, possiamo sperare di trovare la riconciliazione e un nuovo inizio.

Dobbiamo quindi ricordare il nostro bisogno e la nostra debolezza. Dobbiamo ricordare che siamo debitori al Padre per il suo perdono. Dobbiamo ricordare il giudizio della nostra vita alla luce della verità e dell'amore di Dio. Dobbiamo ricordare le alleanze e la legge. Dobbiamo ricordare il sacrificio di Cristo che suggella la nuova ed eterna alleanza e che egli ci ha chiesto di ripetere in memoria di Lui. Se si vuole guarire e dare nuova vita alla rete di relazioni danneggiata, è necessario ricordarla in tutte le sue parti e riconoscere e onorare le ferite di ciascuna di esse.

Il filosofo ebreo Emmanuel Levinas solleva seri interrogativi sul perdono. Non c'è, dice, un'accettazione dell'ingiustizia insita nel concetto di perdono? Non è disumano cercare di porre dei limiti al bisogno di perdono di una persona, di stabilire i confini entro i quali il perdono deve essere dato? Quando ricordiamo cos'è stato subito da alcune vittime dell'ingiustizia, come possiamo osare pensare di avere le risorse per annullare quell'ingiustizia, per rimuovere quella vittimizzazione, per creare una situazione in cui ciò che le persone hanno sofferto non ha più importanza?

Si tratta di questioni forti e pertinenti. Ci obbligano a ripensare a cosa significhi per una persona dire ad un'altra: "Ti perdono per quello che mi hai fatto". È una questione molto diversa, più complicata, quella in cui una persona o un gruppo si scusa, cerca il perdono, a nome di terzi: "Ti perdono per quello che hai fatto a loro" (la mia famiglia, i miei antenati), "Mi scuso per quello che hanno fatto a te" (i miei antenati ai tuoi antenati). Come ci si può mai sentire in grado di dire una cosa del genere?

Nella comprensione cristiana, come dice Paolo nella seconda lettura di oggi, il perdono e la riconciliazione sono possibili solo se c'è una "nuova creazione". Paolo avrebbe compreso le domande di Levinas, e come un fariseo zelante avrebbe visto - e condiviso - i problemi che solleva. Come difendere la giustizia di Dio? Come si può mai riparare l'ordine rotto della giustizia? Qual è il costo del perdono? C'è qualche "tasso di cambio", qualche valuta in cui il perdono può essere dato?

Colui che è senza peccato si è fatto peccato, perché coloro che sono peccatori potessero diventare giustizia di Dio. Questo è il brano di Paolo sul "cambio", la "valuta" in cui si stabilisce la nuova creazione. Essa fornisce un fondo di verità al commento di Alexander Pope che "perdonare è divino". Se si tratta di una nuova creazione, allora può essere solo da Dio, perché solo Dio può creare. Affermare tale possibilità per noi stessi sarebbe blasfemo. Così possiamo pensare al perdono solo se siamo con gli altri davanti a Dio, se ci troviamo su un terreno di uguaglianza con loro e abbiamo il coraggio di guardare alle nostre offese contro di loro.

Etty Hillesum, una giovane ebrea morta ad Auschwitz, ha lasciato un diario notevole del suo cammino spirituale negli ultimi anni della sua vita. A questo proposito dice quanto segue: "Date al vostro dolore tutto lo spazio e l'accoglienza in voi stessi che gli è dovuto, perché se tutti sopportano il dolore onestamente e coraggiosamente, il dolore che ora riempie il mondo si placherà". I cristiani credono che Dio in Cristo ha riconciliato il mondo con se stesso. In altre parole, Dio stava dando in se stesso tutto lo spazio e l'accoglienza dovuti al dolore del mondo. Noi crediamo che Gesù, il Cristo, ha portato veramente e coraggiosamente questo dolore del mondo. Anche se può sembrare che il dolore che riempie il mondo non si sia attenuato, noi crediamo che in Lui abbia trovato la sua strada verso il cuore di Dio, l'unico luogo da cui possono nascere la verità e la riconciliazione.



domenica 17 marzo 2019

IL SONNO DELLA RIVELAZIONE


SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
ANNO C


Quest'anno leggiamo il racconto di Luca della Trasfigurazione. Ci sono una serie di cose che si trova soltanto nella sua versione: il riferimento al 'esodo', che Gesù stava per compiersi a Gerusalemme è il dettaglio Lucano più spesso menzionato. Ma c'è anche un riferimento al sonno, o meglio alla dormiveglia dei discepoli: solo Luca ci racconta questo. Qual è il significato di questa dormicchiare dei discepoli?

La liturgia ci offre un’ interpretazione, collegando la Trasfigurazione con la storia di Dio sigillando il testamento con Abramo. E’ una storia molto strana, di atmosfera primitiva, secondo la quale Dio come un braciere fumante e una fiaccola ardente, consumava gli animali divisi, mentre un torpore cadde su Abramo. E’ un sogno, questo avvenimento? O accade in un'altra dimensione? Il torpore di Abramo è il sonno del incontro divino, il sonno della rivelazione, di cui parla la sacra scrittura non soltanto in relazione ad Abramo, ma anche a Giacobbe, al suo figlio Giuseppe, al sacerdote Eli, ai profeti Elia e Daniele, e a Giuseppe, lo sposo di Maria.

Il sonno dei discepoli alla Trasfigurazione appartiene a questa linea biblica: attraverso la loro dormiveglia, qualcosa si rivela a loro, Dio viene incontro a loro. La parola Greca usata qui da Luca si riferisce alla luce del tramonto, un crepuscolo, o più precisamente alla luce dell’aurora, la luce che annuncia l’alba. Quando si svegliarono, dice il vangelo, nella penombra. Significa che i discepoli sono portati da una vita illuminata in un modo ad una vita nuova illuminata in un modo molto diverso. Non è che hanno capito subito perché hanno dormito durante la rivelazione, durante la conversazione tra Mosè, Elia e Gesù, ma lentamente, più tardi, capiranno.

Sembra che discepoli tendono a sonnecchiare. Lo spirito del sonno viene facilmente su di loro, smorzando i loro occhi e le loro orecchie (Deuteronomio 29:4, Isaia 29:10, Romani 11:8; Matteo 13:15, Marco 13:36). Il momento più noto di questo sonno dei discepoli è nel giardino di Getsemani: 'Non potete svegliare, vegliare un'ora con me?' Spesso Gesù chiamava i suoi discepoli a svegliarsi, 'alzatevi e pregate', ‘guardate’, 'fate attenzione', 'siete pronti'. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Le vergini in attesa dello sposo devono vegliare perché non sanno a che ora verrà. Ma le sentinelle d’Israele dormono (Isaia 56:10). Luca ci dice che nel Getsemani era a causa del loro dolore che i discepoli dormivano. Ma alla Trasfigurazione, egli non fornisce alcuna ragione per la loro lentezza.

Quindi c’è un sonno che è l'occasione della rivelazione e del incontro con Dio ma c’è anche un sonno che significa pigrizia e disattenzione. E vi è anche il sonno della morte. La figlia di Giairo è morta, dice il popolo. Lei dorme, dice Gesù, e ridono. Lazzaro dorme fino a quando Gesù lo richiama in vita. Gesù stesso dormiva e poi si svegliava, come Giona, in una barca tormentata da una tempesta. ‘La notte è avanzata, il giorno è vicino … è ora ormai che vi svegliate dal sonno, perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo’ (Romani 13:11-12). Nel Nuovo Testamento sonno e veglia significano anche morire e risuscitare, essere salvati e portati in gloria. ‘Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce’ (Ef 5,14).

Questi sono diverse significazione del sonno nella Bibbia. C’è un'altra, cioè che Dio stesso non dorme. Ci sono alcuni passaggi molto belli che ci assicurano di questo. Il compositore Mendelssohn metteva uno di questi brani biblici in una musica gloriosa, il Salmo 121 che ci dice che Colui che veglia su di Israele 'non sonnecchia né dorme'. La notte dell'esodo dall'Egitto era una notte di veglia per il Signore (Esodo 12,42). La Trasfigurazione ci insegna che la notte della passione e morte di Gesù sarà anche una notte di veglia per Dio. ‘Svègliati, perché dormi, Signore?’, grida il poeta nel Salmo 44, ‘Dèstati, non ci respingere per sempre.’


La dormiveglia dei discepoli ci ammonisce, ci risveglia, ad un filone ricco di pensiero che si snoda attraverso le Scritture. Adamo, il primo uomo, dormiva mentre Dio creava Eva da lui. ‘Dio riversa i suoi doni sulla sua amata che dorme’, dice il salmo. Sulla croce Gesù dà il suo spirito, sprofondando nel sonno della morte, ma il suo cuore veglia (Cantico dei Cantici 5:2) perché il suo amore è più forte della morte. La Chiesa è nata dal suo fianco mentre dormiva, e quando si sveglia, risuscitato dai morti, è diventato primizia di coloro che sono morti, capo di tutti coloro che il Padre gli ha affidato.

Un'iscrizione paleocristiana, utilizzando la stessa parola greca usato da Luca per la dormiveglia dei discepoli, parla di Cristo come 'la luce che risveglia'. Egli è la Luce del mondo, totalmente vigile in se stesso, ma è anche la luce che risveglia tutti gli altri a nuova vita, portandoci attraverso i nostri momenti di sonno e di stanchezza ad una nuova comprensione, un nuovo amore, una nuova rivelazione della gloria nascosta.



domenica 10 marzo 2019

LA PROVA CI MANIFESTA CHI SIAMO

I Domenica di Quaresima - Anno C 


Ogni anno, la prima domenica di Quaresima, leggiamo il vangelo delle tentazioni di Gesù. Questo per essere incoraggiati all'inizio del digiuno quaresimale. Iniziamo un cammino di quaranta giorni perché Gesù digiunò per quaranta giorni nel deserto. Alla fine, fu tentato dal diavolo. Così non abbiamo un sommo sacerdote che non è in grado di comprenderci nella nostra debolezza, ma piuttosto uno che è stato tentato in tutti i modi in cui noi siamo tentati, anche se lui è senza peccato.

Le persone che cercano di servire Dio o di seguire Gesù devono prepararsi alla tentazione, alla prova. Questo succede perché possiamo sapere chi siamo, in che cosa crediamo, di cosa siamo capaci, e a chi doniamo realmente i nostri cuori. In risposta alle tentazioni che gli vengono poste innanzi, Gesù dimostra di amare il Padre con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente e con tutte le sue forze. Cita brani del Libro del Deuteronomio dove questo genere di amore per Dio viene richiesto a Israele. Gesù si mostra fedele quando viene condotto dallo Spirito nel deserto, dove già il popolo era stato promesso a Dio nel diritto e nella giustizia, nell'amore costante e nella misericordia. Furono messi alla prova per dimostrare il loro amore per Dio e così avviene per lui. Non possiamo aspettarci di non essere messi alla prova dalla vita e in Quaresima ci alleniamo per affrontare questo combattimento.

Quest'anno leggiamo il racconto di Luca. Si differenzia da quello di Matteo in due aspetti. L'ordine delle tentazioni cambia in modo che l'ultima avviene a Gerusalemme. Come dice Luca, il ministero pubblico di Gesù è un viaggio verso Gerusalemme dove egli compie la Pasqua attraverso la morte e fino alla vita della risurrezione. La storia della Chiesa è un viaggio da Gerusalemme e - poiché i discepoli diventano suoi testimoni non solo lì, ma anche in Giudea e Samaria - fino ai confini della Terra. Gerusalemme è al centro dell'opera completa di Luca, che è suddivisa in due parti (Luca e gli Atti) - perciò è calzante con la struttura dell'opera che il diavolo si allontani da Gesù a Gerusalemme.

La seconda differenza è che, nel racconto di Luca, il diavolo si allontana da Gesù "fino al momento fissato". Si incontreranno di nuovo a Gerusalemme quando avverrà la prova finale di Gesù, l'"ora" in cui egli lascerà questo mondo e ritornerà al Padre. La vittoria finale di Gesù sulla tentazione è in quell'ora, sulla croce. Ancora una volta la sua vittoria è triplice: "Padre, perdonali", "Oggi sarai con me in paradiso", "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito".