Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 24 settembre 2017

GIUSTIZIA E MISERICORDIA

Settimana XXV Domenica (Anno A)

«Non è giusto, la sua fetta è più grande della mia». «Non è giusto, ha di più!» «Non è giusto, volevo quella blu!».

Grida dell'infanzia che echeggiano nella mia testa. La parabola degli operai della vigna racconta di un gruppo di operai alcuni dei quali hanno lavorato tutto il giorno, altri per una parte del giorno e pochi per un'ora soltanto. Alla fine della giornata il proprietario paga ognuno di loro con la stessa somma di denaro. Coloro che hanno lavorato tutto il giorno sentono, comprensibilmente, che "non è giusto". Il proprietario della vigna era giusto nel dare loro quello che era stato concordato all'inizio della giornata. Eppure, c'è qualcosa che non torna ..

La maggior parte di noi sente che coloro che hanno lavorato tutto il giorno hanno ragione. Quelli che sono arrivati dopo sono stati stranamente pagati di più per ora di lavoro. Com'è irritante per il primo gruppo sentire il proprietario che fa notare di essere perfettamente giusto, sapendo che, strettamente parlando, lo è, ma allo stesso tempo ce l'hanno con lui.

È molto difficile combinare giustizia e misericordia. Per come li capiamo e ne facciamo esperienza, sembrano incompatibili. Come puoi essere completamente giusto mostrando misericordia (perché la misericordia suona come un "assolvere qualcuno", "accettare di ignorare qualcosa" o addirittura "lasciare che qualcuno la faccia franca con qualcosa")? Come si può mostrare misericordia ed essere al tempo stesso rigorosamente giusti (perché il non insistere sui propri diritti o il non insistere su ciò che ci è dovuto, suona come una decisione di rinunciare alla giustizia)?

Lo stesso problema salta fuori nella storia del figlio prodigo dove il fratello più grande ritiene che il più giovane la stia facendo del tutto franca, divertendosi in un paese straniero, perdendo la sua eredità e poi tornando a casa per essere ricevuto come un principe, anziché come l'irresponsabile perdigiorno che è. La parabola di Matteo degli operai della vigna si occupa degli stessi problemi della parabola di Luca del figlio prodigo.

Di quali problemi? Ebbene, nel contesto in cui Gesù raccontò queste storie, la questione principale era la reazione dei farisei e degli altri al fatto che Gesù accoglieva i peccatori e mangiava con loro. I farisei sono quelli che hanno lavorato tutto il giorno nella vigna del Signore, i peccatori sono quelli che vagano senza meta quando il giorno è quasi finito. Oppure gli ebrei sono quelli che hanno lavorato per tutto il giorno - sono stati il popolo di Dio da secoli addietro - mentre i pagani sono quelli che vagano senza meta alla fine della giornata. Qui è l'importanza della predicazione di Gesù, legata in particolare alla sua frequente affermazione secondo cui egli non è venuto per i sani ma per i malati.

Quindi una prima domanda è se pensiamo a noi stessi come malati o sani. In relazione a Dio, ci consideriamo come appartenenti ai giusti che hanno lavorato duramente tutti questi anni o sentiamo di appartenere ai peccatori cui oggi viene dato il rassicurante ​​messaggio che "non è mai troppo tardi"? Il vangelo di oggi ci sfida in modi differenti, a seconda che ci troviamo tra i malati o i sani.

Una seconda domanda è come consideriamo le altre persone, specialmente quelle che si potrebbe pensare che si siano allontanate da Dio e dalla via della virtù. E se tornano, anche alla fine? È una causa di gioia per noi, una gioia che condividiamo con loro, o ci sentiamo un po' sbalorditi che si siano allontanati così tanto e ci sentiamo di gridare a Dio che 'non è giusto'?

La sensazione di esclusione da ciò che un'altra persona sta godendo fa parte dell'invidia. Ma i doni di Dio non sono come altri tipi di doni. Da bambini sapevamo molto bene che più la torta e il cioccolato erano divisi, meno ce n'era per ciascuno. Con i doni di Dio - grazia, compassione, amore, misericordia - succede che tanto più sono divisi quanto più crescono, perché ognuno che veramente riceve questi doni di Dio e comprende il loro significato diventa a sua volta una fonte di grazia, di compassione, di amore e misericordia nel mondo.

Non possiamo mettere le nostre menti e i nostri cuori dentro le vie di Dio per contenerle o comprenderle. "Le vie di Dio non sono le nostre vie e i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri", dice Isaia. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le vie e i pensieri di Dio sovrastano le vie e i pensieri umani. E quanto le sovrastano? La mente resta sbalordita, e la scienza moderna la confonde ancora di più. Come creature si può dire che siamo come Dio, ma Dio non è come noi, come tanti passi della Bibbia ci insegnano. La parabola di oggi ci spinge a considerare un solo aspetto di questa distanza infinita. Più entreremo nel mondo di Dio, più contempleremo il mistero del suo amore, più cercheremo di vivere secondo il suo spirito e più i nostri standard di onestà e di affari ragionevoli saranno capovolti. "Gli ultimi saranno i primi e i primi, ultimi". Solo l'amore può insegnare la verità di questo paradosso, che l'ingiustizia di Dio è più giusta della giustizia umana.

domenica 17 settembre 2017

RICORDA PER IMPARARE IL PERDONO

XXIV Domenica A

Le letture di questa domenica costituiscono come una sfida per due perle della saggezza popolare. La prima perla sostiene che una persona che ha avuto una particolare esperienza negativa sarà automaticamente empatica e comprensiva verso un'altra persona che ha un'esperienza simile. Molta cura pastorale e tanto supporto terapeutico operano su questa base e ciò sembra ragionevole. Ci aspettiamo che coloro che abbiano sperimentato una particolare perdita o ansia siano più portati ad aiutare gli altri a subire quella perdita o percepire quell'ansia.
Ma il servo della parabola evangelica non ha compassione dell'uomo che gli deve dei soldi anche se il proprio creditore lo aveva appena liberato da un debito molto più grande. La sua azione è sorprendente per coloro che osservano la scena ed è sorprendente per noi, fino al punto che potremmo benissimo restare indifferenti di fronte alla tortura cui è sottoposto alla fine. Potremmo persino trovare gioia in quella tortura e dire 'è degna di lui'.
E qui è la meravigliosa trappola posta da questa parabola, perché ci ritroviamo a comportarci come lui. Chi è lui se non il personaggio di una storia che ha un debito immaginario e chi siamo noi, se non i veri peccatori che sono stati liberati da Dio da un debito reale, la conseguenza dei nostri peccati? Potremmo immaginare che il servo malvagio sotto tortura si volti, guardi verso di noi con gli occhi arrossati e dica: "Pensi di essere diverso da me? Chi di voi, pur essendo stato sciolto da Dio dal debito dei propri peccati, non ha a volte rifiutato di perdonare gli altri, non ha dato tormenti e dolore, non ha usato ogni strategia per farla franca mentre chiedeva conto agli altri severamente del loro operato?'
L'altra perla di saggezza popolare cui le letture lanciano una sfida è che gli esseri umani progrediscono perdonando e dimenticando. Anche questa perla sembra ragionevole, e questi sono i consigli spesso dati a persone che non riescono a lasciarsi alle spalle un'esperienza triste o un tradimento doloroso: "Cerca di perdonare e dimenticare, devi andare avanti e non permettere che questa cosa continui ad avvelenare la tua vita". Ma le letture oggi ci dicono che il perdono è possibile non dimenticando il passato, ma ricordandolo, ricordando di più il passato, ricordando la nostra situazione attuale e ricordando il nostro futuro destino. Se la saggezza popolare dice "perdona e dimentica", la saggezza biblica, arrivando al suo culmine in Cristo, dice "ricorda e così impara il perdono".
I compagni del servo malvagio sono stupiti che egli possa dimenticare così rapidamente la misericordia che gli era stata mostrata. Se tu o io abbiamo difficoltà a perdonare qualcuno, allora possiamo cominciare da qui, ricordando le volte in cui siamo stati perdonati. La prima lettura, dal Libro del Siracide, inizia il suo insegnamento sul perdono a partire da questo punto. Non è ragionevole aspettarti perdono e misericordia se tu non sei disposto a mostrarli. È assurdo continuare a chiedere la misericordia di Dio se non sei disposto ad avere pietà per gli altri. Dobbiamo ricordarci almeno questo.
Ma ci sono altre cose che dobbiamo ricordare mentre cerchiamo di perdonare. Ricorda la fine della tua vita, dice il Siracide, ricorda la distruzione e la morte. Come potrai guardare indietro, possiamo immaginare che dica, se non sei stato in grado di trovare un modo per perdonare. Forse ci ricorda anche il giudizio, il fatto che ognuno di noi deve rendere conto di sé a Dio e dove saremo allora, ansiosi di essere perdonati, ma non comprendendo ciò che il perdono significa perché non lo abbiamo praticato.
Ricorda i comandamenti, continua il Siracide, e ricorda l'alleanza dell'Altissimo. "Fate questo in memoria di me", dice Gesù nell'ultima cena. Ricorda l'alleanza dell'Altissimo, la nuova ed eterna alleanza, sigillata non da un servo crudele (fittizio) sotto tortura, ma dal Figlio (reale) di Dio inchiodato alla croce. Se vuoi imparare il perdono ricorda come il cuore umano della Parola Eterna fu trafitto. Ricorda come quel sangue ha tirato giù le pareti dell'ostilità tra le persone e ha consolidato la pace. Non è una questione di perdono e dimenticanza. È questione di memoria, di ricordare molte cose, e così imparare ciò che significa il perdono.
Coloro che credono in Gesù devono essere ambasciatori del perdono nel mondo e messaggeri di riconciliazione. Ma il perdono non è facile da realizzare e la capacità di perdonare non è una cosa che si raggiunge intenzionalmente. Non importa quanto potente possiamo considerare la nostra forza di volontà, non possiamo forzarci nel perdono. Alla fine è un dono di Dio come Alexander Pope intimò nel suo famoso commento che "errare è umano, perdonare divino". Forse non si tratta di qualcosa che facciamo, ma di qualcosa che ci troviamo capaci di sperimentare, frutto dello Spirito Santo in noi, segno della vita di Cristo in noi, partecipazione alla natura divina, un modo di relazionarci con gli altri nei quali ritroviamo noi stessi (per grazia di Dio) diventando compassionevoli come è compassionevole il Padre celeste .


domenica 10 settembre 2017

LA VERITÀ DELLA COMUNIONE

XXIII Domenica A

Alcuni anni fa il teologo Peter Candler pubblicò un articolo con l'accattivante titolo "Fuori della Chiesa non c'è morte". Che cosa poteva significare? Egli intendeva dire che è solo in una comprensione cristiana dell'esperienza umana che la realtà della morte può essere pienamente compresa. Solo la persona con la virtù teologica della speranza, e la comprensione della persona umana che è richiesta da una tale virtù, può guardare in faccia la morte e vederne tutto l'orrore.
Spesso, noi credenti ci uniamo ai nostri contemporanei negando, in vari modi, la realtà della morte. Ne parliamo come se non fosse un grosso problema, come se fosse un passare da una stanza all'altra, e immaginiamo che la vita continui più o meno come prima, ma senza mal di testa o indigestione, senza sangue, sudore o lacrime. La persona di speranza, invece, non ha una tale visione delle cose con cui consolarsi. L'oggetto diretto della nostra speranza è Dio, non una forma futura della vita umana. L'oggetto della speranza è Dio che è amore e che è la vita, nella cui Parola abbiamo fiducia quando ci parla di una partecipazione alla sua vita eterna. Ma non sappiamo praticamente niente di che cosa sarà o di come sarà, tranne che sarà una vita, che sarà una vita d'amore e che comporterà la compagnia di Cristo e dei santi.
Proprio come si può essere veramente coraggiosi solo quando si affronta qualcosa di pauroso, così è possibile sperare solo quando si affronta qualcosa che presenta estrema difficoltà. Proprio come la paura e il coraggio non sono incompatibili, ma uno richiede l'altro, così la tristezza e l'ansia da un lato e la speranza dall'altro, non sono incompatibili ma si richiedono reciprocamente. Tant'è vero che la speranza rende possibile la vera tristezza proprio come il coraggio ci dà un vero apprezzamento di ciò che temiamo. Questo, credo, è ciò che Candler intendeva dire sul fatto che al di fuori della Chiesa non c'è morte: solo in una comprensione cristiana dell'esperienza umana possiamo assaggiare pienamente la realtà di situazioni negative come la paura, l'ansia, la tristezza e la perdita.
La lettura evangelica di oggi riguarda la scomunica, la situazione triste e difficile nella quale la comunità cristiana giunge alla conclusione che uno dei suoi membri, per motivi di fede o stile di vita, non è più in piena comunione con la Chiesa. Preferiamo non pensare a tali cose, come preferiamo non pensare alla realtà della morte. Infatti, la scomunica è una specie di morte, una ferita terribile nel corpo di Cristo, una vera tristezza e una profonda perdita. Significa che non abbiamo mantenuto la comunione a cui Cristo ci chiama e per cui ha pregato nella sua ultima grande preghiera al Padre.
La lettura del Vangelo dice che dobbiamo fare ogni tentativo per mantenere quella comunione: parlare privatamente con una persona prima di tutto, parlarle in presenza di una o due altre persone, e solo se è assolutamente necessario porre il caso all'attenzione di tutta la Chiesa. La conclusione è fredda e possiamo anche chiederci: 'è cristiano'? Sicuramente possiamo trovare un modo per stare insieme, per rimanere in comunione! Ma anche la verità preme, non per servire una struttura del potere o per mantenere una certa finta conformità. La verità preme perché è la verità di quella comunione stessa: cosa potrebbe succedere se il fondamento della nostra unità fosse annullato da ciò che una persona crede o da come una persona vive? La nostra comunione morirebbe.
Questo passo del vangelo di Matteo tratta della difficoltà di rimanere insieme e riflette su come, anche nella Chiesa primitiva, successe molto rapidamente che si presentassero dei problemi a stare insieme. A volte le persone faranno le cose, o arriveranno a credere delle cose, che la Chiesa considera incompatibili con la vita del vangelo. Ovviamente esitiamo a usare la parola "scomunica" ma nei rapporti umani è questa a volte, purtroppo, la realtà. Anche dopo aver fatto del nostro meglio, non vediamo come alcuni possano restare dentro la vita della comunità. Alcuni modi di vivere e alcune convinzioni non sono compatibili, per quanto possiamo vedere, con la vita nella Chiesa. Di solito sono le persone stesse che prendono la decisione di separarsi dalla Chiesa perché non condividono più le proprie convinzioni o non sono più convinti della bontà del suo insegnamento. Molto raramente la Chiesa stessa fa questa decisione su una persona o un gruppo di persone.
Non possiamo mai essere felici dell'esclusione di un fratello o di una sorella. È una morte e la morte è terribile, l'ultimo nemico dell'uomo che fiorisce, un fallimento definitivo. Ma nell'ambito della speranza cristiana, l'esclusione non può mai essere l'ultima parola su una persona o sul nostro rapporto con lei. Tali persone rimangono sempre figlie del Padre celeste, chiamati ad essere fratelli e sorelle di Gesù. Mi piace pensare che i due o tre riuniti nel nome di Cristo alla fine di questa lettura evangelica sono gli stessi due o tre che hanno precedentemente affrontato il fratello o la sorella nell'errore. Stanno pregando e la preghiera è l'atto proprio della virtù della speranza. Nella loro mente mentre pregano deve esserci lo stesso fratello o sorella cui la Chiesa ha deciso di rapportarsi come se fosse un pagano o un esattore delle tasse. E c'è Cristo in mezzo a loro.
Fuori della Chiesa non c'è morte perché la vita cristiana ci rende più sensibili alla verità di ciò che la morte è veramente. Ma al di fuori della Chiesa, possiamo dire, non c'è un "fuori", perché le preghiere della Chiesa, come l'ansia dei genitori amorevoli, seguono i propri figli ovunque. Anche quando non possiamo vedere come si possa trovare l'unità e la riconciliazione, dobbiamo continuare a sperare di raggiungerle, pregare e lavorare per conquistarle. Tutti i comandamenti sono riassunti, dice San Paolo, in questo: "Ama il prossimo come te stesso". Sappiamo che tutti sono il nostro prossimo, quelli che vivono e quelli che sono morti, quelli che sono malati e quelli che stanno bene, quelli che sono in comunione gioiosa con noi e quelli che sono in triste separazione da noi. Noi sfioriamo i limiti delle nostre capacità, ma sappiamo che il Signore, crocifisso per la nostra riconciliazione, allunga le braccia lungo gli orizzonti più lontani di questa creazione per raccogliere tutti i figli di Dio dispersi.