Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 18 febbraio 2018

IL VOLTO VERAMENTE UMANO

I SETTIMANA QUARESIMA - DOMENICA ANNO B

Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3,18-22; Marco 1,12-15


Solo tre anni fa 'Je suis Copte' era uno slogan usato da molte persone sui social media. Faceva riferimento al terribile omicidio, in Libia, di 21 cristiani egiziani per mano dello Stato islamico. Da allora ci sono stati molti altri "Je suis" ogni volta che quello e altri gruppi hanno continuato le loro brutali campagne di odio e intimidazione.

La maggior parte delle persone che vive nel mondo di oggi non ha mai visto una brutalità simile a quella portata avanti da questo gruppo negli ultimi anni. Ciò non significa che tali cose non stessero accadendo anche prima. Ciò che è diverso ora è che stanno accadendo in tutto il mondo. Stanno accadendo sui nostri schermi di computer e televisori, e questo significa nei nostri salotti, nelle nostre camere da letto, nei nostri uffici, nei nostri giardini. Ci troviamo a faccia a faccia con un grande male - se non fosse che molto spesso questo male non ha "faccia". E dopo ogni conquista, scompare dietro lo scenario della vita ordinaria.

I cristiani che furono assassinati ricevettero la grazia, a quanto pare, di essere degli autentici martiri. Il significato della parola "martire" è stato distorto da persone che si uccidono o restano uccise mentre uccidono altre persone. Non è questo il senso di questa parola! Un vero martire è colui che muore vittima della violenza, non chi muore attuandola. Un vero martire è colui che non rende male per male ma cerca di restituire bene per male. E un autentico martire, in senso cristiano, è colui che muore per la sua fede in Cristo. Sembra che agli egiziani uccisi dallo Stato islamico sia stata data la possibilità di scelta fra il rinnegare Cristo e il morire. Hanno scelto di morire piuttosto che rinnegarlo, e questo rende autentico il loro martirio.

Impressionante, nelle fotografie di questo evento, è stato vedere che coloro che sono stati uccisi erano esseri umani ai nostri occhi: potevamo vedere i loro volti, potevamo avere un'idea della loro personalità, potevamo chiederci quali fossero i loro pensieri e sentimenti in quegli ultimi momenti della loro vita. Gli uomini in piedi dietro di loro avevano i volti coperti. Perfino i loro corpi erano camuffati dentro lunghe vesti nere. Erano agenti anonimi di un terribile male scatenatosi nel mondo. Un male pronto ad uccidere ma che ha paura di mostrare il suo volto.

Spesso, in questi primi giorni di quaresima, sentiamo parlare di un vivere nella luce e di un vivere nelle tenebre. Siamo figli del giorno quando apparteniamo a Cristo, non apparteniamo alla notte o alle tenebre. Le buone azioni vengono alla luce, non c'è bisogno di nasconderle e non c'è bisogno di temere. La malvagità preferisce la notte e l'oscurità, le ombre furtive, i luoghi freddi e crudeli. In Quaresima, cerchiamo di portare il male alla luce, di guardarlo in faccia, il male in noi stessi e negli altri, e di provare con tutte le nostre forze a neutralizzarlo.

I copti egiziani morirono in un luogo deserto, qualcosa di simile al luogo in cui fu tentato Gesù. Che fu tentato da Satana, stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Sicuramente gli angeli servirono anche quei giovani cristiani messi a morte: altrimenti come avrebbero potuto perseverare, come avrebbero potuto tenere lo sguardo fisso sulla loro meta, come avrebbero potuto sopportare ciò che hanno subito? Anche Cristo è stato messo a morte nella carne ma è stato riportato in vita nello Spirito. E nel corso di quel passaggio dalla morte nella carne alla vita nello Spirito discese agli inferi.

L'inferno è un luogo in cui gli spiriti sono in prigione, e Gesù è andato a predicare lì. Che cosa ha predicato lì? Non aveva bisogno di dire loro che erano nei guai, che erano stati imprigionati, che erano persi. Ha predicato loro la buona notizia della sua vittoria, ha parlato dello spargimento del suo sangue, ha insegnato la redenzione del mondo attraverso quel sangue che si immerge nella sabbia asciutta per supplicare con un'insistenza più grande di quella di Abele: sangue umano innocente, che grida al cielo, sin dall'inizio del mondo.

'Je suis Islamic State'. Potrebbe sembrare uno scherzo perverso, ma dobbiamo cercare di stare accanto a questi spiriti imprigionati, cercare di capire cosa li ha portati a tale disumanità. Quale umiliazione, quale paura, quale derisione della loro religione o nazionalità, quale esclusione o rifiuto, quale orgoglio superfluo, quale pensiero distorto, quale tristezza - cos'è che chiude il cuore e distrugge la coscienza in modo che le persone finiscano col fare cose simili ad altri esseri umani? Troppo facile dire che sono animali, meno che umani, barbari e mostri.

La Quaresima ci chiama a togliere le nostre maschere, per mostrare il nostro vero volto, per venire fuori, alla luce della verità, della bontà e dell'amore. La Quaresima ci ricorda che la natura umana, in ognuno di noi, è capace di profonda distorsione e crudeltà. Troppo facilmente possiamo allontanarci dal regno annunciato da Gesù per piantare le nostre tende nella regio dissimilitudinis di cui parlano i santi cristiani, un luogo di confusione e paura, di distorsione e crudeltà.

Ma la stessa natura umana è capace anche di eroismo e fedeltà straordinari, di amore e compassione duratura. Il salmo di oggi indica dove si trova veramente la nostra forza: "Il Signore guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via". Quanti gli appartengono e rimangono fedeli a lui in questa vita, umili e poveri, crescono radiosi alla luce del volto di Dio, prosperano, fioriscono e producono frutti per l'eternità.
Voi tutti martiri del Signore, pregate per noi!

domenica 11 febbraio 2018

UNA VERITÀ RADICALMENTE SCANDALOSA

VI DOMENICA, ANNO B

Letture: Levitico 13,1-2.44-46; Salmo 31,1; 1 Corinzi 10,31-11,1; Marco 1,40-45

Sul soffitto della Cappella Sistina c'è il famoso affresco di Michelangelo, "la creazione di Adamo", in cui la mano tesa di Dio Creatore tocca quasi, ma non completamente, la mano tesa di Adamo. All'interno di quel piccolo spazio tra le due dita si trova - così possiamo immaginare - l'intera energia della creazione, come se "Colui che è" cerchi "colui che non è" così che possa arrivare ad essere. Dio disse "Sia!", ed egli fu.

Nell'odierna lettura del vangelo, Gesù cerca e tocca un lebbroso che ha chiesto di essere purificato. Nel momento in cui la mano tesa di Gesù raggiunge il corpo sofferente del lebbroso si trova - così possiamo immaginare - l'intera energia della nuova creazione, come se il Verbo che si fa carne raggiunga colui che è soggetto al potere del peccato e della morte, così che possa vivere una vita nuova. Gesù disse: "Lo voglio, sii purificato" e la lebbra lo lasciò.

Nel toccare il lebbroso, Gesù agisce scandalosamente, infrangendo le leggi che ci vengono ricordate dalla prima lettura della Messa di oggi. Il lebbroso era impuro e doveva vivere in disparte, dice il Libro del Levitico, egli deve vivere "fuori dall'accampamento". Quindi possiamo anche immaginare che la mano di Gesù protesa verso il lebbroso giunga dall'interno della Legge, dall'interno delle tradizioni e del decoro di Israele, dall'interno della cultura e della civiltà, nel modo in cui gli esseri umani riescono a stabilire queste cose. Egli la stende dal di dentro della legge, del decoro e della civiltà per poter toccare qualcuno che è impuro, che dimora ai margini e anche oltre i limiti della legge, del decoro e della civiltà.

Nel fare questo Gesù rivela la verità radicalmente scandalosa che Dio è amore. Mosso dalla compassione per ciò che non è (così dice Tommaso d'Aquino) Dio crea. Mosso dalla compassione per chi sta soffrendo (Marco usa il termine realistico "sentendolo nelle sue viscere") Gesù crea di nuovo. Dio non sta aspettando che diventiamo presentabili, per rimetterci in ordine, prima di riaccoglierci. San Paolo dice che anche se possedessimo ogni sorta di formidabili meriti morali e spirituali, ma fossimo senza amore, allora non ci servirà affatto. Ciò che prova che Dio ci ama, Paolo dice altrove, è che Cristo è morto per noi mentre eravamo ancora peccatori. L'amore di Dio ci tocca mentre siamo ancora lebbrosi.

Altrettanto impressionante in questo incontro con il lebbroso è il fatto che, alla fine, il lebbroso può tornare alla civiltà mentre Gesù "non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti". È come se si fossero scambiati il posto: il lebbroso ora purificato può muoversi di nuovo nella società umana, mentre Gesù è costretto a vivere come se fosse un lebbroso, fuori dall'accampamento. La sua emarginazione diventa più notevole proprio mentre la storia va avanti e il potere del peccato si afferma sempre più fortemente contro di lui. Alla fine sarà crocifisso fuori dalla città e addirittura "scenderà agli inferi".

Ecco il grande scandalo salvifico in cui credono i cristiani: il fatto che Dio sta attraversando i limiti della sua creazione, ben oltre i confini che noi possiamo controllare, amando la sua creazione anche nei suoi limiti più lontani, più deboli, più alienati. Dall'interno della legge ('va' a mostrarti al sacerdote') Gesù trascende la legge ('tese la mano e lo toccò'). Dall'interno della comunità, Gesù raggiunge il contatto con uno che è fuori dalla comunità. L'amore ispira questo sviluppo e porta all'istituzione di una nuova legge e di una nuova comunità.

Nel toccare il lebbroso, Gesù ci fa intravedere qual è la sua opera. Sta stabilendo nuovi confini. Ci apre la possibilità di una "civiltà dell'amore" che ci attrae fortemente perché siamo arrivati ​​a credere che qui è dove l'amore di Dio - l'amore che Dio è - deve essere trovato e sperimentato. Come Paolo dice nella seconda lettura di oggi, coloro che imitano Cristo non cercano il proprio vantaggio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

Questa omelia è stata pubblicata per la prima volta in inglese su torch.op.org il 15 febbraio 2009