Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

sabato 18 aprile 2020

SABATO FRA L'OTTAVA DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 4:13-21; Salmo 117 (118); Marco 16:9-15

Come finisce il vangelo di Marco? Le edizioni critiche del testo terminano alle 16,8: "non hanno detto niente a nessuno perché avevano paura". Sembra uno strano finale del vangelo, che è uno dei motivi per cui in alcuni dei primi manoscritti si aggiungono finali più brevi e più lunghi. Il brano che leggiamo oggi è il finale più lungo, una sintesi degli incontri che i discepoli hanno avuto con il Signore risorto nei giorni successivi alla risurrezione e che sono registrati in modo più completo negli altri vangeli. Questa lettura è una sintesi appropriata per concludere la prima settimana di Pasqua.

Il fatto che il vangelo di Marco ha vari finali ci ricorda che il Vangelo non finisce mai. È una storia che si apre alla vita di coloro che la ascoltano. I capitoli successivi del Vangelo sono la vita della Chiesa, la vita di tutti e di tutte coloro che ascoltano il suo messaggio, la vita di tutti coloro a cui il Vangelo è destinato.

The Never-Ending Story [La Storia Infinita] è stato un film popolare alcuni anni fa. È la storia di un ragazzo che trova un libro affascinante in cui, leggendolo, scopre con stupore di essere un personaggio della sua storia. Il Vangelo è così. Tutti sono un personaggio della sua storia. La vita di ogni essere umano è ancora un capitolo in più nell'affascinante e interminabile storia della creazione e della salvezza, del peccato e della grazia, della promessa e del compimento.

Gli strani finali del vangelo di Marco fanno emergere anche questo punto, che la risurrezione non è solo un lieto fine di quello che altrimenti sarebbe stato un racconto tragico. Non è che possiamo tornare alle nostre vite ordinarie sollevati dal fatto che la storia di Gesù, dopo tutto, ha avuto un lieto fine. Piuttosto, la risurrezione è l'apertura di una nuova storia, l'inizio di un nuovo racconto. La risurrezione è un primo capitolo, non un ultimo capitolo o un epilogo. Ed è impressionante, questa storia di nuova creazione (che implica una de-creazione), di nuova vita (che implica una morte), di rinnovamento radicale (che implica un cambiamento radicale nella nostra comprensione e nel nostro modo di vivere).

I vari finali di Mark sollevano interrogativi, sì, ma confermano anche che è successo qualcosa di travolgente. Di cosa potrebbero essere sicuri i primi discepoli? Di cosa possiamo essere sicuri noi? C'è un cambiamento radicale nei discepoli e molto presto sentiremo di nuovo parlare della nascita della Chiesa. C'è anche la possibilità di un cambiamento radicale per noi stessi mentre il Signore risorto respira sui suoi discepoli lo Spirito che viene ad operare nella loro vita.

Non c'è da stupirsi che le donne fossero spaventate, poco inclini a parlare con qualcuno di ciò che per il momento era semplicemente sconcertante e inquietante. È necessario un viaggio per entrare in ciò che significa la Risurrezione e la lettura del Vangelo di oggi lo rende troppo chiaro, un viaggio dall'incredulità e dalla paura, attraverso l'interrogarsi e la speranza, alla fede e alla gioia. Non tutti vivono ancora felici e contenti, il mondo ha tante sfide da affrontare, c'è bisogno sempre del annuncio della salvezza data al mondo nel nome di Gesù, quindi continuiamo a leggere e a scrivere il nostro capitolo ...


venerdì 17 aprile 2020

VENERDI FRA L'OTTAVE DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 4:1-12 ; Salmo 117(118); Giovanni 21:1-14

Ci sono molti numeri citati nelle letture di oggi. La comunità di Gerusalemme è ormai cinquemila persone, un gruppo molto significativo, il che può spiegare la crescente preoccupazione delle autorità. Quando gli Atti degli Apostoli dice "cinquemila uomini" significa probabilmente lo stesso che ha fatto all'alimentazione dei cinquemila, cioè cinquemila "senza contare le donne e i bambini" (Matteo 14:21). Così la fede si sta diffondendo e la predicazione degli apostoli sta dando i suoi frutti. In questo tempo di malattia contagiosa che si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo è importante ricordare che anche le cose buone possono essere contagiose - qualità come la fede, la gentilezza, la compassione e l'amore. Ma la crescita della comunità dei credenti provoca l'opposizione delle autorità e ben presto l'apertura di una persecuzione nei loro confronti, prima degli apostoli (Atti 5), poi di Stefano (Atti 7) e infine di tutta la comunità (Atti 8).

Ci sono quattro numeri menzionati nella lettura del Vangelo. Gesù appare a sette discepoli che sono andati a pescare. Sono a duecento cubiti, o a cento metri dalla riva. Prendono centocinquantatrè pesci. E questa è la terza apparizione di Gesù ai discepoli.

Ai tempi dell'interpretazione allegorica i predicatori si sentivano obbligati a trovare significati profondi in qualsiasi numero menzionato nelle Scritture. Alcuni numeri sembrano ben qualificati per ricevere tale attenzione, a causa della loro importanza nella storia del popolo di Dio - il numero quaranta, per esempio, o il numero dodici. Altri numeri non sono così ovviamente significativi. Qui però il numero "153", molto preciso e insolito, ha attirato molta attenzione nel corso dei secoli. L'interpretazione comune è che esso rappresenta tutte le nazionalità conosciute all'epoca. Il suo uso qui serve a indicare che il pescare degli uomini in cui gli apostoli si impegneranno sotto la direzione di Gesù mieterà un raccolto universale.

È ragionevole supporre che questo numero debba avere un qualche significato: è credibile immaginare che mentre alcuni dei discepoli facevano colazione con Gesù, altri contavano i pesci che avevano pescato? Forse l'hanno fatto, per raccontarlo poi agli altri.

La distanza dalla riva - 200 cubiti o 100 metri - sembra non avere un significato particolare. Ci viene detto che significa che non erano lontani dalla riva. Ma forse era abbastanza lontano per spiegare in parte perché i discepoli non hanno subito riconosciuto Gesù. Il discepolo amato lo ha fatto, ma la tradizione ci dice che era il più giovane e quindi forse quello con la vista più chiara. (Naturalmente possiamo anche dare a questo un significato più profondo: come il discepolo che Gesù amava era meglio attrezzato per riconoscerlo).

Ci sono altri due numeri nella lettura del Vangelo. Gesù appare a sette discepoli. Pietro, Giacomo e Giovanni sono un trio familiare. Sono affiancati da Tommaso e Natanaèle, ognuno dei quali figura in modo importante nel vangelo di Giovanni. Ci sono anche due discepoli senza nome, anche se, se il discepolo amato è uno di questi due piuttosto che Giovanni il figlio di Zebedèo, allora sappiamo chi erano sei di loro. Rimane almeno un discepolo senza nome. Forse dopo c'era qualche confusione su quale di loro fosse presente in questa occasione? O dovremmo prenderla allegoricamente e vedere il settimo discepolo come "ogni cristiano". Quindi è tu, io, e ogni singola persona che si impegna a seguire il Signore? Noi partecipiamo alla missione apostolica in un modo o nell'altro, siamo invitati a fare colazione con il Signore e a ricevere dalle sue mani il pane benedetto.

Infine c'è il numero tre: questa è stata la terza volta che Gesù è stato rivelato ai discepoli dopo essere risuscitato dai morti. Su questo c'è bisogno di un po' di chiarimento. O l'apparizione a Maria Maddalena non viene considerata come "ai discepoli", oppure le apparizioni a distanza di una settimana che coinvolgono Tommaso e i suoi dubbi vengono considerati come un'unica apparizione in due parti. La soluzione più probabile è la prima, che l'apparizione a Maria non sia considerata come un'apparizione "ai discepoli" e quindi questa è la terza volta che Gesù appare a un gruppo di loro. 

Potrebbe essere che questa terza apparizione sia importante come conferma dell'affermazione che Gesù è risorto dai morti. È comune in tutte le Scritture dire che ogni affermazione deve essere supportata dalle prove di due o tre testimoni. Forse, quindi, questo significato è stato visto in questa apparizione di Gesù: è la terza prova e quindi l'affermazione è sostenuta, è dimostrato.

Tuttavia, c'è ancora un altro numero ancora nelle letture di oggi e questo è il numero uno. Nella prima lettura Pietro dice alle autorità che Gesù Cristo è la (unica) pietra che è stata scartata ma che è diventata la pietra d'angolo. Pietro continua dicendo alle autorità che sotto il cielo c'è un solo nome dato agli uomini, nel quale è stabilita che noi siamo salvati. È il nome di Gesù Cristo.

Questo è implicito anche nella lettura del Vangelo: Gesù è solo sulla riva, è il solo e unico Signore. Il fuoco di brace ricorda a Pietro la sua triplice negazione di Gesù. Ma il rifiuto non solo di Gesù, ma del Signore, il Dio d'Israele, che è venuto dalla bocca dei capi dei sacerdoti - "non abbiamo altro re che Cesare", Giovanni 19:15 - è un'apostasia devastante che ora viene corretta e trasformata. "È il Signore", dice il discepolo prediletto, e gli altri lo riconoscono allo spezzare il pane (Giovanni 21:12).

Alla fine, uno è l'unico numero qui che davvero conta. "Il Signore, nostro Dio, è un solo Signore" (Deuteronomio 6,4). Sappiate con certezza, dice Pietro in una predica precedente, che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso (Atti 2:36, letto il martedì di Pasqua).

giovedì 16 aprile 2020

GIOVEDI FRA L'OTTAVA DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 3:11-26; Salmo 8; Luca 24:35-48

Tutto è fatto nuovo nella risurrezione di Gesù, eppure tutto avviene in continuità con quanto era stato rivelato prima. Questo compimento (pleroma) delle antiche profezie è un tema centrale in entrambe le letture della Messa di oggi.

Pietro nella sua omelia alla folla, eccitato dalla guarigione dello storpio, risale fino ad Abramo e Mosè e si riferisce a Samuele e ai profeti che sono venuti dopo di lui. Ciò che è accaduto è stato, a un certo livello, il risultato dell'ignoranza umana: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Su un altro livello, come abbiamo già visto questa settimana, è tutto all'interno della preveggenza e dell'intenzione deliberata di Dio. Gli esseri umani hanno crocifisso l'Autore della Vita, il Signore della Gloria, non sapendo cosa stavano facendo, ma anche questo è contenuto in ciò che era stato previsto.

Che il Cristo avrebbe sofferto è stato il primo grande ostacolo e quindi una parte centrale dell'annuncio iniziale della risurrezione è stata quella di mostrare che questa sofferenza era "necessaria". Necessaria in questo contesto biblico significa prevista, anticipata, qualcosa che era già contenuta in ciò che era scritto. Che doveva essere così significa che è conforme alle Scritture che, come Parola di Dio, rivelano la mente e l'intenzione di Dio. Tenete d'occhio quanto spesso questa frase, "secondo le Scritture", apparirà nelle prossime settimane. Noi l'abbiamo persino inserito nel nostro Credo e la proclamiamo ogni domenica: "è risorto il terzo giorno secondo le Scritture".

Il termine adempimento (pleroma) appare di nuovo nella lettura del Vangelo. Ora è Gesù che spiega le cose ai discepoli a Gerusalemme. È quello che vi ho detto quando ero ancora con voi, egli dice, bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me. Il termine rabbinico TaNaKh è venuto a riferirsi al contenuto della Bibbia ebraica: Torah, la legge, Nevi'im, i profeti e Ketuvim, gli scritti. Mentre Gesù non usa questo termine si riferisce a quello stesso contenuto: la Legge, i Profeti, i Salmi: tutto ciò che è scritto in tutte le parti delle Scritture deve essere adempiuto.

Tutte le cose sono fatte nuove nella risurrezione di Gesù, eppure tutto avviene in continuità con ciò che era già stato scritto. Quindi il primo compito di Gesù è quello di aprire la loro mente per comprendere le Scritture. E ci sono molte cose da capire. Una è la necessità della Sua passione e la necessità della croce. Un altro è il fatto della Sua risurrezione dai morti. E ora c'è la nuova e continua realtà che inserisce anche la loro vita in questa realizzazione del piano di Dio: la conversione e il perdono dei peccati devono essere predicati nel suo nome a tutti i popoli a partire da Gerusalemme. Gli apostoli e i discepoli sono i testimoni di queste cose. Perciò ora devono essere anche i predicatori di questa notizia e i maestri dello stile di vita a cui essa chiama le persone.

E così questa storia e questa chiamata vengono anche a noi, la comunità dei discepoli di Gesù nel mondo di oggi. Noi siamo, nel nostro tempo e nel nostro luogo, i testimoni di queste cose e i predicatori di questo messaggio. Abbiamo bisogno che Gesù continui ad aprire la nostra mente per comprendere le Scritture. E abbiamo bisogno della promessa di Suo Padre, lo Spirito Santo, di rivestirci del potere necessario per continuare la Sua missione: per darci fede e comprensione, conversione e perdono dei peccati, speranza e coraggio.

mercoledì 15 aprile 2020

MERCOLEDI FRA L'OTTAVA DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 3:1-10; Salmo ; Luca 24:13-35

L'inizio della prima lettura, da Atti 3, riporta alla mente la storia dell'uomo cieco dalla nascita, registrata in Giovanni 9. L'uomo guarito da Pietro e Giovanni è storpio anche lui dalla nascita e per la sua abitudine a bighellonare nel Tempio, a mendicare alla Bella Porta, è anche ben noto al popolo.

Ci sono però un paio di differenze notevoli. Qui non ci sono problemi che la gente lo riconosca quando lo vede camminare e saltare. In Giovanni 9 le persone non sono sicure se sia il cieco o meno quando lo vedono dopo che è stato curato. Lo storpio guarito è entrato nel Tempio con Pietro e Giovanni, il che significa, a quanto pare, che è diventato subito un discepolo. Non c'è un processo di riconoscimento da parte sua, come nel caso del uomo nato cieco. È come se tutto si svolgesse in una luce più semplice e chiara: Pietro e Giovanni lo guardano con attenzione, la gente lo vede quando è guarito, e lui vede quello che deve fare.

Uno dei temi del ben conosciuto passo evangelico letto oggi, Gesù con i discepoli sulla via verso Emmaus, è vedere ed essere visti, più specificamente riconoscere ed essere riconosciuti. Ci viene detto che all'inizio qualcosa ha impedito a Cleopa e al suo compagno di riconoscere Gesù, anche se chiaramente Lui li ha riconosciuti. Inoltre non riescono a vedere come ciò che è accaduto a Gesù sia stato a lungo predetto nelle Scritture, anche da Mosè.

Così il lavoro che Gesù deve fare con loro è di aprire i loro cuori per comprendere le Scritture e poi aprire i loro occhi per riconoscerlo, cosa che hanno fatto quando ha preso il pane, l'ha benedetto, l'ha spezzato e l'ha dato loro. Nell'Ufficio delle Letture di oggi Gesù è descritto come "artefice dello splendore": è la luce della nuova creazione già splendente, la luce in cui la comprensione e il riconoscimento diventano più semplici, più diretti.

L'esperienza della grazia affonda le sue radici nella lingua ebraica nella semplice esperienza di essere guardato ed essere visto. Quando sentiamo di una persona che trova favore agli occhi di qualcun altro - Noè agli occhi di Dio, per esempio, o Ester agli occhi del re - ciò è che significa la grazia: essere visti, essere notati, essere guardati con attenzione, essere presi in considerazione, essere riconosciuti, come i discepoli sono da Gesù e Lui è, alla fine, da loro.

Essere riconosciuti significa esistere per un'altra persona. "È te stesso", si chiede in Irlanda. Significa non solo essere visti fisicamente, ma essere conosciuti. Significa anche essere valorizzati e apprezzati: parliamo di persone che ricevono il riconoscimento che meritano, per chi sono o per quello che hanno fatto. Essere riconosciuti significa essere tenuti nella stima e nell'amore di un altro. La madre o il padre dà un senso di identità e di valore al proprio neonato semplicemente guardandolo con attenzione. E il bambino fa già lo stesso guardando indietro, riconoscendo la "mamma" o il "babbo" e a volte anche - e che cosa gloriosa! - con un sorriso.

Così i primi discepoli - e noi con loro - rinascono in un mondo nuovo, una nuova creazione, un nuovo modo di vivere. In questo mondo splende un Sole diverso, quello sorto dalle tenebre della morte. Egli irradia una luce in cui, in primo luogo, conosce i suoi, e poi, prima o poi, i suoi lo conoscono. La grande gioia della Pasqua, infatti, non è che la gente sia venuta a riconoscere Gesù risorto, ma che Gesù sia venuto a riconoscerli, a tenerli nel suo sguardo, a guardarli e ad amarli, a stabilirli in una dignità, in un'identità e in un valore mai immaginati.

Gesù dice 'Maria', e lei lo è. E 'Pietro', e così è. E (presumibilmente) 'Cleopa' e anche lui, riconosciuto da sempre da Colui che Cleopa e il suo compagno hanno riconosciuto solo nel momento della sua partenza, nello spezzare il pane. E Gesù pronuncia anche il mio nome mentre mi guarda e mi chiama nel suo regno. "Alzati e cammina", mi dice.

martedì 14 aprile 2020

MARTEDI FRA L'OTTAVA DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 2:36-41; Salmo 32 (33); Giovanni 20:11-18

La risurrezione di Gesù è l'inizio della nuova creazione. È nell'ottavo giorno che egli risorge e molti dei racconti delle sue apparizioni evocano i primi momenti della creazione. Niente di più di quello che ascoltiamo oggi, l'incontro di un uomo e una donna in un giardino, la mattina presto, il primo giorno della settimana.

Il Signore è nel giardino e Maria lo cerca, credendo ancora che il suo corpo sia stato portato altrove. Ma come il primo Adamo nominò tutte le creature viventi, compresa la donna che Dio aveva creato per lui, Gesù la chiama: "Maria". Non è più la generica "donna", ma se stessa, Maria di Magdala, peccatrice di fama e fedele compagna di Gesù fino alla fine. Ora è la madre di tutti i viventi in un altro senso, come la prima ad incontrare il Signore risorto e la prima a pronunciare l'annuncio pasquale: "Ho visto il Signore: è risorto!"

Nel nominarla, Gesù porta Maria nella nuova realtà, nella nuova creazione. Per lei è una sorta di battesimo: il Padre di Gesù è suo Padre, il suo Dio è il suo Dio, e lei deve andare a dirlo ai discepoli.

Nella prima creazione Dio ha parlato e tutto è venuto ad essere. Nella nuova creazione Gesù ha detto 'Maria' e lei è riconosciuta e ha il suo posto lì con Lui. Anche lei deve parlare e molto presto vedremo anche Pietro e gli altri parlando, raccontando della risurrezione e della nuova realtà inaugurata da essa. Anche loro saranno riconosciuti dal Signore risorto, avranno il loro posto nella nuova creazione e saranno incaricati di andare a dire agli altri che Egli è risorto.

Così nella prima lettura di oggi vediamo Pietro, l'impulsivo e pratico pescatore della Galilea, diventare ora il retore del Signore, oratore della nuova creazione. Probabilmente non aveva studiato le opere di Cicerone sulla retorica, né aveva imparato che l'oratore pubblico deve informare, deliziare e persuadere i suoi ascoltatori. Ma per una specie di grazia infusa - egli parla sotto l'influenza dello Spirito Santo! - è un maestro del mestiere. Parla per informarli, li discute e li esorta, sono tagliati per il cuore - un particolare tipo di delizia. Sono convinti dalle sue argomentazioni, commossi ad agire, e dicono "cosa dobbiamo fare?" Pentitevi e fatevi battezzare, prendete posto nella nuova creazione.

La nuova creazione è un regno di incontro e di conversazione, della Parola che sta con il Suo popolo e parla con loro, di coloro che vengono alla fede e a loro volta parlano con gli altri, raccontando tutti gli avvenimenti successi in Giudea in questi ultimi giorni. Noi viviamo la nostra fede, e continuiamo la storia, stando insieme come suoi discepoli, testimoniando il regno che Egli ha stabilito, incontrando gli altri e parlando con loro come fece Gesù. Mentre incontrava Maria e parlava con lei, e con i discepoli, con la samaritana, con l'uomo nato cieco, con i lebbrosi e i posseduti, coi suoi amici di Betania, coi discepoli sulla strada per Emmaus... 

Parliamo per informare, deliziare e persuadere gli altri. Ma soprattutto, Egli continua a parlarci in molti e vari modi, a informarci e a deliziarci, a riconoscerci e a chiamarci per nome, a convincerci del posto che ha per noi nel suo regno. Lo incontriamo nella Sua Parola, nei sacramenti, nella Chiesa, nei poveri, nel prossimo, nella creazione ... non abbiamo bisogno di chiederci dove è stato posto perché è vivo in tutti questi modi. Più tardi San Paolo, continuando la storia, parlerà di questa nuova creazione come "il mistero nascosto da secoli e generazioni ... che ora si è manifestato ... Cristo in voi, la speranza della gloria" (Colossesi 1, 26-27).

lunedì 13 aprile 2020

LUNEDI FRA L'OTTAVA DI PASQUA

Letture: Atti degli Apostoli 2:14,22-33 ; Salmo 15 (16); Matteo 28:8-15


Il domenicano inglese Cornelius Ernst ha pubblicato un articolo intitolato "How to See an Angel". In parte, diceva, perché è un titolo divertente, ma anche per parlare di quelle che lui chiamava le "condizioni soggettive" per parlare di angeli. Possiamo fare qualcosa di simile nella settimana di Pasqua, pensare a "come vedere il Signore risorto". Quali sono le "condizioni soggettive" per una tale esperienza? O anche per parlare con una mente aperta di una tale esperienza?


È un angelo particolare che ci fa venire in mente questo, quello che abbiamo incontrato nella lettura del Vangelo nella Veglia Pasquale, che è apparso all'alba del primo giorno della settimana, è stato accompagnato da un terremoto, ha fatto rotolare indietro la pietra dall'ingresso al sepolcro e ci si è seduto sopra (Matteo 28:2). Due gruppi di persone videro questo angelo, Maria Maddalena e l'altra Maria che era con lei, e le guardie. Ma l'esperienza dei due gruppi fu molto diversa.

Alle donne si rivolse l'angelo che disse loro che Gesù era risorto, che dovevano andare rapidamente a dirlo ai discepoli e che si sarebbero incontrate tutte in Galilea. I soldati invece tremavano di paura e diventavano come uomini morti. Le donne se ne andarono "impaurite ma felicissime" - una frase che coglie bene quelle che possiamo immaginare essere state le "condizioni soggettive" dei discepoli nei primi giorni dopo la risurrezione di Gesù. I soldati nel frattempo andavano dai capi dei sacerdoti per raccontare loro "tutto quello che era successo".

È una frase interessante. Pensateci. Tutto quello che era successo non significa solo l'arrivo delle donne, ma anche un angelo che sembra un fulmine, un terremoto, la pietra rotolata all'indietro e l'angelo seduto su di essa. Pensate poi alla totale mancanza di interesse da parte dei capi dei sacerdoti per tutto quello che era successo. Erano, presumibilmente, sadducei, non credendo né agli angeli né alla resurrezione. Così una massiccia pietra dottrinale e ideologica ha bloccato il loro accesso a ciò che questo poteva significare. Ai loro occhi nulla di tutto ciò sarebbe potuto accadere, come raccontano le guardie. Non battono ciglio, quindi, nel proporre una soluzione politica, per pagare le guardie e promuovere quella che è in fondo la più ovvia spiegazione riduzionista della scomparsa del corpo di Cristo: i suoi discepoli sono venuti e l'hanno preso mentre le guardie dormivano. (Dimenticate che sono come i morti alla presenza dell'angelo).

Intanto un'altra mente sta considerando queste cose. Tutto ciò che è accaduto è "per il piano stabilito e la prescienza di Dio", che ha permesso che Gesù venisse ucciso, ma che ora lo ha liberato dalle pene della morte (At 2,23, prima lettura oggi). È un altro, e il più penetrante, modo di vedere le cose, in cui chi viene a credere può condividere, una trasformazione delle condizioni soggettive per vedere il Signore risorto provocata dall'effusione dello Spirito Santo. Vediamo come questa trasformazione funziona nella predicazione di Pietro raccontata nella prima lettura di oggi.

Che cosa ha a che fare tutto questo con me e con voi? Diverse condizioni soggettive sono ovviamente possibili, alcune delle quali facilitano l'incontro con il Signore risorto, altre lo rendono difficile o addirittura impossibile. Quella dei sommi sacerdoti e degli anziani chiude completamente le cose: la notizia comporta un cambiamento troppo radicale per loro (e forse anche una perdita di potere). Le donne sono tra la paura e la gioia, condizione che le lascia aperte all'incontro con il Signore risorto. Forse, però, siamo come le guardie, non particolarmente impegnate in un modo o nell'altro, da qualche parte spiritualmente tra l'essere addormentate e l'essere mezze morte.

Infine ci sono le condizioni soggettive del cuore e della mente di Dio, se possiamo parlare così. Lo Spirito Santo deve essere versato da Gesù, risorto ed esaltato alla destra del Padre (At 2,33). Le condizioni soggettive della Santissima Trinità sono dunque che il Padre attende (e vuole) di effondere la vita e l'amore che sgorgano ora da Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Passeremo le prossime sette settimane a meditare su queste condizioni, venendo a vedere qualcosa di questa realtà.

Che Dio invii un angelo per rimuovere tutto ciò che ci blocca l'accesso a quella Vita e a quell'Amore: qualsiasi paura, o indifferenza, o stanchezza, o resistenza ci impedirebbe di vedere il Signore risorto. Vivere con la sua Vita e amare con il suo Amore è ciò che significa incontrare il Signore Risorto. Significa farci rimuovere le nostre paure e risolvere i nostri dubbi. Significa vivere nella pienezza della gioia.

giovedì 5 marzo 2020

IL CORAGGIO DELLA PREGHIERA



I SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDI


Ester è nota per la sua bellezza e per il suo coraggio. Quando sentiamo di lei per la prima volta, ci viene detto che a differenza di tutte le giovani donne nel regno, ella attira lo sguardo del re. Ha 'trovato grazia ai suoi occhi': in altre parole, fu lei la sola che egli notò di tutte le candidate che avrebbero voluto essere le sue consorti. Doveva essere una donna di eccezionale bellezza.

La lettura della sua storia ci suggerisce che fu anche una donna di eccezionale coraggio. Sappiamo che l'amore perfetto scaccia il timore, ma sappiamo anche che il nostro amore non è mai perfetto. Quindi, qualche paura rimane. E ci può essere anche una paura accentuata nella relazione con coloro che amiamo, di deluderli, di offenderli, di ferirli. Un grande amore è compatibile quindi con una grande paura, non con il timore servile ed egocentrico di punizione che viene scacciato dall’amore, ma con il tipo di paura che sperimentiamo alla presenza di grande bellezza, di vera santità, di bontà innegabile. Una paura che è una sorta di timore reverenziale.

Il coraggio non è una virtù che rimuove la paura, ma una virtù che ci permette di fare ciò che è giusto, nonostante la paura. Rimaniamo nella paura anche nel momento in cui ci comportiamo con coraggio. E vediamo questo nella potenza della preghiera di Ester, una parte della quale viene letta come prima lettura di oggi. Lei non ha tanta paura di Dio, come ne ha di suo marito: ha bisogno di prendere in mano la propria vita, di rischiare la sua ira, se intercede per il popolo.

Ma lo fa, le sono date le parole con cui pregare. 'Liberaci dalla mano dei nostri nemici', dice, 'volgi il nostro lutto in gioia e le nostre sofferenze in salvezza'. Liberaci dal male.

Gesù ci incoraggia ad avere lo stesso atteggiamento di fiducia e di confidare nel Padre. Dovremmo rivolgerci a lui nella preghiera, anche quando abbiamo paura e apprensione, quando ciò può sembrarci terribile e minaccioso. Chiedi, cerca, bussa. Se non è possibile trovare le parole usa le parole di Ester, o le parole di Giobbe, o le parole dei Salmi, soprattutto le parole che Gesù ci ha insegnato. Parlano tutti già delle cose per le quali vogliamo pregare.

Dovremmo praticare la preghiera e questo è l'unico modo per imparare. Siamo già più di una settimana in Quaresima ed è uno degli scopi principali di questo tempo il tornare alla preghiera, il farlo più regolarmente, il dare più tempo ed energia a questo. Possiamo aver bisogno di coraggio in un primo momento, se ci sentiamo oppressi dai nostri peccati, delusi per lo stato della nostra anima. Possiamo aver bisogno di andare a confessarci per sollevarci da questa schiavitù e bandire questa delusione. Allora, potremo pregare di nuovo con coraggio.

E bisogna ricordare il nostro prossimo nelle nostre preghiere. Gesù non permetterà che ci rifugiamo in una vita spirituale egocentrica, in un’egocentrica ricerca di 'santità'. ' Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro’, dice il Vangelo di oggi. 'Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori', dice il Padre nostro. Il suo amore per il suo popolo dà ad Ester il coraggio di parlare, in primo luogo a Dio, e poi al re. Quando anche noi saremo toccati dal grande bisogno degli altri troveremo facile pregare, le parole verranno. Troveremo anche il coraggio non solo di parlare con Dio, ma di affrontare qualunque bisogno umano da cui ci sentiremo interpellati.
 

martedì 3 marzo 2020

LA PAROLA NON RITORNA SENZA EFFETTO


I SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDI

Letture: Isaia 55,10-11; Salmo 33; Matteo 6,7-15 

Il passaggio di Isaia è uno dei più brevi, ma anche uno dei più belli utilizzati nella liturgia della Chiesa. La parola che esce dalla bocca di Dio non ritorna a Lui vuota. Perciò, la parola è destinata a ritornare alla sua fonte. La parola è, quindi, in missione. È detta non solo al fine di riecheggiare attraverso i cieli in circoli sempre più ampi. Viene effusa, come la pioggia e la neve, per entrare in contatto con il creato, per irrigare la terra e renderla feconda, fornendo sementi e cibo.

La parola che viene detta, come tornerà, con quale frutto, e dopo aver generato che tipo di vita? Sembra che tornerà con altre parole, con gli echi che ha generato, con i cambiamenti che ha provocato, con le relazioni che ha stabilito. Le parole fanno tutte queste cose, echeggiano, suscitano in risposta altre parole, cambiano le cose, stabiliscono e confermano i rapporti.

Leggere questo brano, come facciamo oggi, insieme con il passo di Matteo in cui Gesù insegna ai suoi discepoli il Padre nostro, ci introduce in una più profonda meditazione sulla parola, le parole e la Parola. Perché nel Padre nostro ci sono consegnate le migliori parole umane con le quali echeggiare il dialogo del Padre con noi. Ogni parola che proferiamo che sia in qualsiasi modo vera o buona, è un’eco della parola di verità e di bontà che stabilisce la creazione e ci parla attraverso di essa. Ma ora Egli ha parlato a noi attraverso la Sua Parola, e questa Parola, il Signore incarnato, ci dà le parole umane che ci permettono non solo di echeggiare la verità e la bontà di Dio, ma anche di partecipare alla Sua conversazione con il Padre.

"Il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno prima che glielo chiediate". La preghiera è una delle opere di Quaresima, non perché è destinata ad essere penitenziale e noiosa, ma perché è il cuore di ciò per cui siamo credenti cristiani. La preghiera è il modo in cui partecipare allo scambio, alla conversazione che si svolge tra il Padre e il Figlio. Il Padre parla e la Parola è pronunciata. Il Padre è la sorgente di ogni essere, vita e comprensione ed è adeguatamente accolto e compreso solo dal Figlio eterno, è adeguatamente apprezzato e amato solo dal Figlio nello Spirito.

Il Padre Nostro è la traduzione della Parola in parole. Ecco la pioggia e la neve che daranno da bere alla terra, addolcendo i nostri cuori, concentrando le nostre menti, generando la vita e l'amore in noi. Siamo invitati a entrare nel grande circolo che è la missione del Verbo, pronunciato da tutta l'eternità nella creazione, inviato nel tempo per redimere la creazione, ritornato al Padre dopo aver compiuto ciò che è stato inviato a fare. Noi ci 'tuffiamo’ in questo grande movimento dicendo il Padre Nostro, facendo nostre quelle parole. Quando esse diventeranno l'espressione veritiera delle nostre menti e volontà, allora avremo trovato il nostro posto come figli adottivi del Padre. In Gesù Cristo, ascoltiamo la Parola del Padre. Nel ripetere le parole che ci ha insegnato, diventiamo amorosi servitori della Parola di Dio. Entriamo nella mente e nella volontà di Cristo, ci uniamo al coro di lode e di intercessione di cui Egli è il leader, ci convertiamo e ritorniamo a sentirci a casa nel Padre e, in Lui, ci sentiamo di nuovo a casa anche in noi stessi.

domenica 9 febbraio 2020

PUGNO CHIUSO O MANO APERTA?

V Settimana - Domenica (Anno A)


Con una vasta gamma di immagini, la Bibbia parla di una scelta proposta dalla Parola di Dio a coloro che ascoltano.

Secondo il Libro del Deuteronomio, la scelta di osservare i comandamenti di Dio o di non osservarli è una scelta tra la vita e la morte, tra una benedizione e una maledizione. Per gran parte della 'letteratura sapienziale', la scelta è tra il camminare nella via della sapienza o il discendere il percorso della stoltezza, a seconda di come ci relazioniamo con gli altri e con Dio. 

Nella sua predicazione, Gesù parla più severamente di questa scelta. Essa è la scelta tra una porta stretta aperta su una strada scoscesa e una strada facile e larga che porta, però, alla perdizione (Matteo 7,13-14). Paolo contrappone la vita secondo lo Spirito e la vita secondo la carne, mentre Giovanni è appassionato delle immagini di luce e oscurità.

Le letture di questa domenica ci danno una immagine fisica e molto concreta della scelta che abbiamo di fronte tra due modi opposti di vivere: il pugno chiuso e la mano aperta.

Pensate alla differenza tra l'essere di fronte a un pugno chiuso e il ricevere una mano aperta. Il pugno chiuso significa minaccia, rifiuto, arroganza, esclusione, rifiuto, rabbia e violenza. La mano aperta significa amicizia, aiuto, pace, condivisione, comunicazione e relazione.

Isaia incoraggia i suoi ascoltatori a ' togliere di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio”, e di fare ciò ' dividendo il pane con l’affamato, vestendo uno che vedi nudo’. Il salmo 111 continua il tema: 'Felice l’uomo pietoso che dà in prestito ... è misericordioso, pietoso e giusto ... egli dona largamente ai poveri.'

Laddove il pugno chiuso è avaro, non ricettivo e chiuso, la mano aperta è generosa, accogliente e vulnerabile.

Paolo professa la propria apertura e vulnerabilità tra i Corinzi. Ero con voi nel timore e tremore, dice, e nella mia predicazione ho evitato le complessità della 'filosofia'. 'Tutto quello che sapevo in mezzo a voi’, prosegue, 'era Gesù Cristo crocifisso.'

Il Cristo crocifisso ha aperto le sue mani, le braccia e il cuore sulla croce per darci la rivelazione definitiva di Dio. Questo cuore aperto al mondo contiene un amore al di là di ogni aspettativa e al di là di ogni speranza naturale, un amore al di là di qualsiasi canto o racconto che se ne possa fare. Il Dio che spalanca la sua mano per soddisfare i desideri di tutti coloro che vivono (Sal 145) ha ora spalancato il proprio cuore per portare alla vita eterna tutti coloro che ha scelto (Ef 1,11).

Ci possono essere molte ragioni per cui, a volte, abbiamo scelto la via del pugno chiuso piuttosto che la mano aperta: dolore e delusione, stanchezza e indifferenza, paura e incomprensione, egoismo e disprezzo.

Qualunque sia la ragione, il pugno chiuso sempre comporta il rifiutare i nostri simili e negare, a tutti gli effetti, che gli altri sono della stessa famiglia. La mano aperta, invece, significa rivolgerci verso gli altri come a nostri familiari, nostri simili, fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre celeste, che condividono una chiamata comune e una comune speranza.

Così come la presenza di sale e luce non può essere nascosta e la loro assenza sarà notata, l’amabilità della persona buona non può essere negata e lo shock del pugno chiuso ci farà tornare sui nostri passi. Le buone opere della mano aperta brillano ovunque e fanno sì che le persone possano lodare il Padre per la santità che scorgono nelle Sue creature. Abbiamo scoperto che Dio è così, lui che fa sì che il suo sole sorga sui cattivi così come sui buoni, e la sua pioggia cada sulle persone oneste come su quelle disoneste (Mt 5,45).

In molte parti del mondo, il segno di pace durante la messa è una semplice stretta di mano e spesso il suo scambio è superficiale e pigro. Ma simboleggia qualcosa di fondamentale, la differenza tra i due modi di affrontare il prossimo e di affrontare la vita.

Vogliamo tornare indietro e chiuderci, indurendo il nostro cuore e stringendo il nostro pugno? O vogliamo seguire Cristo aprendo le nostre mani e i nostri cuori, per raggiungere gli altri in generosità e giustizia? Qual è il senso profondo dell’aprire le nostre mani in preghiera a Dio, se non l’offrire una mano amabile ai nostri fratelli e sorelle nelle loro necessità?

domenica 26 gennaio 2020

L'AMORE CREA PIÙ GRANDE INDIVIDUALITÀ, PIÙ GRANDE UNITÀ

III Settimana - Domenica (Anno A)


C'è stato un gran parlare negli ultimi anni circa la clonazione, la divisione degli individui animali (o anche esseri umani) in modo che il ragazzo accanto a me potrebbe essere un’esatta copia genetica di me stesso. Uno scienziato americano ha commentato che, se lui o i suoi colleghi riusciranno a clonare esseri umani, eserciteranno un potere equivalente a quello di Dio.

Ma il punto, e la meraviglia, del potere creativo di Dio è che, lungi dal fare cloni, Dio crea individui unici. Ci sono miliardi di esseri umani, ma non ci sono due facce che siano esattamente uguali. Non ci sono due serie di impronte digitali, non esistono due codici di DNA esattamente uguali. Certamente non ci sono due esperienze di vita e di amore che siano esattamente uguali. La creazione è per la varietà, il carattere distintivo, l’unicità e l’individualità, non per l’identità, l'uniformità, la ripetizione e la monotonia. Quando Dio crea te o me, butta via lo stampo. Non vi è alcun altro essere che gode quell'esistenza che è il dono unico di Dio per me.

Circa quarant'anni fa Teilhard de Chardin, gesuita francese, ha sviluppato una (un po' eccentrica) visione della creazione secondo la quale essa si evolve verso un adempimento che egli ha chiamato 'Punto Omega ', un momento o il livello di realtà in cui l'intero universo sarà assunto in Cristo. Per Teilhard, come per i Padri della Chiesa, l'umanità conduce tutta la creazione verso Dio. L’evoluzione fisica è seguita da un progresso morale e spirituale che implica una maggiore individualità e una maggiore unità.

A prima vista, ciò può sembrare strano. Forse che una maggiore individualità significa maggiore disunione dal momento che più ognuno di noi diventa se stesso e più siamo diversi da tutti gli altri? E una maggiore unità deve comportare il sacrificio dell'individualità dal momento che siamo d'accordo di lasciare andare alcuni dei nostri caratteri distintivi per il bene dell’unità? Non è così, dice Teilhard, perché il potere da cui la creazione si evolve continuamente è il potere dell'amore. Che cosa fa l'amore? Tiene insieme ciò che è uguale? Presenta i cloni, gli uni agli altri (in modo che ben note canzoni diventano 'la prima volta che ho visto il mio volto’ e ‘qualche sera incantata, puoi vedere te stesso, in una stanza affollata')? Anzi. La forza dell'amore tiene insieme e unisce le cose che sono diverse.

Teilhard è su un terreno solido qui, basandosi su quello che dice il Nuovo Testamento circa l’opera dello Spirito d'amore di Dio. In 1 Corinzi 12, San Paolo parla di una varietà di doni all'interno del popolo di Dio, ma un solo Spirito. Dice che ci sono tutti i tipi di servizio che si possano fare, ma sempre allo stesso Signore. Lavorare in tutti i tipi di modalità differenti in persone diverse, è lo stesso Dio che opera in tutti loro. Per San Paolo l’amore stabilisce le cose nella loro individualità unica persino mentre le unisce più fortemente a tutto ciò che è diverso. Nel testo suddetto, egli continua a parlare del corpo umano, un simbolo dell'unità di Cristo, un corpo composto da diverse parti e funzioni, ma animato e tenuto insieme in unità da un solo Spirito.

“Che tutti siano uno” è una preghiera centrale cristiana, ma questo sicuramente non può significare una sorta di collasso o di riduzione della varietà, unicità e individualità in una identità monotona. Siamo nel bel mezzo della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Non è ancora chiaro che tipo di unità istituzionale possa essere possibile tra i seguaci di Cristo, che sono attualmente divisi gli uni dagli altri. Certamente non comporterà una sorta di 'clonazione religiosa' in modo che i diversi approcci alla preghiera e al culto, i diversi stili e le accentuazioni teologiche, spiritualità diverse e tradizioni della vita religiosa - non può significare che tutto questo finirà in un solo modo di fare cose.

Allo stesso tempo, ci deve essere qualche accordo fondamentale tra individui e gruppi, se si vuole essere in pace l’uno con l'altro. La spinta verso un maggiore rispetto e una più profonda comprensione di altre confessioni cristiane deve continuare a tutta forza. Un compito centrale del tempo in cui viviamo è quello di promuovere una maggiore comprensione tra le grandi religioni del mondo e un dialogo continuo con tutti coloro che 'cercano Dio con cuore sincero' (Preghiera Eucaristica IV).

Qualsiasi unità di cui possiamo godere risiede in primo luogo in Dio, fonte di ogni vita e amore. Ci è permesso, e siamo resi capaci, di condividere l'unità che è di Dio, di averne qualche assaggio nelle nostre esperienze di amore. Anche in Dio l'unità non significa uniformità noiosa e monotona identità perché dentro l'unità assoluta di Dio ci sono tre Persone, il Padre e il Figlio e lo Spirito d'amore che è il loro legame di unità. E all'interno della nostra esperienza è la realtà del matrimonio, che è un luogo privilegiato di amore e di unità in cui due che sono piacevolmente diversi, l'uomo e la donna, diventano uno pur rimanendo sempre se stessi.

domenica 19 gennaio 2020

LO CONOSCI?

II SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA (ANNO A)

'Io non lo conoscevo', dice Giovanni Battista nel Vangelo di oggi. Lo dice due volte e tuttavia indica Gesù anche come l'Agnello di Dio. Nel racconto di Matteo del battesimo di Gesù, che abbiamo letto la scorsa settimana, Giovanni lo riconosce molto bene. Quindi, come possiamo interpretare queste due dichiarazioni, 'Io non lo conoscevo'?

Devono significare qualcosa del tipo: 'Avevo bisogno che lui fosse indicato prima a me in modo che io potessi indicarlo a voi'. Oppure: 'Non conoscevo il pieno significato e il senso della sua venuta'.

Uno può avere la conoscenza di Gesù Cristo, sa molte cose di lui, e questa conoscenza può essere vasta e corretta. Una persona potrebbe sapere molto sui titoli biblici che sono dati a Gesù: Cristo, Agnello di Dio, Servo del Signore, Eletto di Dio, Luce delle Nazioni. È relativamente facile raccogliere questa conoscenza e capire come questi titoli sono utilizzati in tutta la Bibbia, come sono stati sviluppati dai cristiani, come potrebbero essere stati usati da Gesù stesso.

Forse Giovanni vuole dire 'non sapevo come avrebbe realizzato e compiuto e sviluppato il significato e il contenuto delle profezie e dei titoli antichi’. È solo da ciò che sappiamo già che siamo in grado di passare alla conoscenza di qualcosa di nuovo. Quindi, anche con la conoscenza di questi titoli biblici, non c'è nulla al di fuori dello Spirito di Gesù che possa consentire ad una persona di trarne la vicenda di Gesù, il suo lavoro, la sua identità.

Potremmo anche affermare di sapere più di Giovanni Battista, poiché sappiamo ciò che Gesù stesso ha rivelato e ciò che la Chiesa in seguito è arrivata a credere di Lui.

'Io non lo conoscevo' è una possibile traduzione. E poi sembra voler dire 'non l'ho conosciuto da me stesso', o 'io non lo conoscevo fuori di me stesso'. Giovanni aveva bisogno di una particolare assistenza dello Spirito Santo per riconoscere Gesù. E possiamo mettere sulle sue labbra anche queste parole: 'Non conoscevo la piena realtà del Suo mistero divino perché sarebbe come pretendere di conoscere Dio'. Qualunque conoscenza di Dio possiamo attribuirci, essa si ha soltanto attraverso segni, testimoni e l'insegnamento interiore dello Spirito Santo. In quale altro modo potremmo arrivare a 'vedere' non solo l'essere umano indicato da Giovanni, Gesù di Nazareth, ma chi Egli sia?

Ciò nondimeno, Giovanni lo ha indicato. L'imputato in un'aula di tribunale è quello indicato da testimoni, per essere sicuri della sua identità. È una particolare persona che viene indicata. C'è un famoso ‘dito puntato’ da parte di Gesù nella Vocazione di San Matteo del Caravaggio. Giovanni, senza sapere molte cose di Gesù, è stato tuttavia colui che lo ha riconosciuto, lo ha presentato alla società, potremmo dire. 

'Io non lo conoscevo'. Io non conoscevo, quindi, la sua importanza per la mia vita e per la vita del mondo. Conoscere di più non mi porterà mai a questa consapevolezza. Si tratta di un altro tipo di sapere che cerchiamo, un altro tipo di illuminazione, e cioè quella conoscenza che noi chiamiamo ‘fede’. Tutti coloro che credono possono confermare quello che dice il Battista: 'Io non lo conoscevo da me stesso'. Un particolare tipo di aiuto è necessario se vogliamo credere. È con altri occhi che vediamo Colui sul quale lo Spirito rimane e da cui lo Spirito viene elargito. Ma l’arrivare a credere, come avviene per tutti i modi di conoscere, esige insegnanti, segni e l’insegnamento interiore di Dio, di Colui che è la fonte della nostra capacità di apprezzare la verità. Tutti coloro che credono in Lui diventano figli di Dio, cioè testimoni nella potenza dello Spirito che illumina, chiarisce e porta alla luce: lo Spirito di verità.