Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 10 settembre 2017

LA VERITÀ DELLA COMUNIONE

XXIII Domenica A

Alcuni anni fa il teologo Peter Candler pubblicò un articolo con l'accattivante titolo "Fuori della Chiesa non c'è morte". Che cosa poteva significare? Egli intendeva dire che è solo in una comprensione cristiana dell'esperienza umana che la realtà della morte può essere pienamente compresa. Solo la persona con la virtù teologica della speranza, e la comprensione della persona umana che è richiesta da una tale virtù, può guardare in faccia la morte e vederne tutto l'orrore.
Spesso, noi credenti ci uniamo ai nostri contemporanei negando, in vari modi, la realtà della morte. Ne parliamo come se non fosse un grosso problema, come se fosse un passare da una stanza all'altra, e immaginiamo che la vita continui più o meno come prima, ma senza mal di testa o indigestione, senza sangue, sudore o lacrime. La persona di speranza, invece, non ha una tale visione delle cose con cui consolarsi. L'oggetto diretto della nostra speranza è Dio, non una forma futura della vita umana. L'oggetto della speranza è Dio che è amore e che è la vita, nella cui Parola abbiamo fiducia quando ci parla di una partecipazione alla sua vita eterna. Ma non sappiamo praticamente niente di che cosa sarà o di come sarà, tranne che sarà una vita, che sarà una vita d'amore e che comporterà la compagnia di Cristo e dei santi.
Proprio come si può essere veramente coraggiosi solo quando si affronta qualcosa di pauroso, così è possibile sperare solo quando si affronta qualcosa che presenta estrema difficoltà. Proprio come la paura e il coraggio non sono incompatibili, ma uno richiede l'altro, così la tristezza e l'ansia da un lato e la speranza dall'altro, non sono incompatibili ma si richiedono reciprocamente. Tant'è vero che la speranza rende possibile la vera tristezza proprio come il coraggio ci dà un vero apprezzamento di ciò che temiamo. Questo, credo, è ciò che Candler intendeva dire sul fatto che al di fuori della Chiesa non c'è morte: solo in una comprensione cristiana dell'esperienza umana possiamo assaggiare pienamente la realtà di situazioni negative come la paura, l'ansia, la tristezza e la perdita.
La lettura evangelica di oggi riguarda la scomunica, la situazione triste e difficile nella quale la comunità cristiana giunge alla conclusione che uno dei suoi membri, per motivi di fede o stile di vita, non è più in piena comunione con la Chiesa. Preferiamo non pensare a tali cose, come preferiamo non pensare alla realtà della morte. Infatti, la scomunica è una specie di morte, una ferita terribile nel corpo di Cristo, una vera tristezza e una profonda perdita. Significa che non abbiamo mantenuto la comunione a cui Cristo ci chiama e per cui ha pregato nella sua ultima grande preghiera al Padre.
La lettura del Vangelo dice che dobbiamo fare ogni tentativo per mantenere quella comunione: parlare privatamente con una persona prima di tutto, parlarle in presenza di una o due altre persone, e solo se è assolutamente necessario porre il caso all'attenzione di tutta la Chiesa. La conclusione è fredda e possiamo anche chiederci: 'è cristiano'? Sicuramente possiamo trovare un modo per stare insieme, per rimanere in comunione! Ma anche la verità preme, non per servire una struttura del potere o per mantenere una certa finta conformità. La verità preme perché è la verità di quella comunione stessa: cosa potrebbe succedere se il fondamento della nostra unità fosse annullato da ciò che una persona crede o da come una persona vive? La nostra comunione morirebbe.
Questo passo del vangelo di Matteo tratta della difficoltà di rimanere insieme e riflette su come, anche nella Chiesa primitiva, successe molto rapidamente che si presentassero dei problemi a stare insieme. A volte le persone faranno le cose, o arriveranno a credere delle cose, che la Chiesa considera incompatibili con la vita del vangelo. Ovviamente esitiamo a usare la parola "scomunica" ma nei rapporti umani è questa a volte, purtroppo, la realtà. Anche dopo aver fatto del nostro meglio, non vediamo come alcuni possano restare dentro la vita della comunità. Alcuni modi di vivere e alcune convinzioni non sono compatibili, per quanto possiamo vedere, con la vita nella Chiesa. Di solito sono le persone stesse che prendono la decisione di separarsi dalla Chiesa perché non condividono più le proprie convinzioni o non sono più convinti della bontà del suo insegnamento. Molto raramente la Chiesa stessa fa questa decisione su una persona o un gruppo di persone.
Non possiamo mai essere felici dell'esclusione di un fratello o di una sorella. È una morte e la morte è terribile, l'ultimo nemico dell'uomo che fiorisce, un fallimento definitivo. Ma nell'ambito della speranza cristiana, l'esclusione non può mai essere l'ultima parola su una persona o sul nostro rapporto con lei. Tali persone rimangono sempre figlie del Padre celeste, chiamati ad essere fratelli e sorelle di Gesù. Mi piace pensare che i due o tre riuniti nel nome di Cristo alla fine di questa lettura evangelica sono gli stessi due o tre che hanno precedentemente affrontato il fratello o la sorella nell'errore. Stanno pregando e la preghiera è l'atto proprio della virtù della speranza. Nella loro mente mentre pregano deve esserci lo stesso fratello o sorella cui la Chiesa ha deciso di rapportarsi come se fosse un pagano o un esattore delle tasse. E c'è Cristo in mezzo a loro.
Fuori della Chiesa non c'è morte perché la vita cristiana ci rende più sensibili alla verità di ciò che la morte è veramente. Ma al di fuori della Chiesa, possiamo dire, non c'è un "fuori", perché le preghiere della Chiesa, come l'ansia dei genitori amorevoli, seguono i propri figli ovunque. Anche quando non possiamo vedere come si possa trovare l'unità e la riconciliazione, dobbiamo continuare a sperare di raggiungerle, pregare e lavorare per conquistarle. Tutti i comandamenti sono riassunti, dice San Paolo, in questo: "Ama il prossimo come te stesso". Sappiamo che tutti sono il nostro prossimo, quelli che vivono e quelli che sono morti, quelli che sono malati e quelli che stanno bene, quelli che sono in comunione gioiosa con noi e quelli che sono in triste separazione da noi. Noi sfioriamo i limiti delle nostre capacità, ma sappiamo che il Signore, crocifisso per la nostra riconciliazione, allunga le braccia lungo gli orizzonti più lontani di questa creazione per raccogliere tutti i figli di Dio dispersi.

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