Avvicinarsi a Caterina e al suo pensiero attraverso il
Dialogo potrebbe non essere il modo migliore per conoscerla. Si rivela più
facilmente nella storia dei suoi rapporti con gli altri che troviamo nelle sue
lettere. Notiamo subito la varietà di individui e circostanze in cui è stata
coinvolta: prigionieri, emarginati, nobili, uomini d'affari, medici, avvocati,
soldati, eremiti, re, regine, cardinali, papi, uomini e donne immersi nel
mondo. Le pongono ogni sorta di domande, cercando aiuto in ogni situazione
e difficoltà.
Le sue lettere sono state pronunciate piuttosto che scritte -
ha imparato a scrivere solo tre anni prima della sua morte - e la sua vitalità,
l'adattabilità, il coraggio e l'intuizione sono tutte chiaramente presenti
in esse. Rivelano la sua calda, empatica tenerezza per uomini e donne, non
importa quale vergogna o smarrimento si siano abbattuti su di loro. Mostra
straordinaria comprensione e compassione per i problemi che affliggono i cuori
umani.
Possiamo schematizzare come segue il suo modo di rispondere
alle persone così come si mostra nelle sue lettere:
1) raramente inizia con il rimprovero preferendo dare la priorità a una nota di umiltà - si descrive come "serva e schiava dei servi
di Gesù Cristo" o qualcosa di simile
2) successivamente, compare una meditazione su un certo tema,
la meraviglia dell'amore divino, il dovere della preghiera, la natura
dell'obbedienza - qualcosa per innalzare il suo corrispondente al di sopra del
mondo al fine di ricordare Dio e il suo regno
3) poi un rapido ritorno al problema in questione,
evidenziato ora dall'essere in contrasto con quello che è stato appena detto
sul regno
4) ma Caterina sempre entra lei stessa, con il suo corrispondente, in quel
luogo di sgomento o di difficoltà tanto che non scrive più "tu" ma
sempre "noi" - è come se sentisse la tristezza e la colpa dei peccati
degli altri, una strana forma di solidarietà con le persone nella loro
difficoltà e nel loro bisogno
5) si salva dall'arroganza identificandosi con la persona cui
scrive; non si ferma alla riprovazione del male ma si muove rapidamente ad un
appassionato appello, mostrando grande fiducia nelle persone (spesso smarrite, come si è mostrato)
6) questo atteggiamento è sostenuto dalle sue frequenti
discussioni sulla carità e sulla tolleranza, quando esorta costantemente i suoi discepoli e
amici ad elevare il più possibile le azioni nei confronti del loro prossimo
7) ama il testo "nella casa di mio Padre ci sono molte
dimore": molti caratteri, temperamenti e costumi coesistono nella casa di
Dio.
È tutta una questione di "pentimento", e di accelerarlo con un
metodo positivo, non trascorrendo troppo tempo ad analizzare il male o ad adagiarsi nelle conseguenze del peccato, ma cercando di infiammare le anime del "santo desiderio" che non è solo la parola d'ordine del suo insegnamento ma la
chiave della sua personalità.
Vediamo questo "metodo" di Caterina nella sua
lettera a Sr Daniela da Orvieto che, ci viene detto, "non essendo in grado
di compiere le sue grandi penitenze, era caduta in profonda afflizione". C'è bontà e sapienza nel modo con cui Caterina mette a confronto le proprie colpe con quelle di Daniela. Concorda
sul fatto che ciò che cerca Daniela è buono ma cerca di mostrarle un bene più
grande che è ancora più desiderabile. Ciò che in un'altra persona sarebbe stato semplicemente una critica del comportamento di Daniela e un richiamo a
cambiarlo, diventa invece una ricca meditazione teologica, rinviando ogni cosa a Dio e
ai modi con cui può essere rafforzato il rapporto di Daniela con Dio.
Caterina sta accanto a Daniela, guardano insieme verso Dio e le modalità con cui Dio, attraverso il nostro santo desiderio di lui, ci porta a
condividere il Suo amore e la Sua sapienza. Caterina chiaramente si preoccupa
che la severità di Daniela con se stessa non possa portarla ad un inutile rigore
con gli altri. Questo sarebbe controproducente, ella teme, e condurrebbe le
persone alla stessa disperazione che affligge Daniela. La cura pastorale non
significa aumentare l'afflizione dell'altra persona, ma piuttosto "farsi
malati con essa" e offrire quella cura che è possibile dare per aumentare
la sua speranza. Dobbiamo pentirci, no?, conclude Caterina, dei nostri errori
complementari, per crescere nella virtù ed essere le persone che Dio vuole che
siamo, capaci di guidare gli altri.
Caterina vuole vedere in Daniela "la santa virtù della
discrezione", che ha le sue radici nella "conoscenza di noi stessi e
di Dio". Come la spiega Caterina, la discrezione combina aspetti di
prudenza e di carità. La discrezione è "una figlia della carità",
dice lei, il cui principale atto è questo: "avendo visto in una luce
ragionevole che cosa dovrebbe rendere e a chi, lo rende subito con discrezione
perfetta". L'"ordine della carità" è Dio-se stessi-gli altri.
Differenti tipi di discrezione sono richiesti da persone
diverse a seconda del loro stato di vita, delle responsabilità, delle relazioni
e degli impegni. "Ma ora parliamo a noi stessi", dice rivolgendosi
alla particolare indiscrezione di Daniela e aggiunge "parliamo in
particolare, e poi parleremo anche in generale".
La discrezione regola non solo la carità per il proprio prossimo,
ma anche la preghiera e il desiderio di virtù. Regola e ordina fisicamente la
creatura, allontanando il corpo dalle indulgenze, dai lussi e dalle
conversazioni dei mondani e dandogli la conversazione con i servi di Dio.
Impone restrizioni alle membra del corpo affinché siano modeste e temperati:
occhio, lingua, orecchio, mano e piedi.
Ma tutto questo deve essere fatto non indiscretamente ma con "discrezione illuminata". Come? Da parte dell'anima, non mettendo il suo
principale desiderio in qualsiasi atto di penitenza. La penitenza deve essere
usata come un mezzo e non come un desiderio principale. Per quale motivo? Affinché
l'anima possa servire Dio non con qualcosa che può prendere da se stessa e che è
finita ma con il santo desiderio, che è infinito, e attraverso la sua unione
con l'infinito desiderio di Dio e con le virtù, le quali non ci possono essere sottratte
a meno che non lo scegliamo. "Se costruisco la mia regola principale nella
penitenza corporale, costruisco la città della mia anima sulla sabbia", ma
se costruisco sulle virtù "fondate sulla pietra viva, Cristo dolce Gesù, non
ci sarà edificio sì grande che non rimanga saldamente in piedi, né vento così
contrario che possa mai colpirlo".
La penitenza diventa facilmente questione di volontà,
rendendoci deboli e incoerenti, mentre "l'amore della virtù e la
resistenza mediante Cristo crocifisso" ci rende forti e perseveranti.
L'anima allora "trova la preghiera in ogni luogo" perché "il santo
desiderio prega continuamente" nella casa della nostra anima. L'inizio di
un bene così grande è la discrezione. La discrezione cerca di presentare agli
altri il fondamento che ha trovato, l'amore e l'insegnamento che ha ricevuto, e
di mostrarli con la sua vita e la sua dottrina. "Conforta l'anima del prossimo e
non lo turba facendolo disperare quando è caduto in qualche colpa; ma
teneramente si fa malata con quell'anima, dandole la guarigione che può e accrescendo
in essa la speranza nel sangue di Cristo crocifisso".
Quindi "ti invito a fare quello che in passato confesso
di non aver fatto con quella perfezione che dovrei". Sono stata troppo lassista
e accomodante in confronto a te, dice Caterina a Daniela, ma ora sembra che la
tua rigidità sia fuori di ogni limite di discrezione, e l’indiscrezione ti fa
sentire alcune delle sue conseguenze e aumenta la tua caparbietà. "Sono
molto angosciata per questo e credo che sia un grande offesa contro Dio".
Amiamo allora la virtù e uccidiamo la caparbietà,
intraprendiamo una vita regolare moderata ma non intemperante, affinché
possiamo affrettarci sulla strada della virtù e guidare gli altri. Caterina
conclude: "Perdonami se ho parlato troppo presuntuosamente; l'amore della tua
salvezza, per l'onore di Dio, ne è la ragione".
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