Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

martedì 17 gennaio 2017

SAN DOMENICO VISTO DA CATERINA DA SIENA

In questa settimana nella quale l'Ordine dei Predicatori celebra un congresso internazionale sulla sua missione, e si prepara a celebrare con Papa Francesco la Messa di chiusura del Anno Giubilare dell'Ordine, Sr Mirella Caterina Soro OP offre questa riflessione sul modo in cui S. Caterina da Siena parlava della missione di S. Domenico

È singolare come Caterina da Siena inizi a parlare del carisma di Domenico ponendolo al cuore del messaggio evangelico. Il grande comandamento dell'amore, infatti, è, secondo Caterina, al centro del dono e della missione dei domenicani nella Chiesa e nel mondo. Nel Dialogo (ed esattamente nel trattato dell’obbedienza, Dialogo CLIV-CLXV), Caterina dice che Domenico ebbe il desiderio che i suoi figli avessero come fine primario “l’onore di Dio e la salute dell’anime” (CLVIII), cioè quel duplice comandamento dell'amore di Dio e del prossimo che si esplicita più chiaramente, come noi sappiamo, nella parabola del buon samaritano. Ma c’è una modalità particolare con cui il domenicano è chiamato a curare le ferite dell’umanità lungo le strade del tempo in cui vive. Certo, Domenico, dice Caterina, diede somma importanza alla povertà, fino al punto di affermare che sarebbero stati “maledetti” quei domenicani che non avessero vissuto la vera e volontaria povertà. Ma, a differenza di Francesco d'Assisi, non è questo il carisma, la missione specifica, il dono dell’Ordine.

IL LUME DELLA SCIENZA

E ci sembra veramente, estremamente lungimirante e moderno quel “lume” con cui Caterina identifica il carattere, la missione, la chiamata che Domenico ha ricevuto a servizio degli uomini di ogni tempo. E oggi più che mai, forse, siamo in grado di apprezzarne la portata, la grandezza, la profezia, la profondità, l’attualità. Si tratta del lume della scienza: è questo il carisma specifico di Domenico. Questa è la missione dell’Ordine domenicano che Caterina definisce anche come “ufficio del Verbo” (CLVIII, 475): l’ufficio della Parola, il dono e la missione di portare a tutti questa Parola, come fece Cristo, perché tutti abbiano la vita. È il dono di valorizzare la ragione e di farne una scala, un ponte nella ricerca della verità. Per Caterina questo “ponte” che unisce l’umano e il divino è Cristo. Egli è la luce che illumina la ragione umana e la rende più acuta nella ricerca del senso della vita, del fine dell’uomo.

Cristo è il Verbo, la luce, il lume, la sapienza eterna del Padre. Domenico riceve dallo Spirito la missione e il carisma di “levare le tenebre e donare la luce” (CLVIII,478), cioè di contemplare e trasmettere con la predicazione la sapienza eterna, il Verbo del Padre, traducendo questa Sapienza eterna in linguaggio umano, proprio attraverso il dono specifico della scienza. La scienza è un lume per il mondo. E Domenico è l’uomo della scienza. Il suo carisma è quello di cercare Dio-Verità, contemplarlo e donarlo agli altri attraverso la valorizzazione di tutto ciò che è umano.

LA MEDIAZIONE DELLA DONNA 

Caterina dice che Domenico è “uno lume che io (=Dio Padre) porsi al mondo col mezzo di Maria” (CLVIII, 478-479). È straordinario come Caterina descriva il carisma dell'Ordine quale dono al mondo e alla Chiesa, ma col mezzo di Maria. Dietro questa frase piccola e apparentemente di lieve nota, è nascosto il ruolo centrale che Domenico dà alla donna in un tempo in cui la parte femminile dell’umanità era confinata ai margini di ogni vicenda umana, culturale, politica, sociale. Ciò sta a significare non solo una profonda devozione mariana, da sempre attestata nell'Ordine, e un riconoscimento del carisma quale dono specifico di Maria, ma anche che:
  • La predicazione domenicana si compie passando per il tramite della donna
  • La predicazione (cui i frati, primariamente, si dedicano) si attua solo col mezzo della contemplazione (nell’Ordine questo compito è affidato in maniera speciale alla donna).
  • Domenico e il suo carisma giungono all’Ordine per mezzo di Caterina (che ne ha fatto esperienza e lo ha comunicato in pienezza).
L'uomo e la donna sono sempre strettamente uniti, con doni complementari e totale uguaglianza, nel progetto eterno di Dio, nella storia della salvezza, e lo sono anche, nell’Ordine, nella ricerca di Dio e nella predicazione (nella storia dell’Ordine abbiamo molti esempi di questa complementarietà e uguaglianza di uomo e donna).

Ma qual è la mensa cui i figli di Domenico si cibano, per alimentare il lume della scienza? È la mensa della croce. Ciò significa che lo studio, la contemplazione, la predicazione domenicana sono fecondi soltanto se, nell'amare Dio e il prossimo, si accoglie quel cammino che fu lo stesso cammino di Gesù: un cammino di amore che implica necessariamente anche il disprezzo, la spoliazione, le fatiche, le difficoltà. Tutte queste, però, sono solo conseguenza logica dell’amore e non cercate o volute in se stesse.

Per essere leggeri e liberi, Domenico volle che i suoi figli imparassero la fiducia nella provvidenza senza avere la preoccupazione delle cose temporali, che poteva distrarli da questo fine fondamentale dell’Ordine di cercare e donare la verità. Forse che egli mancava di fede, si chiede Caterina? E risponde: in nessun modo! Domenico, infatti, aveva ferma fiducia nella provvidenza di Dio.

Parlando dei tre voti, Caterina pone accento particolare sull'obbedienza perché vi sono alcuni che “la luce della scienza pervertono in tenebre con le tenebre della superbia” (CLVIII, 506-508). Il domenicano, chiamato a usare la ragione per indagare le realtà più profonde della vita e della grazia, ha bisogno di un occhio interiore profondamente limpido. Ma questo non può accadere se la superbia offusca il suo sguardo: in questo caso, infatti, egli non sarà più in grado di cercare la verità, che sarà profondamente distorta dalla ricerca egoistica di sé. Ecco perché l’obbedienza è l’unico voto esplicitamente emesso nell'Ordine e la vita comune la fucina in cui il domenicano sperimenta ogni giorno la liberazione dalle pesantezze che gli impediscono di avere lucidità di mente e purezza di intenzione.

LA FIDUCIA NEI LAICI

La grandezza e profezia di Domenico sta anche nell'importanza che, già nel ‘200, egli diede ai laici. Nel suo Ordine, infatti, dice Caterina, c’è spazio per tutti, e per tutti c’è la possibilità della perfezione dell’amore. E tutti “stanno bene in questa navicella” (CLVIII, 522-523) dell’Ordine. È una casa, un luogo dove si sceglie di stare e dove “si sta bene”! Ciò è realmente liberante se si pensa che, nel corso dei secoli, talvolta la vita dello spirito è stata vista e considerata come un qualcosa di imposto, pesante, soggetto a rigide regole che non liberavano le persone. Domenico volle che il suo Ordine fosse una casa dove la gente stesse bene e trovasse il proprio posto, ma sempre insieme e tra gli altri. La particolarità di questo carisma e dono della scienza è che, rendendoci riflessi di Colui che è splendore eterno, Luce intramontabile, ci dona la sua stessa luce, cioè la sua conoscenza del mondo. Cosa significa questo? Significa che lo sguardo di Cristo sull'umanità e sulla storia, che è lo stesso sguardo di Dio, diventa in qualche modo, man mano che diventiamo Suoi amici, anche il nostro sguardo; significa che iniziamo a vedere le persone e gli avvenimenti non più solo dal nostro ristretto e limitato punto di vista, ma guardiamo la gente, le scelte degli altri, i doni delle persone così come li vede Dio. E, cosa incredibilmente bella e audace, accogliamo e amiamo anche  i limiti degli altri, perché questo è il Suo sguardo su ogni persona: Egli ama ognuno e lo accoglie così come è. Proprio qui, in questo cammino di conoscenza o via della luce (cfr. XCVIII-CVIII), è l’origine della profonda compassione di Domenico.

Il carisma di Domenico, allora, che è specificatamente il carisma della scienza, apparentemente così alto e sublime, è profondamente umano, perché accoglie, abbraccia tutto ciò che è limitato, piccolo, ferito, così come ha fatto Cristo, la Parola del Padre fatta carne. E la carne è amata, custodita, protetta, predicata da ogni domenicano, perché la carne è stata assunta, guarita e redenta da Cristo, ed è il tramite della nostra conoscenza di Lui, dei nostri rapporti con gli altri e con Dio. Chiamati a cercare Colui che si è fatto uno di noi, i domenicani vedono le debolezze umane con lo sguardo tenero e misericordioso di Dio. Perciò, Caterina descrive l’Ordine come una navicella “larga, tutta gioconda e tutta odorifera” (CLVIII, 526). È un luogo dove, davvero, c’è spazio per tutti.

LIBERTÀ NELL'OBBEDIENZA, GIOIA NELL'AMORE

C’è un racconto del vangelo che Caterina usa (cfr. CLIX) per esplicitare il dono specifico della vita religiosa all'interno dell’Ordine(dove ci sono laici e consacrati). Pietro domanda a Gesù: “Maestro, noi abbiamo lasciato ogni cosa per tuo amore e abbiamo seguito te: cosa ci darai?”. E Gesù, che Caterina chiama “Verità”, risponde: “Vi darò il cento per uno e la vita eterna” (cfr. Mt 19,27-30; Mc 10,28-30; Lc 18,28-30). E Caterina spiega. Cosa è questo “cento”? Si tratta forse di ricchezze? No! C’è qualcosa che l’uomo ha ed è più preziosa di ogni cosa: la propria volontà. Quando questa volontà, che non è altro che la libertà, viene indirizzata a Dio solo, questa volontà è l’uno che l’uomo dona a Dio. L’uomo sceglie liberamente di mettere Dio al primo posto nella sua vita, e Dio cosa gli dà in cambio? Il “cento per uno”: ciò cui non puoi aggiungere altro, perché è in sé una pienezza. E questa pienezza noi tutti sappiamo cosa è, perché sentiamo che il nostro cuore umano ci porta ad averne sempre sete: è l’amore. A chi si fida di lui e lo sceglie liberamente; a chi sceglie di porre Dio al centro della propria vita al posto del proprio io; a chi sceglie l’obbedienza domenicana, Dio promette la pienezza dell’amore. È la vita eterna che Dio promette nel racconto del vangelo, che non è altro che la carità. La carità, infatti, “entra come donna, come regina in cielo”. Ma questo dono promesso a chi fa voto di obbedienza è anche per coloro che scelgono di vivere tale virtù nel proprio stato laicale, lasciando che sia Dio e regnare nelle loro vite e condurli per le sue strade. I due comandamenti dell’amore, al cuore del carisma, sono dunque realizzati pienamente dal domenicano quando egli, promettendo e vivendo l’obbedienza, riceve in dono da Cristo la Sua capacità di amare.

Frutto di questo scambio tra Dio e l’uomo è la gioia(cfr. CLX), il cuore largo e libero e non doppio e piccolo. Il vero amore, infatti, è aperto a tutti, perciò chi lo possiede è pienamente felice. Per questo, il domenicano non può che essere sempre pieno di gioia. Una gioia che non è superficiale allegria, e che alimenta la sua vita interiore anche tra le prove e le fatiche. Si tratta, infatti, di una gioia profonda, di una sorgente di vita che continuamente scorre nel suo cuore e alimenta la sua persona. E che è anche, senza dubbio, la sua prima, vera, feconda predicazione. Questa gioia vediamo nella vita di S.Domenico e imploriamo per tutti i suoi figli e figlie.

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