Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 26 marzo 2017

ERO CIECO, ADESSO CREDO


V SETTIMANA QUARESIMA - DOMENICA ANNO A


Il capitolo 9 del vangelo di Giovanni è magistrale nel mostrare come coloro che non possono vedere sono portati a una vista sempre più chiara e quelli che pensano di poter vedere diventano incerti, confusi e, infine, non vedenti. I personaggi principali sono Gesù e l'uomo cieco dalla nascita. Il cammino del cieco lo porta dalle tenebre alla luce. Arriva a vedere non solo le cose intorno a lui, che non aveva mai visto prima, ma la realtà di Gesù. In un primo momento si riferisce a lui semplicemente come ‘l'uomo che si chiama Gesù’. Sotto pressione dei farisei, arriva a vedere di più: ‘egli è un profeta’. Ulteriori pressioni lo spingono a dire ‘Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla’. Infine, incontrando Gesù, ora come uno che può vedere, gli viene chiesto se crede nel Figlio dell'uomo. ‘Chi è perché io creda in lui?’, chiede. E come si era rivelato alla donna di Samaria, così ora Gesù dice ‘Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui’. E l'uomo crede e adora, ‘Io credo, Signore’.
Le persone si chiedono se sia lo stesso uomo o no. La loro fiducia nella testimonianza dei propri occhi è scossa. Sembra essere l'uomo che era nato cieco, e alcuni sono certi che sia lui, ma altri non sono così sicuri: ‘gli assomiglia’. Apparenza e realtà si confondono, e la fiducia della gente nella testimonianza dei propri occhi è indebolita. 
Ma i genitori e il loro figlio parlano con fiducia di ciò che sanno senza esagerare e senza ambiguità. Sembrano essere persone sante, piuttosto che peccatori, poiché sono semplicemente onesti e non sono condizionati dall’intimidazione dei potenti. I genitori del cieco nato sono coinvolti fin dall'inizio, ad essi fa riferimento la domanda iniziale dei discepoli: 'chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?' Questo modo di vedere il mondo, così sicuro di sé, cui sia i discepoli che i farisei aderiscono, è immediatamente e decisamente respinto da Gesù. Questo non è assolutamente il modo di vedere le cose: la cecità dell'uomo, lungi dall'essere la prova del peccato di qualcuno, è piuttosto per il bene di rendere visibili le meraviglie di Dio. 
Come il loro figlio, i genitori rispondono in modo semplice e onestamente su ciò di cui sanno di essere certi. Essi non sono disposti a entrare in argomenti teologici con i farisei, ma semplicemente dicono ciò che sanno, ciò che la testimonianza dei loro occhi dice loro, e non perdono la fiducia in questo. 'Chiedetelo a lui, ha l'età', dicono. Allo stesso modo, il cieco non è disposto alla speculazione (che è una sorta di 'vedere immaginario'), ma sta semplicemente a quanto sa essere vero. Rende la testimonianza della sua fede, alla fine ancora più convincente: ecco un uomo pronto a parlare solo di ciò che è certo essere vero e che è arrivato a credere in Gesù come il Figlio dell'Uomo. 
I farisei iniziano con una fiducia suprema nel modo in cui vedono il mondo. Per loro è ovvio che qualcuno ha peccato qui, o l'uomo o i suoi genitori, e questo spiega la sua cecità. La sua guarigione da parte di Gesù disturba il loro mondo. Ancora una volta ha agito nel giorno di sabato, ma questo è solo l'inizio. Essi cercano di costringere l'uomo, e poi i suoi genitori, a confermare che il modo farisaico di vedere le cose è corretto e che ciò che sta succedendo deve essere dal maligno piuttosto che da Dio. L'uomo e i suoi genitori resistono a questa pressione, come abbiamo visto: un semplice e diretto ‘tutto ciò che (speculazione teologica), ciò che sappiamo è questo ...'
I farisei insistono sulla loro autorità di insegnare e interpretare la legge e quindi non sono in grado di ricevere la testimonianza dell'uomo. Devono far entrare a forza la loro esperienza nel proprio modo di vedere e non possono permettere che quanto è successo illumini il mondo in un modo nuovo. Essi persistono nel pensare di essere quelli che vedono correttamente e che l'uomo, i suoi genitori, Gesù, i discepoli - questi stanno interpretando le cose nel modo sbagliato, cospirando attività peccaminose invece di rendere visibili le opere meravigliose di Dio. 
Ma la trasformazione nel loro caso è completa come la trasformazione del cieco nato. Era cieco e ora ci vede. Hanno pensato che potevano vedere, persistono nella loro fede, e così sono ciechi in un modo che è più difficile da guarire. L'intera storia è completata da Gesù che contraddice direttamente la premessa con la quale era iniziata: ‘Se foste ciechi non avreste peccato’, dice loro, ma poiché vi ostinate a dire ‘vediamo’, il vostro peccato rimane. 
Quindi, quale posizione prendiamo in tutto questo? Siamo tra quelli sicuri del loro modo di vedere il mondo, fino al punto di essere chiusi a qualsiasi nuova rivelazione o illuminazione? Abbiamo identificato noi stessi in modo così totale con il nostro modo di vedere le cose che il passare a qualcosa di più aperto, più ampio e più profondo richiederebbe per noi un miracolo? In presenza di Gesù, la luce del mondo, siamo tra coloro che stendono le braccia per essere aiutati a vedere, o preferiamo stare come pipistrelli nella luce del sole, facendo leva sul nostro modo familiare di vedere, senza sapere che stiamo ancora trattando solo con le ombre, le immagini, le speculazioni vane?

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