Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

giovedì 6 dicembre 2018

INCIAMPARE SULLA GIOIA


Qual è la differenza
Fra la tua esperienza dell’Esistenza
E quella di un santo?

Il santo sa bene
Che il cammino spirituale
È un gioco sublime di scacchi con Dio

E che l’Amato
Ha appena fatto una Mossa così Straordinaria

Che il santo sta ora continuamente
Inciampando sulla Gioia
E scoppiando a ridere
E dicendo, ‘Io mi arrendo!’

Mentre, mio tesoro,
Ho paura che tu pensi ancora
Di aver mille mosse serie.

― Hafez, I Heard God Laughing: Poems of Hope and Joy, trad. dall’inglese da MS e VB


domenica 2 dicembre 2018

Avvento Settimana 1a - Domenica (Anno C)


All'inizio dell'Avvento ci vengono offerte immagini contrastanti che rappresentano esperienze contrastanti del tempo. La corona circolare dell'Avvento dice qualcosa sulla successione del tempo e sul ciclo dell'anno, ma le letture delle Scritture, soprattutto quelle dei profeti, parlano del tempo in modo lineare, soffermandosi su ciò che è accaduto in passato, sul dove siamo ora, e su ciò che attendiamo con trepidazione in un futuro promesso. Ogni cosa sembra 'naturale': l'anno volge al termine, ecco che ci prepariamo di nuovo al Natale, ma ognuno di noi ha un anno in più rispetto allo scorso anno e in questo non si può tornare indietro. Il sacramento della riconciliazione ci offre la possibilità di "tornare all'inizio", scrollandoci di dosso le "scorie" che abbiamo raccolto e ricominciando da capo.

Siamo un popolo pellegrino che sta costruendo una città. Ecco un altro contrasto dell'Avvento su cui vale la pena meditare. Siamo in cammino verso un altro luogo, un altro futuro, eppure siamo qui e abbiamo del lavoro da fare qui e ora. Dobbiamo costruire qualcosa qui, tra di noi, negli impegni e nelle relazioni che abbiamo. Geremia dice che Gerusalemme sarà chiamata 'il Signore nostra giustizia'. Ci sono città chiamate così anche nel mondo moderno: Philadelphia (amore fraterno), Los Angeles (gli angeli), Dar Es Salaam (paradiso della pace). La città che stiamo costruendo è il Corpo di Cristo, il Regno di Dio, il Popolo Santo di Dio.

A volte la gente pensa che se la fede cristiana ci orienta verso un regno futuro, in qualche modo saremo meno impegnati e coinvolti in questo mondo che passa. L'esperienza dimostra che è vero il contrario: la speranza cristiana della gloria futura ha sempre rafforzato le persone nel loro impegno per il "qui e ora", per la dignità e i bisogni di coloro con i quali condividiamo la vita, per l'importanza di costruire una città di pace e giustizia anche mentre viaggiamo verso una città che non avrà fine.


giovedì 1 novembre 2018

COLMARE LE LACUNE E RIEMPIRLE DI AMORE

Solennità di Tutti i Santi - 1 Novembre


La gente non si sente ancora a proprio agio con gli spazi vuoti dell'anno: nel passaggio dall'inverno alla primavera, o al nuovo anno, a metà dell'estate, a metà inverno. Laddove le stagioni cambiano non solo possiamo aspettarci raffreddori e piccoli disturbi, ma anche altre incertezze. E che dire del buio, delle tempeste e della neve? Siamo preparati al tempo che ci aspetta? Molte tradizioni che segnano l'attraversamento di queste "lacune" e la negoziazione di queste incertezze ancora sopravvivono. I vuoti vanno colmati, i ponti attraversati, una parte dell'anno deve essere collegata con l'altra, forse gli animi devono essere placati. Di fronte a questi momenti di paura e minaccia, la gente spesso affronta il problema facendo molto rumore, accendendo fuochi e travestendosi, imitando gli spiriti per spaventarli prima che possano spaventarci.

Halloween ci porta dall'autunno all'inverno e continua a raccogliere molti di questi rituali. Il fatto che nell'emisfero nord stiamo passando dalla luce alle tenebre rende questa transizione più spaventosa per la maggior parte di noi. Nel calendario cristiano celebriamo Tutti i Santi e Tutti morti nei primi due giorni di Novembre. I santi sono gli uomini e le donne che stanno negli spazi vuoti dell'anno, che colmano le lacune, costruiscono ponti, fanno andare avanti le cose. Quando ero novizio ricordo un priore che ringraziava un fratello, che era in partenza, per aver "colmato una lacuna". Sembra che non ci fosse molto da dire sulla sua predicazione o sulle altre cose in cui era coinvolto, il suo grande contributo era stato quello di colmare una lacuna. All'epoca non sembrava molto ed era anche divertente, dato che il fratello in partenza era abbastanza corpulento. Ma forse colmare una lacuna è un ruolo più profondo, più importante di quanto possa sembrare in un primo momento.



Cristo è colui che colma le lacune più minacciose. Egli, nuovo Mosè, si trova nella breccia (Sal 106,23; Amos 7,7) che allontana fondamentalmente gli esseri umani da Dio. Egli è il giusto che sta nel vuoto a favore del popolo (Ezechiele 22,30; 13,5), il mediatore che negozia per loro conto, colui che difende le mura della città. Crocifisso su una collina posta appena al di fuori delle mura cittadine, il suo corpo guarda verso ogni direzione. Egli è il punto fermo del mondo che gira, la pietra di scarto che è diventata la pietra angolare, colui che entra nella più profonda oscurità del grande vuoto di morte e vi fa risplendere la luce. Egli si trova alla porta, un eroe crocifisso, salvatore del suo popolo, il riparatore di brecce.

Nella festa di Tutti i Santi celebriamo tutte quelle persone, e specialmente quelle che non sono diventate famose, che hanno "colmato le lacune" con l'amore di Cristo. Tutti conosciamo due, o cinque, o otto di queste persone, non conosciute forse da nessun altro dei nostri amici. Quindi ci sono  un sacco di brave persone che in modi piccoli, ordinari, ma molto importanti hanno fatto questo: aiutando i poveri, insegnando agli ignoranti, confortando i sofferenti, aiutando i peccatori a riconciliarsi, incoraggiando i poveri, perdonando le offese, visitando i malati e i carcerati, e così via. Queste sono tutte lacune significative, colmate dall'amicizia e dall'amore. I santi sono quelli che portano speranza dove c'è disperazione, luce dove c'è oscurità, perdono dove c'è offesa, amore dove c'è odio.



I santi sono quelli segnati con il sigillo della croce, il sigillo del giusto che "sta nello spazio vuoto". Sono i poveri di spirito e i puri di cuore, affamati e assetati di giustizia. Piangono con coloro che piangono e gioiscono con coloro che gioiscono, mostrano misericordia e fanno la pace. E se li intendiamo così, davvero non c'è niente di meglio che possiamo dire di coloro che ci hanno preceduto: le persone buone e sante che abbiamo conosciuto hanno colmato le lacune, e le hanno riempite di fede, di speranza e di amore.


venerdì 14 settembre 2018

Esaltazione della Santa Croce - 14 Settembre


Ogni volta che la Bibbia parla di un figlio unico, lo fa in riferimento alla morte di questo figlio (con una sola eccezione: Proverbi 4,3). Nel Libro dei Giudici, per esempio, leggiamo di Iefte, un giudice che fece un voto assurdo: se il Signore lo avesse aiutato in una particolare campagna, egli avrebbe sacrificato il primo essere vivente che avesse incontrato al suo ritorno a casa. Con suo sgomento, gli venne incontro sua figlia, la sua unica figlia (Giudici 11,34).

I profeti parlano della particolare tristezza che comporta il lutto per un figlio unico (Geremia 6,26 e Amos 8,10). Zaccaria, in particolare, parla di un tempo in cui vi sarà per gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione e sarà aperta una sorgente zampillante per purificarli. Quando "guarderanno a colui che hanno trafitto", egli dice: "ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito" (Zaccaria 12,10; 13,1).

Questo senso di particolare tristezza continua nel Nuovo Testamento, in particolare nel Vangelo di Luca, che nota che tre dei figli riportati in vita da Gesù erano gli unici figli dei loro genitori: il figlio della vedova a Nain (capitolo 7), la figlia di Giairo (capitolo 8) e il figlio di un maestro (capitolo 9).

Il più importante dei figli unici dell'Antico Testamento è Isacco. Era il figlio concesso miracolosamente ad Abramo e Sara nella loro vecchiaia. Le promesse fatte ad Abramo, e attraverso di lui agli Ebrei, e attraverso di loro al mondo intero, ponevano la loro speranza su Isacco. Stranamente, Dio chiede ad Abramo di sacrificare Isacco (Genesi 22). Egli deve prendere Isacco, "il tuo figlio, il tuo unico figlio, che ami" e offrirlo in olocausto a Dio. Isacco stesso trasporta la legna per il sacrificio, anche se non sa chi sarà la vittima. All'ultimo momento Dio interviene, soddisfatto che Abramo abbia superato la prova, e al posto del ragazzo viene offerto un ariete.

Il popolo ebraico credeva che il Messia promesso sarebbe stato innalzato da Dio come ricompensa per la fede che Abramo aveva mostrato in quell'occasione. Questo è ciò a cui pensa San Paolo quando dice che "Dio non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (Romani 8,32). Ha risparmiato il figlio di Abramo, ma non ha risparmiato il proprio figlio.

I riferimenti più importanti a un figlio unico nelle Scritture cristiane sono quei passaggi degli scritti di Giovanni in cui Gesù è descritto come l'unico figlio del Padre. Tenere presente la storia di Abramo e Isacco ci aiuta a capire cosa sta succedendo tra il Padre e Gesù.

Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unico figlio, ci viene detto, affinché chiunque crede nel suo nome possa essere salvato attraverso di lui (Giovanni 3,16-18). La prima lettera di Giovanni dichiara meravigliosamente che "Dio è amore". Lo sappiamo perché "Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui" (1 Giovanni 4,9). Le promesse fatte per la prima volta ad Abramo si realizzano in un modo che il vecchio padre Abramo non avrebbe mai potuto immaginare. Proprio come Isacco portava il legno per il sacrificio, così Gesù prende la croce sulle spalle (Giovanni 19,17).

La profezia di Zaccaria si compie nel momento della morte di Cristo. Il suo fianco è trafitto da una lancia. Gli abitanti di Gerusalemme guardano a colui che hanno trafitto (Giovanni 19,37). La sorgente aperta nel cuore di Gerusalemme sono il sangue e l'acqua che sgorgano dal costato di Cristo. Giovanni ci dice che la gloria di Gesù è la gloria "di unigenito dal padre" (Gv 1,14). Questo significa morte, la morte di un figlio amato, con ogni probabilità una morte sacrificale.

Sembra strano che dobbiamo guardare alla croce di Gesù per vedere la sua divinità. Che gloria c'è in quest'uomo che muore senza bellezza, "davanti al quale ci si copre la faccia" (Isaia 53,3)? Pensiamo di sapere cosa sia Dio, cosa sia appropriato a Dio e cosa non lo sia. Così trasferiamo la "gloria" in un altro momento della storia. Non possiamo vederla nella croce. Ma nessuno ha mai visto Dio, ci dice Giovanni, quindi come possiamo essere così sicuri di ciò che è o non è adatto a Dio? Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato" (Gv 1,18).

È nella morte di Gesù che Dio si rivela perché è nella sua morte che l'amore che Dio è, l'amore di un Padre e del suo Figlio unigenito, si rivela finalmente al mondo.

domenica 2 settembre 2018

MANI SPORCHE, CUORE INCONTAMINATO


XXII Domenica B

Vivere con fede è una questione di interiorità e anche di azioni esterne. La vera fede richiede sia una spiritualità che una morale. Un'interiorità senza azioni esterne produrrà buone intenzioni, ma, come si suol dire, di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno. D'altra parte, l'azione esterna senza interiorità diventa ipocrisia o legalismo. Un'osservanza puramente esteriore di regole, tradizioni e costumi religiosi è vuota, arida e morta.

La vera fede passa dal cuore alle mani, attraverso la comprensioneÈ l'insegnamento chiaro delle letture di oggi. Gesù dice che non è ciò che entra in una persona dall'esterno che la rende impura, ma ciò che esce dal di dentro. La parola è stata piantata in noi, dice la Lettera di Giacomo, ed è nei nostri cuori che cresce e fiorisce. Ma questo può accadere solo se facciamo ciò che la parola ci dice. Non è sufficiente ascoltarla ed esaltare a parole le sue richieste. Il nostro cuore potrebbe essere ancora lontano, e se il cuore è lontano, le nostre azioni da sole saranno vane.

Ciò che ci mantiene attenti alle esigenze della vera fede è la presenza dei poveri. Giacomo dice che religione pura e senza macchia davanti a Dio è aiutare gli orfani e le vedove. Essi simboleggiano le persone più vulnerabili delle nostre comunità. I nostri cuori sono solitamente commossi dalla loro difficile situazione. Questi orfani e queste vedove sono le persone che, nelle nostre comunità, hanno gravi necessità, ma rappresentano anche, indistintamente, tutte le persone bisognose delle nostre comunità. Il nostro prossimo ci richiama alla nostra responsabilità, ci richiama alla sincerità nel vivere la nostra fede.

Ci richiama in questo modo, toccando i nostri cuori e aspettando di vedere se quel moto di compassione si tradurrà in azione. Sappiamo quanto sia importante nell'insegnamento di Gesù l'amore del prossimo. Il tuo prossimo ti ricorda cosa comporti la vera fede e il tuo prossimo ti chiama a viverla.

C'è un altro aspetto in questa chiamata del prossimo. Le Scritture ci dicono ripetutamente che Dio è il Padre dell'orfano e il difensore della vedova. Così, quando rispondiamo agli orfani e alle vedove secondo il loro bisogno, siamo in compagnia del Padre. Siamo infatti, allora, gli strumenti di Dio, il mezzo con cui egli si prende cura dell'orfano e difende la vedova. Quando viviamo così, con le nostre ispirazioni spirituali e interiori tradotte in opere pratiche di giustizia e di carità, allora siamo come Dio. E questa è la motivazione più forte per l'azione morale nelle Scritture: siate come il Padre vostro celeste, siate santi come lui è santo, siate giusti come lui, siate perfetti come lui è perfetto, siate misericordiosi come lui è misericordioso.

L'altra caratteristica della vera fede secondo la Lettera di Giacomo è quella di mantenersi incontaminati dal mondo. Non significa che non dobbiamo sporcarci le mani. Dobbiamo lasciarci coinvolgere dagli eventi mondiali. Dobbiamo lavorare per stabilire e difendere la giustizia. Dobbiamo lavorare per salvare gli oppressi e i perseguitati. Dobbiamo accogliere lo straniero, nutrire gli affamati, vestire gli ignudi e visitare coloro che si trovano in carcere.

Inevitabilmente, le nostre mani si sporcheranno, ma è nei nostri cuori e nelle nostre menti che dobbiamo mantenerci incontaminati dal mondo. Per fare questo dobbiamo rimanere vicini a Dio nella preghiera, dobbiamo vivere con Cristo e meditare ogni giorno la sua parola che è piantata nei nostri cuori, dobbiamo lasciare che lo Spirito ci guarisca e ci trasformi con il dono dell'amore che egli riversa nei nostri cuori.

La vera fede richiede sia una spiritualità che una morale. Si stabilisce prima nei nostri cuori, diventa sempre più nostra attraverso la comprensione, e trova il suo compimento nelle nostre azioni, nel modo in cui viviamo. Possa ognuno di noi partecipare ogni giorno a questo dono di fede per vivere con maggiore pienezza la vita che Dio vuole condividere con noi.





giovedì 26 luglio 2018

LA VIA DEL PARADOSSO


Si dice che Mark Twain abbia affermato che non erano le parti della Bibbia che non capiva a infastidirlo, ma le parti della Bibbia che capiva. Ci sono un sacco di cose che capiamo e che possiamo fare. Ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli è molto chiaro: il grande comandamento dell'amore, il comandamento nuovo di amarsi gli uni gli altri come Lui ci ha amati, la compassione del Buon Samaritano e del Padre Prodigo, il  prendere la propria croce ogni giorno per seguirlo, il pregare come Lui pregava, stare con gli altri come Lui stava con gli altri ...

Forse pensiamo che le parti della Bibbia che non capiamo contengano una verità più sofisticata o profonda di quella contenuta nelle tante cose che capiamo. Di fronte a un'affermazione come quella del Vangelo di oggi, secondo cui "a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha", potremmo solo pensarci su per poi concludere che è una sorta di pensiero poetico, una sorta di saggezza paradossale, che non ha senso logico, perciò meglio andare avanti con quello che capiamo ...

C'è qualcosa da imparare se si vive secondo gli insegnamenti paradossali e sconcertanti delle Scritture, ma sembra avere più a che fare con il tipo di pedagogia di cui abbiamo bisogno e con il tipo di ignoranza da cui abbiamo bisogno di essere salvati che con l'insegnamento stesso. Gesù non è venuto per insegnare una dottrina pubblica per molti e una dottrina privata per pochi. La sua dottrina è chiara e pubblica e il mondo intero sa di che cosa si tratta.

Il problema per noi è entrare in una comprensione e in un'osservanza viva di questa dottrina, ed è qui che entra in gioco lo sconcertante paradosso. Possiamo tutti apprendere in maniera relativamente facile le risposte alle domande del catechismo. Ma ci sono cose dalle quali dobbiamo essere liberati se vogliamo vivere ciò che leggiamo e l'unico modo per raggiungere tale libertà è il paradosso e l’enigma. Per non pensare di capire. Per non pensare di vedere. Per non pensare di sentire. Per ragioni che hanno a che fare con la creaturalità e certamente con il peccato, la nostra formazione deve includere questi momenti di perdita e di esilio, di caduta nelle tenebre e di ritorno alla luce, di non avere nulla, nemmeno una soddisfacente filosofia che riguardi quel nulla.

Spesso preferiamo lasciare che siano gli altri ad entrare nelle tenebre del mistero divino: santi, mistici, profeti, maestri. Ci uniamo alla folla ai piedi della montagna, in attesa di sentire quello che hanno da dire quando tornano. Ma Gesù chiama ciascuno di noi dentro quel mistero, per vedere in modo nuovo, per sentire in modo nuovo, per ascoltare e capire. Per questo abbiamo bisogno del cuore nuovo che egli ci dona, un cuore intenerito dall'esperienza di aprirsi alla sofferenza del mondo.

giovedì 5 luglio 2018

DESIDERA I TESSUTI DEL CIELO


Se avessi i drappi ricamati del cielo,
Intessuti di luce d’oro e d'argento,
Drappi azzurri, pallidi e oscuri
Della notte, della luce e della penombra,
Stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
Invece, essendo povero, ho soltanto i miei sogni;
E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.
(William Butler Yeats - Dublino 1865 - Cap Martin 1939
Traduzione: VB & MS)


lunedì 2 luglio 2018

LA CONFERMA


Sì, il tuo, amore mio, è il vero volto umano.
Lo avevo atteso a lungo nel mio animo,
Vedendo il falso e cercando il vero,
Poi ho trovato te come d’improvviso un viaggiatore
Trova un luogo accogliente in mezzo a sperdute
Valli e rocce e strade contorte. Ma te,
Come ti chiamerò? Una sorgente nel deserto,
Una fonte d’acqua in un paese arido,
O qualunque cosa onesta e buona, un occhio
Che rende tutto il mondo luminoso. Il tuo cuore aperto,
Semplice nel dare, dà l’atto primigenio,
Il primo mondo buono, il fiore, il seme alato,
Il focolare, la terra ferma, il mare errante;
Non belli né rari in ogni loro parte,
Ma simili a te, com'erano creati ad essere.
- Edwin Muir -


sabato 30 giugno 2018

LO SGUARDO


Quando, un tempo, il tuo occhio dolce e grazioso
accondiscese, persino nel mezzo della gioventù e della notte,
a guardare me, che ero steso davanti, affogato nel peccato,
sentii una dolce, strana gioia
meglio di tutte le bevande rinfrescanti, di ogni tipo,
lavare, calmare, conquistare il mio cuore,
e accoglierlo.
Da quel tempo, la mia anima ha sentito
tante turbinose tempeste, anche capaci di distruggere,
se il male nemico avesse avuto
il suo potere e influsso:
ma sempre la tua gioia dolce e primigenia
sprizzata dal tuo occhio, stava lavorando dentro la mia anima
e controllava tristezze crescenti, divenute audaci,
e ha prevalso.
Se il tuo primo sguardo fu cosi potente,
una felicità aperta e poi di nuovo chiusa,
quali saranno le meraviglie che sentiremo quando vedremo
il tuo amore pieno di sguardi
quando ci guarderai al di fuori del dolore
e una delle tue angolature diffonderà felicità
più della luce di mille soli
nel firmamento del cielo.
- George Herbert -
Traduzione: VB e MS

domenica 20 maggio 2018

PER ESSERE VERAMENTE LIBERI


Accade spesso che i soldati e altre persone che stanno sotto l'autorità di qualcun altro, se vengono sorpresi a fare qualcosa di illegale, si difendano dicendo che stavano "eseguendo gli ordini". Allo stesso tempo, i superiori affermano che ciò che è accaduto era un'attività non autorizzata e illegale portata avanti da "poche mele marce". Non è la prima volta che ci troviamo di fronte alla prospettiva di una malvagità per la quale nessun essere umano è disposto ad accettare la responsabilità. Da quando Adamo ha incolpato Eva ed Eva ha accusato il serpente, ed entrambi hanno accusato Dio, gli esseri umani si sono trovati a fare di tutto per scaricare la responsabilità su qualcun altro.
Dall'antica Grecia, al di là del clamore di Troia e delle altre grandi battaglie, s'innalza una nitida voce umana che esprime un'altra possibilità per l'umanità: la possibilità di accettare coraggiosamente la responsabilità di ciò che facciamo. È la voce di Antigone il cui fratello era stato ucciso in battaglia. Creonte, re di Tebe, ordina che il suo corpo non sia sepolto. È un modo classico di umiliare e intimidire un nemico: non permettergli di seppellire i propri morti, ma esporne i cadaveri in decomposizione perché tutti li vedano.
Antigone disobbedisce all'ordine del re e seppellisce il corpo di suo fratello. Quando viene chiamato a renderne conto, non si scoraggia né fa di tutto per incolpare qualcun altro. Al contrario, si appella ad una legge più profonda e più antica di quella decretata dal re. C'è una giustizia, dice, che dimora con gli dei ed è eterna. Le leggi e i decreti umani sono buoni e giusti solo nella misura in cui sono conformi a questa legge più alta e più antica. Gli ordini devono essere morali. Anche le leggi devono essere giuste.
La Pentecoste è la festa del dono della legge. È celebrata dagli ebrei in ricordo del dono della legge sul Monte Sinai. Con questa legge si forma la comunità di Israele e si definiscono le sue modalità di relazione con Dio e con gli altri. I cristiani festeggiano la Pentecoste in ricordo del dono dello Spirito. Con questo dono si forma la comunità della Chiesa e i suoi modi di relazionarsi con Dio e con gli altri.
Gli Apostoli avrebbero detto di lì a breve che "stiamo solo eseguendo gli ordini" e questo è vero. Andarono e fecero quello che Cristo aveva detto loro di fare. Predicarono la buona novella fino alle estremità della terra e battezzarono tutti coloro che credevano nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. "Come il Padre mi ha mandato", dice Gesù, "così io mando voi".
Ma poi fece una cosa strana. Soffiò su di loro. Dio aveva soffiato il respiro della vita nelle narici di Adamo ed egli era diventato un essere vivente (Genesi 2). Gesù soffia il respiro dello Spirito nelle narici dei suoi apostoli ed essi sono divenuti una nuova creazione. Diventano persone la cui vita è guidata da una nuova legge, scritta non sulla pietra ma sul cuore umano. Geremia predisse questa nuova legge, scritta dentro le persone, sui cuori umani (Geremia 31). Questa nuova legge obbliga dall'interno. Opera attraverso il potere dell'amore e l'attrazione di ciò che è buono. Altri tipi di legge obbligano dall'esterno. Operano attraverso il potere della paura e la minaccia della punizione.
Ma chi vive dello Spirito è comandato dall'amore di Cristo, dice Paolo (2 Corinzi 5,14), è letteralmente "spinto" dall'amore di Cristo. Non significa semplicemente che portiamo il ricordo delle cose che Gesù ci ha detto di fare e cerchiamo di imitarlo esternamente. Significa che lo Spirito di Gesù è venuto a dimorare in noi, muovendoci dall'interno. L'amore di Cristo è stato riversato nei nostri cuori (Romani 5,5) e quindi viviamo non come persone sottoposte a una legge, ma come persone guidate dallo Spirito (Galati 5,18).
A Pentecoste celebriamo la trasformazione dell'umanità dal di dentro. Quanto lavoro è necessario per tentare di trasformare l'umanità dal di dentro! Ma non c'è alcun cambiamento reale, nessun progresso verso un regno di giustizia, di amore e di verità, a meno che le persone non siano cambiate dal di dentro. Possiamo facilmente conformarci a ciò che le autorità esterne vogliono ed evitare problemi. Possiamo persino biasimare gli altri, o le circostanze, per il male che facciamo. Ma colui che vive dello Spirito è capace di qualcosa di più. Rafforzato dallo Spirito, uomo o donna che sia, può parlare a favore di ciò che è giusto, può lottare per ciò che è giusto, può fare ciò che l'amore richiede, anche a prezzo del sacrificio. Vivere dello Spirito è essere maturi, conoscere il bene e il male (in primo luogo in noi stessi), chiamare il bene e il male con il loro nome e accettare le cose di cui siamo responsabili. Siamo servi nel nuovo regime dello Spirito (Romani 7,6) e quindi siamo veramente liberi.

domenica 13 maggio 2018

IL SIGNORE ASCENDE TRA GRIDA DI GIOIA

ASCENSIONE DEL SIGNORE - ANNO B

Celebrare l'Ascensione può sembrare strano. Dopo tutto, si tratta di una fine. Dire addio può essere arduo, a volte è difficile, e spesso è triste. L'ascensione di Gesù significa la sua scomparsa. Fino ad allora egli era visibilmente presente con i suoi discepoli e ora è, a quanto pare, assente. Perché essere gioiosi? Perché pensare a questo come a qualcosa da festeggiare?

A metà del suo vangelo Luca scrive:
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme (Lc 9,51).
Il suo "essere tolto dal mondo" si riferisce alla sua crocifissione, al momento in cui "fu innalzato da terra per attirare tutti a sé" (Gv 12,32). Si può anche riferire alla sua risurrezione dai morti. Ed è completo nella sua esaltazione alla destra del Padre. Egli è stato portato al luogo della gloria che è eternamente suo.

Nel tempio di Gerusalemme il sommo sacerdote una volta all'anno, nel giorno dell'Espiazione, saliva al Santo dei Santi portando il sangue degli animali sacrificati. Attraverso di lui, Israele chiedeva perdono al Signore e il rinnovo dell'alleanza. L'unica altra persona che poteva entrare nel Santo dei Santi era un nuovo Re, il giorno in cui veniva intronizzato. I salmi e gli altri testi delle Scritture parlano del re che sale in un luogo d'onore alla presenza del Signore, il Dio d'Israele.
Questo è un contesto importante per comprendere l'Ascensione di Gesù. Egli è il nostro sommo sacerdote che entra nel Santo dei Santi, non quello terreno a Gerusalemme, ma quello grande e perfetto nei cieli. Il sangue che porta non è quello degli animali, ma il suo, che viene offerto una volta per tutte per ottenere "una redenzione eterna" (Ebrei 9,12). Seduto alla destra del Padre, intronizzato come giudice di tutti, Gesù è il nostro re e il nostro sommo sacerdote.

Il giorno dell'Ascensione è, quindi, la vera festa di Cristo Re. A causa del suo amore e della sua obbedienza, il Padre lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Filippesi 2,9). Celebriamo la sua vittoria e il suo significato per noi, il fatto che egli è diventato "per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna" (Ebrei 5,9). Come recitano le preghiere della Messa di oggi, egli è stato "portato in cielo per ottenere per noi una partecipazione alla sua vita divina" e "là dove è andato, noi speriamo di seguirlo".

I versi conclusivi del vangelo di Luca vengono letti quest'anno in questo giorno dell'Ascensione. Anche se Gesù "si ritirò da loro e fu portato in cielo", i discepoli tornarono a Gerusalemme "con grande gioia, e stavano sempre nel tempio lodando Dio" (Lc 24,53). Capirono, a quanto pare, il significato della sua esaltazione. Attendono il dono dello Spirito, la forza dall'alto che Gesù manderà.
Gesù aveva detto ai suoi discepoli: "Se non me ne vado, egli (l'Avvocato, lo Spirito Santo) non può venire da voi" (Gv 16,7). Esaltato alla destra del Padre, manda lo Spirito Santo come aveva promesso. Per questo ci rallegriamo della sua partenza, perché il suo ritorno al Padre stabilisce un nuovo legame tra cielo e terra. Inviando lo Spirito, Gesù mantiene la sua promessa di rimanere sempre con noi. Noi diventiamo la sua presenza fisica nel mondo, il suo corpo vivo con il suo amore. Se è con noi nello Spirito, dove possiamo essere se non con lui nello stesso Spirito?

La nostra vita è stata configurata con questo grande mistero pasquale di Gesù, per la sua morte,
risurrezione, esaltazione e l'invio dello Spirito. Attraverso il battesimo entriamo sacramentalmente nel sepolcro con Gesù per risorgere con lui anche come membra del suo corpo. Con la confermazione entriamo sacramentalmente nella sua "promozione" alla destra del Padre per diventare tempio del suo Spirito e testimoni della sua grazia fino ai confini della terra.



domenica 29 aprile 2018

CATERINA DA SIENA COME DIRETTRICE SPIRITUALE E TEOLOGA PASTORALE

Avvicinarsi a Caterina e al suo pensiero attraverso il Dialogo potrebbe non essere il modo migliore per conoscerla. Si rivela più facilmente nella storia dei suoi rapporti con gli altri che troviamo nelle sue lettere. Notiamo subito la varietà di individui e circostanze in cui è stata coinvolta: prigionieri, emarginati, nobili, uomini d'affari, medici, avvocati, soldati, eremiti, re, regine, cardinali, papi, uomini e donne immersi nel mondo. Le pongono ogni sorta di domande, cercando aiuto in ogni situazione e difficoltà.
Le sue lettere sono state pronunciate piuttosto che scritte - ha imparato a scrivere solo tre anni prima della sua morte - e la sua vitalità, l'adattabilità, il coraggio e l'intuizione sono tutte chiaramente presenti in esse. Rivelano la sua calda, empatica tenerezza per uomini e donne, non importa quale vergogna o smarrimento si siano abbattuti su di loro. Mostra straordinaria comprensione e compassione per i problemi che affliggono i cuori umani.
Possiamo schematizzare come segue il suo modo di rispondere alle persone così come si mostra nelle sue lettere:
1) raramente inizia con il rimprovero preferendo dare la priorità a una nota di umiltà - si descrive come "serva e schiava dei servi di Gesù Cristo" o qualcosa di simile
2) successivamente, compare una meditazione su un certo tema, la meraviglia dell'amore divino, il dovere della preghiera, la natura dell'obbedienza - qualcosa per innalzare il suo corrispondente al di sopra del mondo al fine di ricordare Dio e il suo regno
3) poi un rapido ritorno al problema in questione, evidenziato ora dall'essere in contrasto con quello che è stato appena detto sul regno
4) ma Caterina sempre entra lei stessa, con il suo corrispondente, in quel luogo di sgomento o di difficoltà tanto che non scrive più "tu" ma sempre "noi" - è come se sentisse la tristezza e la colpa dei peccati degli altri, una strana forma di solidarietà con le persone nella loro difficoltà e nel loro bisogno
5) si salva dall'arroganza identificandosi con la persona cui scrive; non si ferma alla riprovazione del male ma si muove rapidamente ad un appassionato appello, mostrando grande fiducia nelle persone (spesso smarrite, come si è mostrato)
6) questo atteggiamento è sostenuto dalle sue frequenti discussioni sulla carità e sulla tolleranza, quando esorta costantemente i suoi discepoli e amici ad elevare il più possibile le azioni nei confronti del loro prossimo
7) ama il testo "nella casa di mio Padre ci sono molte dimore": molti caratteri, temperamenti e costumi coesistono nella casa di Dio.
È tutta una questione di "pentimento", e di accelerarlo con un metodo positivo, non trascorrendo troppo tempo ad analizzare il male o ad adagiarsi nelle conseguenze del peccato, ma cercando di infiammare le anime del "santo desiderio" che non è solo la parola d'ordine del suo insegnamento ma la chiave della sua personalità.
Vediamo questo "metodo" di Caterina nella sua lettera a Sr Daniela da Orvieto che, ci viene detto, "non essendo in grado di compiere le sue grandi penitenze, era caduta in profonda afflizione". C'è bontà e sapienza nel modo con cui Caterina mette a confronto le proprie colpe con quelle di Daniela. Concorda sul fatto che ciò che cerca Daniela è buono ma cerca di mostrarle un bene più grande che è ancora più desiderabile. Ciò che in un'altra persona sarebbe stato semplicemente una critica del comportamento di Daniela e un richiamo a cambiarlo, diventa invece una ricca meditazione teologica, rinviando ogni cosa a Dio e ai modi con cui può essere rafforzato il rapporto di Daniela con Dio.
Caterina sta accanto a Daniela, guardano insieme verso Dio e le modalità con cui Dio, attraverso il nostro santo desiderio di lui, ci porta a condividere il Suo amore e la Sua sapienza. Caterina chiaramente si preoccupa che la severità di Daniela con se stessa non possa portarla ad un inutile rigore con gli altri. Questo sarebbe controproducente, ella teme, e condurrebbe le persone alla stessa disperazione che affligge Daniela. La cura pastorale non significa aumentare l'afflizione dell'altra persona, ma piuttosto "farsi malati con essa" e offrire quella cura che è possibile dare per aumentare la sua speranza. Dobbiamo pentirci, no?, conclude Caterina, dei nostri errori complementari, per crescere nella virtù ed essere le persone che Dio vuole che siamo, capaci di guidare gli altri.
Caterina vuole vedere in Daniela "la santa virtù della discrezione", che ha le sue radici nella "conoscenza di noi stessi e di Dio". Come la spiega Caterina, la discrezione combina aspetti di prudenza e di carità. La discrezione è "una figlia della carità", dice lei, il cui principale atto è questo: "avendo visto in una luce ragionevole che cosa dovrebbe rendere e a chi, lo rende subito con discrezione perfetta". L'"ordine della carità" è Dio-se stessi-gli altri.
Differenti tipi di discrezione sono richiesti da persone diverse a seconda del loro stato di vita, delle responsabilità, delle relazioni e degli impegni. "Ma ora parliamo a noi stessi", dice rivolgendosi alla particolare indiscrezione di Daniela e aggiunge "parliamo in particolare, e poi parleremo anche in generale".
La discrezione regola non solo la carità per il proprio prossimo, ma anche la preghiera e il desiderio di virtù. Regola e ordina fisicamente la creatura, allontanando il corpo dalle indulgenze, dai lussi e dalle conversazioni dei mondani e dandogli la conversazione con i servi di Dio. Impone restrizioni alle membra del corpo affinché siano modeste e temperati: occhio, lingua, orecchio, mano e piedi.
Ma tutto questo deve essere fatto non indiscretamente ma con "discrezione illuminata". Come? Da parte dell'anima, non mettendo il suo principale desiderio in qualsiasi atto di penitenza. La penitenza deve essere usata come un mezzo e non come un desiderio principale. Per quale motivo? Affinché l'anima possa servire Dio non con qualcosa che può prendere da se stessa e che è finita ma con il santo desiderio, che è infinito, e attraverso la sua unione con l'infinito desiderio di Dio e con le virtù, le quali non ci possono essere sottratte a meno che non lo scegliamo. "Se costruisco la mia regola principale nella penitenza corporale, costruisco la città della mia anima sulla sabbia", ma se costruisco sulle virtù "fondate sulla pietra viva, Cristo dolce Gesù, non ci sarà edificio sì grande che non rimanga saldamente in piedi, né vento così contrario che possa mai colpirlo".
La penitenza diventa facilmente questione di volontà, rendendoci deboli e incoerenti, mentre "l'amore della virtù e la resistenza mediante Cristo crocifisso" ci rende forti e perseveranti. L'anima allora "trova la preghiera in ogni luogo" perché "il santo desiderio prega continuamente" nella casa della nostra anima. L'inizio di un bene così grande è la discrezione. La discrezione cerca di presentare agli altri il fondamento che ha trovato, l'amore e l'insegnamento che ha ricevuto, e di mostrarli con la sua vita e la sua dottrina. "Conforta l'anima del prossimo e non lo turba facendolo disperare quando è caduto in qualche colpa; ma teneramente si fa malata con quell'anima, dandole la guarigione che può e accrescendo in essa la speranza nel sangue di Cristo crocifisso".

Quindi "ti invito a fare quello che in passato confesso di non aver fatto con quella perfezione che dovrei". Sono stata troppo lassista e accomodante in confronto a te, dice Caterina a Daniela, ma ora sembra che la tua rigidità sia fuori di ogni limite di discrezione, e l’indiscrezione ti fa sentire alcune delle sue conseguenze e aumenta la tua caparbietà. "Sono molto angosciata per questo e credo che sia un grande offesa contro Dio".
Amiamo allora la virtù e uccidiamo la caparbietà, intraprendiamo una vita regolare moderata ma non intemperante, affinché possiamo affrettarci sulla strada della virtù e guidare gli altri. Caterina conclude: "Perdonami se ho parlato troppo presuntuosamente; l'amore della tua salvezza, per l'onore di Dio, ne è la ragione".


venerdì 30 marzo 2018

PAROLE NEL SILENZIO


Di fronte alla morte diventiamo tutti muti. Non abbiamo parole adeguate per questa realtà che va al di là della nostra esperienza personale. Il Venerdì Santo più che mai ci troviamo in questa difficoltà: di fronte alla morte del Figlio di Dio, che c’è da dire? Come mai possiamo parlare quando il Verbo stesso è morto?

Ma abbiamo le sue parole, dalla croce: il Vangelo di Giovanni ne ricorda tre, e da queste parole possiamo imparare qualche cosa sul significato di questa morte, avere un'idea di come Gesù stesso abbia sperimentato e vissuto la sua morte.

‘Donna, ecco tuo figlio.’ ‘Donna’ è il titolo che Gesù ha dato a sua madre nel secondo capitolo del Vangelo di Giovanni, alle nozze di Cana. E ci sono tanti legami fra quel miracolo dell’acqua diventata vino e questo momento della morte di Gesù sulla croce. Quello era il primo segno dato da Gesù e la sua morte sulla croce è il suo ultimo segno. Alle nozze di Cana manifestò la sua gloria ai discepoli e sulla croce manifesta la sua gloria al mondo intero. A Cana diceva che non era ancora giunta la sua ora: sappiamo che l’ora della quale parlava è l’ora della sua passione e della sua morte, l’ora di passare da questo mondo al Padre.

‘Ho sete.’ È la seconda parola di Gesù dalla croce. Il miracolo di Cana già ci invita a pensare alla sete più profonda, non soltanto quella dell’acqua o del vino, ma la sete della verità, dell’amore, della giustizia, magari la nostra sete anche di Dio. Gesù parlava spesso di un’acqua che è venuto a darci: ‘Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete’, diceva alla Samaritana. Una volta insegnando nel tempio diceva: ‘Chi ha sete venga a me e beva … chi crede in me … fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno.’ Questo egli disse, Giovanni ci spiega, riferendosi allo Spirito. Adesso, dalla croce, Gesù stesso dice ‘ho sete’. È la sete di un uomo che sta morendo, certo, ma anche la sete del Verbo Incarnato, la sete del Figlio Eterno, il suo desiderio dell’amore del Padre, e che quelli che egli ama possano partecipare di quell'amore, nella comunione dell'amore divino. Quando il soldato colpì il suo fianco, subito ne uscì sangue e acqua. Nel momento in cui Gesù dà tutta la sua vita, tutto il suo potere, tutto il suo amore, la sua sete crea una sorgente di vita spirituale e soprannaturale che è la vita della Chiesa.

‘È compiuto.’ Questa è l’ultima parola di Gesù secondo il vangelo di Giovanni. Tutto è fatto. L’ora è compiuta. L'opera è finita. È rimasto fedele alla volontà del Padre, mostrando al mondo intero la gloria del Figlio unico del Padre, pieno di grazia e di verità. ‘Chinato il capo, consegnò lo spirito.’ È il momento della sua morte, è entrato nelle tenebre della morte. Il mondo è ancora una volta informe e deserto, le tenebre ricoprono l’abisso, ma lo spirito consegnato da Gesù aleggia sulle acque.