Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 27 aprile 2025

Seconda Domenica di Pasqua

Letture: Atti 5,12-16; Salmo 117/118; Apocalisse 1,9-11a, 12-13, 17-19; Giovanni 20,19-31

Una domanda sollevata dal Vangelo di oggi è: «Come è il corpo umano più perfetto, più glorioso e più bello?». Qualcosa di simile ai corpi degli dei e delle dee delle riviste di moda? Ciò che si presenta ai nostri occhi non sono corpi umani reali, non sono carne e sangue. Non possono mai invecchiare o ruggire, non respirano né sudano, si immagina che siano stati ritoccati con Photoshop per rimuovere lentiggini, nei e altri difetti indelebili. Ma il corpo glorificato del Signore risorto non è così. La sua gloria e la sua bellezza non si trovano in una sorta di perfezione fotogenica.

L'apostolo Tommaso va ringraziato non tanto per aver posto una domanda ragionevole – «vuoi che ci creda senza prove?» – quanto per essere stato il primo cristiano a richiamare la nostra attenzione sulle ferite di Gesù. Il corpo glorificato del Signore risorto non è perfetto come in Photoshop, perché è un vero corpo umano. A volte si dice che il Vangelo di Giovanni è il più spirituale dei Vangeli, ma si potrebbe facilmente descriverlo come il più fisico. Inizia dicendoci che il Verbo si è fatto carne e finisce raccontandoci della carnalità del Signore risorto, di quanto Egli sia una realtà fisica. Il momento in cui la sua carne viene aperta e penetrata dalla lancia del soldato è di grande significato: sangue e acqua sgorgarono, come può testimoniare chi ne fu testimone. Tommaso incredulo è invitato a ripercorrere il percorso della lancia.

I corpi che ci vengono presentati nelle riviste di moda non possono soffrire né sopportare nulla, ma il corpo del Signore risorto è segnato dalle ferite della sua passione. I danni che gli sono stati inflitti nel corso della sua vita e della sua morte, le cicatrici del suo lavoro, gli abusi di cui è stato oggetto: tutto questo può in qualche modo guarire, è persino assunto nella glorificazione del suo corpo, ma rimarrà sempre lì, sarà sempre un dato di fatto della vita vissuta in questo corpo, delle sofferenze da esso sopportate. La storia dell'esperienza di quel corpo in questo mondo è per sempre impressa nella sua carne. Tommaso ci aiuta a vedere che ci sono danni inflitti ai corpi che non possono essere riparati, che ci sono ferite, debolezze e imperfezioni che sono ancora visibili anche nella gloria della Resurrezione. Tommaso prepara Gesù a insegnarci che dalle sue ferite siamo guariti, perché nelle sue ferite Egli è glorioso.

Vulnera significa ferite, vulnerabilità è la capacità di essere feriti. I corpi che sono solo fantasie non possono essere feriti o colpiti in alcun modo, non possono essere toccati e non sono suscettibili alla sofferenza. Nella seconda lettura di oggi, Giovanni si presenta come nostro fratello, perché condivide la nostra sofferenza e la nostra perseveranza. Questo è ciò di cui sono capaci i corpi: soffrire, perseverare, toccare ed essere toccati, influenzare ed essere influenzati. Questo è ciò di cui è gloriosamente capace il corpo glorificato di Gesù: toccare ed essere toccato, influenzare ed essere influenzato. In altre parole, nel suo corpo risorto, e più che mai, egli è capace di amare.

Diventiamo esperti nel conoscere le vulnerabilità degli altri e più intimamente condividiamo la vita, più diventiamo esperti in questo. Possiamo sfruttare e abusare degli altri, approfittando della loro vulnerabilità. Ma è nelle ferite e nella debolezza, nella limitazione e nell'imperfezione, che l'opera della grazia si vede più chiaramente. I discepoli lo capirono presto, Paolo in modo particolarmente evidente, che quando siamo deboli siamo forti, che la grazia di Dio è sufficiente per la nostra debolezza, che la debolezza di Dio è più potente della forza umana e la sua follia più saggia della saggezza umana. I santi che ci sono più utili non sono quelli perfetti come in una foto ritoccata, che proiettiamo in un luogo di perfezione sovrumana, giganti spirituali equivalenti ai giganti fisici delle riviste di moda. I santi che ci sono più utili sono quelli in cui vediamo la grazia di Dio risplendere gloriosamente attraverso la debolezza umana: Agostino, Paolo, Girolamo, Teresa, Teresina.

Dobbiamo quindi guardare alle ferite di Nostro Signore e anche alle nostre ferite. Sono luoghi di sofferenza, ma questo significa che sono luoghi che sollecitano l'amore, perché amare è essere vulnerabili, toccabili, aperti alla condivisione delle sofferenze degli altri. Il corpo del Signore risorto è il corpo più bello, glorioso, affascinante e seducente del creato. E lo è perché nella risurrezione rimane un corpo capace di respirare e di vivere, capace di toccare e di amare. Noi non adoriamo idoli morti, per quanto belli possano sembrare. Adoriamo il Dio vivo e vero che condivide la nostra debolezza affinché noi (anche nella nostra carne) possiamo condividere la sua gloria.

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