Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 11 agosto 2024

Settimana 19 Domenica (Anno B)

Letture: 1 Re 19:4-8; Sal 33; Efesini 4:30-5:2; Giovanni 6:41-51

Lamentarsi è un modo per sentirsi vivi. Mangiare il pane che Dio dà è un modo di essere vivi. Il primo porta alla depressione, una sorta di morte. Il secondo è cibo per il viaggio e porta alla fine, anzi anticipa, la vita eterna.

Sembra che le lamentele siano la norma quando si tratta di esseri umani. In questo siamo proprio come i nostri antenati. Una generazione di antenati in particolare, quei credenti che, lamentandosi, hanno perso la terra promessa. Lamentarsi porta anche a perdere il sapore dei doni eterni promessi e forse a perdere i doni stessi.

Perché queste terribili perdite a causa delle lamentele? Perché se perseveriamo in essa perdiamo la capacità di ricevere ciò che ci viene dato per quello che è, un dono. Il peccato originale consiste nell'attaccarsi al dono come se fosse nostro di diritto e quindi non fosse affatto un dono. Significa ignorare il Datore per concentrarsi sul dono, un altro modo per distruggere il suo carattere di dono. Allora riceviamo la vita, nel migliore dei casi, con una cattiva grazia e, nel peggiore, senza alcuna grazia.

Così i nostri antenati si lamentavano e si aggrappavano al pane che era stato loro dato. Ma, dice Gesù, sono morti. È un monito salutare. L'insidioso potere del consumismo incasina i nostri desideri e trasforma tutte le nostre relazioni in relazioni commerciali. Non siamo più sicuri della differenza tra ciò che vogliamo e ciò di cui abbiamo bisogno. Rimane una sfida attuale, quella di apprezzare i doni di Dio per quello che sono. Anche i doni naturali degli alberi e della pioggia, delle tigri e del tempo, del pane e del vino.

L'alternativa alla lamentela che ci rende arroganti e depressi e che ci porta alla morte è la fede: il credente ha la vita eterna, ci insegna Gesù. Il credente, aperto a ricevere, è attirato dal Padre verso Cristo. Essere attratti è una capacità molto diversa dall'afferrare, ma chi può dire che non sia in realtà molto più forte, anzi, infinitamente più forte. Le persone rese capaci di essere attratte in questo modo saranno tutte istruite da Dio, ascolteranno (un altro tipo di ricettività) e impareranno dal Padre.

Un modo di recepire le letture di oggi (una tra le tante) è allora quello di dare un insegnamento sul desiderio e su come affrontare la vita come un dono. È tutto lì, per noi: come dobbiamo riceverlo? Imitando (immaginiamo) Dio (Efesini 5,2), seguendo Cristo che è il pane della vita (quindi mangiando lui, il pane vivo). Significa vivere eucaristicamente. E di questo si dirà di più man mano che continueremo a leggere Giovanni 6.

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