Letture: Galati 3,7-14; Sal 111; Luca 11,15-26
La lettera ai Galati è una delle più personali di Paolo. In essa ci parla del suo cammino spirituale e della sua discussione con Pietro ad Antiochia. Il brano che leggiamo oggi può sembrare una semplice argomentazione rabbinica sull'interpretazione della legge, ma in esso si intravede la lotta più personale di Paolo.
Egli cita Deuteronomio 21:23: “Maledetto chiunque sia appeso a un albero”. Questo testo aiuta a spiegare la furia di Saulo, e la sua convinzione di essere nel giusto, nel perseguitare e persino uccidere i cristiani. In termini di insegnamento delle Scritture, ciò che i cristiani proponevano era blasfemo e osceno. Sostenevano che il Signore, il Dio di Israele, aveva mostrato la sua potenza e rivelato la sua santità in una cosa maledetta, un impiccato.
Saul fu spinto a imitare Phinehas, lodato nei salmi per la sua difesa della giustizia di Dio (Salmi 106:28-31). Una pestilenza affliggeva il popolo a causa della sua adorazione del Baal di Peor, in cui era stato sedotto da un'unione con i Madianiti. Finehas uccise un uomo ebreo sposato con una donna madianita (Numeri 25:1-9): questo è l'evento nascosto sotto l'innocuo “Finehas si alzò e intervenne” del salmista. Finehas era celebrato come difensore della santità del Dio di Israele e lo zelo di Saul era della stessa qualità: intransigente, appassionato, violento.
La croce di Cristo, ci dirà poi Paolo, è una follia per i pagani e una pietra d'inciampo per gli ebrei: questa era anche la difficoltà personale di Paolo, una difficoltà apparentemente insolubile, un ostacolo che non riusciva a superare. Non riusciva a far quadrare questo cerchio, che il Signore rivelasse la sua potenza e la sua santità in un modo che prima aveva dichiarato maledetto. Solo l'incontro con il Risorto sulla via di Damasco lo convinse della verità di ciò che i cristiani insegnavano: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge diventando maledizione per noi. Così la possibilità di fede con cui gli esseri umani partecipano alla giustizia di Dio, la benedizione di Abramo, è estesa ai Gentili attraverso Gesù Cristo.
Era proprio vero che Dio aveva mostrato la sua potenza e rivelato la sua santità non nella violenza dei suoi aspiranti difensori, ma nella morte di suo Figlio sulla croce. L'ostacolo che Paolo non riuscì a superare divenne allora la chiave di tutta la sua comprensione di Dio e della grazia di Dio. Verso la fine di Galati scrive: “Lungi da me il gloriarmi se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (6,14). E scrivendo ai Corinzi ritorna sull'ostacolo che diventa la chiave: “Ho deciso di non sapere nulla tra voi se non Gesù Cristo e lui crocifisso” (1 Cor 2,2).
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