Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 93; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33b-37
Nei quindici misteri tradizionali del Rosario il momento centrale era il terzo mistero doloroso, l'incoronazione di Gesù con le spine. È un momento familiare del racconto della passione, come riportato nei vangeli di Matteo, Marco e Giovanni. È bizzarro, crudo e osceno. Gesù viene deriso come se fosse un re: “esaltato” con un vestito di porpora, “onorato” con una corona di spine, “rispettato” con un abuso orale, “venerato” con uno schiaffo sul viso e “unto” con lo sputo dei soldati.
Le visioni profetiche dell'Antico Testamento avevano spesso parlato di regni. Dipingevano immagini di eserciti e di vittorie, di nemici abbattuti e del popolo di Dio stabilito in un regno che sarebbe durato per sempre.
Le visioni profetiche del Nuovo Testamento sono molto simili, ma con un'aggiunta sorprendente. Alla testa degli eserciti, al centro delle battaglie, sul trono della vittoria, sta un agnello. Colui che è stato trafitto è ora il sovrano dei re della terra. Colui che è stato annientato, spogliato di tutti gli amici, di tutti i beni, di tutte le sicurezze, di tutte le dignità, di tutte le possibilità future, reso un nulla - questo è “il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine”.
Una nota storiella prende in giro un imperatore orgoglioso che pensava di indossare un vestito nuovo e raffinato, quando invece aveva solo la biancheria intima. Al contrario, Gesù era vestito “come se” fosse un re - e lo era davvero. In effetti, la gloria di Dio si è rivelata in Gesù nel momento in cui è stato incoronato di spine.
Egli ci ama”, dice oggi l'Apocalisse, in modo semplice e diretto. L'amore perfetto scaccia la paura”, dice San Giovanni nella sua prima lettera. Sicuro dell'amore del Padre, Gesù ha ottenuto la vittoria della croce. Da quel breve giorno della sua passione e morte, il martirio di Gesù tuona attraverso i secoli e proclama per sempre la verità su Dio: “Egli ci ama”. Non c'è nulla di più serio, nulla di più prezioso, nulla di più vero, nulla che valga la pena di avere, perché nulla è paragonabile all'“amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore”.
La testimonianza fedele di Gesù alla verità di Dio stabilisce il regno indistruttibile, il regno eterno. Esso è costruito sulle solide fondamenta di quella che Sant'Agostino chiama “l'umiltà di Dio”. Colui che viene deriso sovverte ogni pretesa e orgoglio umano. Ci insegna a vincere il nostro orgoglio e ci conduce nel suo regno di verità e vita, santità e grazia, giustizia, amore e pace. La debolezza di Dio, il suo essere coronato di spine, ha stabilito questo regno eterno e universale. Perché la debolezza di Dio è più forte della forza umana.
Ci sono momenti in cui è difficile crederlo, quando siamo obbligati, per esempio, a proteggere e difendere con la forza le persone che amiamo e lo stile di vita che apprezziamo. Ma sappiamo anche che la violenza genera sempre altra violenza, che non è il modo per spezzare la spirale. Perciò la festa ci chiama a una meditazione più profonda sulla nostra comune umanità, sulla nostra comune condizione, sul nostro bisogno di “salvezza”.
Nessun commento:
Posta un commento