Letture: Atti 25,13b-21; Salmo 113; Giovanni 21,15-19
In questi ultimi giorni del tempo pasquale sembra che la liturgia ci stia preparando alla vita della Chiesa che inizia davvero con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste. Il nostro pensiero nelle ultime sette settimane è stato guidato da tre testi: gli Atti degli Apostoli, il Libro dell'Apocalisse e il Vangelo secondo Giovanni. Nella settima domenica di Pasqua dell'anno C abbiamo letto i versetti conclusivi dell'Apocalisse e domani leggeremo le ultime pagine sia degli Atti che di Giovanni.
Oggi siamo quasi arrivati, quasi al momento in cui gli eventi che hanno fondato la nostra fede e i testi che li riportano si aprono alla nostra vita, alla nostra storia, a tutto ciò che la Chiesa ha fatto e affrontato nel corso dei secoli. Oggi sentiamo parlare di Pietro e di Paolo e già del loro legame con Roma.
Nel caso di Paolo, è qui che egli andrà a difendere il suo insegnamento al centro del mondo. Possiamo immaginare che l'imperatore sarà perplesso quanto Festo su come indagare l'insegnamento di Paolo. Infatti, non capendone nulla, Nerone deciderà di fare di questa piccola setta ebraica chiamata “cristiani” un capro espiatorio e nella persecuzione che ne seguirà Paolo sarà decapitato.
A Pietro, Gesù profetizza il modo in cui morirà. Almeno questa è l'interpretazione dell'evangelista di un'enigmatica affermazione di Gesù secondo cui nella sua vecchiaia Pietro sarà cinto da qualcun altro e condotto dove non vorrebbe andare. Sappiamo che anche Pietro morì a Roma, nella stessa persecuzione di Nerone.
Così questi due grandi protagonisti della prima comunità cristiana, le cui strade (e spade) si incrociarono di tanto in tanto, vengono uccisi a Roma a pochi anni di distanza l'uno dall'altro. Morirono per la stessa fede, per lo stesso amore verso il loro unico Signore.
Tre volte, ci dice Paolo, pregò il Signore per una spina nel fianco, un'afflizione fisica, morale o spirituale che lo tormentava. Lo fece (ancora e ancora e ancora) finché non fu rassicurato che la grazia di Dio era sufficiente per lui perché la potenza di Dio si perfeziona nella debolezza. Tre volte Pietro rinnegò il suo Signore, confermando oltre ogni dubbio quanto fosse debole moralmente e spiritualmente. Ma tre volte afferma il suo amore per il Signore e, cosa ancora più importante, tre volte il Signore ribadisce la sua scelta di Pietro come pastore del gregge. Anche Pietro imparò che la grazia di Dio era sufficiente per lui perché la potenza di Dio si perfeziona anche nella debolezza di una roccia che sembra completamente inaffidabile. «Noi siamo infedeli, ma lui è sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Timoteo 2, 13).
Affrontiamo quindi il tempo della Chiesa, forse con apprensione e timore. Cosa possiamo sperare di essere o di realizzare, lasciati a noi stessi? Vediamo solo un'inaffidabilità paragonabile a quella di Pietro e una lotta simile a quella di Paolo. Negli ultimi anni questa inaffidabilità è stata sempre più confermata e persino la sincerità della nostra lotta può sembrare falsa. Preghiamo affinché, in primo luogo, lo Spirito ci rassicuri che la grazia di Dio è sufficiente anche per persone come noi, che la potenza di Dio può rendersi perfetta anche nella debolezza che ci è così familiare. Riponiamo la nostra speranza non nel ricordo di uomini codardi e vacillanti resi coraggiosi e perseveranti, ma nello Spirito che li ha resi tali, lo Spirito di verità, santità, grazia e amore.
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