Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 30 giugno 2024

Settimana 13 Domenica (Anno B)

Letture: Sapienza 1:13-15; 2:23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8:7, 9, 13-15; Marco 5:21-43

"Talitha kum", "bambina, alzati". È uno dei luoghi del Nuovo Testamento in cui troviamo parole aramaiche. Ci sono molti luoghi di questo tipo, soprattutto nei vangeli, e in particolare nel vangelo di Marco. Si ritiene che l'aramaico fosse la lingua madre di Gesù. È una lingua usata ancora oggi, ad esempio dalle comunità cristiane in Iraq.

Possiamo fare delle ipotesi sul perché queste parole e frasi siano sopravvissute nel Nuovo Testamento. Non sembra esserci consenso tra gli studiosi sul motivo della loro presenza e sul perché compaiano proprio nei luoghi in cui le troviamo. Le tre occorrenze più importanti di parole aramaiche nel Vangelo di Marco sembrano essere le seguenti: il passo che leggiamo oggi in cui Gesù dice "talitha kum" alla bambina, il passo di Marco 14 che racconta l'agonia di Gesù nel giardino e in cui egli prega il Padre come "Abba", e le parole pronunciate da Gesù dalla croce, riportate da Marco, "Eloi, eloi, lama sabachthani".

L'elemento comune a tutti e tre è la morte. In tutti e tre i momenti Gesù si confronta con la morte. Sono tutti momenti in cui la fede o la fiducia in Dio sono messe alla prova più estrema, quando Gesù si confronta con la morte, il nemico finale e definitivo, l'ultima arma nell'arsenale del regno di Satana. E la morte sembra la vittoria di quel regno. Dopo aver dimostrato di avere potere sulle malattie e sui demoni, sul peccato e sulle forze della natura, che dire della morte? Cosa può fare il Messia di fronte alla morte? Egli proclama che il regno di Dio è vicino, un regno che riguarda la vita, la pienezza della vita, la vita eterna. Come se la caverà nella battaglia con la morte? Il suo regno sarà in grado di affrontarla?

Possiamo immaginare che le parole aramaiche sopravvivano perché questi incontri con la morte sono i più intensi, dal punto di vista emotivo, del ministero di Gesù. Sappiamo dalla sua reazione alla morte di Lazzaro quanto fosse profondamente colpito dal potere della morte. È facile capire che il Getsemani e il Golgota sono i momenti più emozionanti per lui personalmente, i momenti di lotta più profonda: rimarrà fedele anche in questa oscurità sempre più profonda? Vedere una giovane ragazza morente, forse addirittura morta, avrebbe toccato anche i duri di cuore e li avrebbe spinti alla compassione. A maggior ragione Colui che è la fonte della vita, che ama infinitamente quella bambina.

C'è un fattore comune, dunque, in quelli che sembrano gli usi più significativi delle parole aramaiche nel Vangelo di Marco: sono registrati quando Cristo si scontra con la morte. Sono usate in momenti di forte emozione di fronte alla morte. Come se anche per i testimoni che registrano questi incontri l'esperienza fosse profondamente emotiva, tanto che le parole e le frasi vere e proprie, nella lingua madre del Signore, sono state impresse nel cuore, nella mente e nella memoria. La prima lettura di oggi ci ricorda che questi incontri con la morte mettono il Signore della Vita di fronte al veleno che è stato introdotto nella creazione attraverso l'invidia del diavolo: "Dio ha fatto l'essere umano imperituro, a immagine della natura di Dio stesso, ed è stata l'invidia del diavolo a portare la morte nel mondo".

È una speculazione, una meditazione, ma è almeno interessante. E forse molto più che interessante, perché solleva la domanda chiave: come se la cava la fede di fronte alla morte? La mia fede? La vostra fede? La fedeltà di Gesù? La nostra fiducia in lui? Siamo in grado di mantenere l'equilibrio di fronte alla morte? Continuiamo allora a credere e a sperare che con Dio tutto è possibile?

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