Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

venerdì 31 gennaio 2025

SANTA BRIGIDA D'IRLANDA - 1 FEBBRAIO

Una delle poesie irlandesi più popolari parla dell'arrivo della primavera, dell'allungarsi delle giornate e del poeta che alza le vele dopo la festa di Brigid, riprendendo il cammino dopo l'oscurità, il tranquillo letargo, dell'inverno. È arrivato il momento di uscire di nuovo, di vivere, di godere della nuova vita e della luce più luminosa che la primavera porta con sé.

Il legame tra la festa di Brigid e l'inizio della primavera (almeno il suo inizio ufficiale: in Irlanda il tempo invernale spesso continua ancora per qualche tempo! Si ipotizza addirittura che si tratti di una cristianizzazione di una precedente festa pagana di primavera, forse sostituendo una dea celtica della primavera con una santa cristiana. A prescindere dalle origini, oggi la celebriamo in onore di una delle principali patrone d'Irlanda, Brigida di Kildare, badessa e fondatrice di monasteri, leader e guida per molti, una donna che esercitò un'autorità e un'influenza uniche nella Chiesa irlandese primitiva.

Arrivando in primavera, Brigid ci incoraggia a concentrarci sui doni del mondo creato, sul miracolo annuale della vita che nasce da ciò che sembra morto e della luce che si afferma per far tornare indietro l'oscurità profonda. Come testimone della vita e della luce in questo modo, è più che mai necessaria nella sua patria. La Chiesa in Irlanda sembra muoversi inesorabilmente verso la morte, almeno nella forma che aveva, e mentre l'oscurità sembra diventare sempre più profonda, potremmo chiederci cosa succederà, dove troverà l'anima la vita e la luce che cerca e di cui ha bisogno?

La poesia che parla di alzare le vele dopo il giorno di Santa Brigida parla del viaggio verso casa. Per il poeta ciò significa andare a Mayo, che egli dipinge come una sorta di paradiso terrestre, carico di frutti, carico di un raccolto generoso, che scorre con il chiaro di luna (forse la canzone dovrebbe essere Moonshine in Mayo piuttosto che Moonlight in Mayo?!).

Come intercessione celeste, patrona del suo popolo, Brigida ci invita a seguirla lungo la strada percorsa prima di lei da Gesù. Ci dice di alzare le vele e di partire con lei verso la nostra vera patria, che è il regno di Cristo. Il viaggio in questo regno non è privo di fatica, così come non è privo di fatica il raccolto a Mayo. Ma è un regno di abbondanza, dove i frutti dello Spirito sono generosamente donati: amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, fedeltà, dolcezza e autocontrollo.

Entriamo in possesso sempre più pienamente di questi doni iniziando a condividerli con gli altri. Questo è ciò che Brigida ci insegna: essere persone d'amore e di ospitalità, prendersi cura dei bisognosi, vivere secondo il nuovo comandamento dell'amore. Allora la luce della primavera di Cristo sta già illuminando il vostro cammino e state già vivendo le primizie del regno che sta arrivando e che stiamo cercando. 

mercoledì 29 gennaio 2025

SETTIMANA 3 - MERCOLEDI (ANNI DISPARI)

Letture: Ebrei 10:11-18; Salmo 110; Marco 4:1-20

La parabola del seminatore è la prima delle parabole. Gesù dice ai suoi discepoli che è anche, in qualche modo, la chiave di tutte le parabole: “Se non capite questa, come potrete capire tutte le altre?”. Vuole forse dire che questa è la parabola più semplice e che se non riuscite a capire questa non riuscirete a capire nessuna di esse? Noi penseremo, ragionevolmente, di capire questa: non ci è stata data una spiegazione chiara del suo significato? E non è complicato. Ci parla di diversi tipi di persone e di come rispondono o meno alla Parola di Dio trasmessa dal predicatore. O forse significa che ci sono momenti diversi nella nostra risposta alla Parola, una risposta che a volte è stata indifferente o superficiale, e altre volte più seria e forse anche a volte fruttuosa. Non sembra così difficile da capire.

In realtà, la conversazione tra Gesù e i discepoli che si colloca dopo la parabola e prima della sua spiegazione è molto più complicata. I suoi commenti sono certamente più preoccupanti di tutto ciò che dice nella parabola. Nello spiegare perché insegna in parabole, non dice che è solo un modo comodo di insegnare, raccontando belle storie per catturare l'immaginazione delle persone e aiutarle a ricordare il suo insegnamento. Le parabole funzionano in questo senso, ma la scelta di Gesù di insegnare in questo modo non è semplicemente una questione di pedagogia, una strategia dell'insegnante. Egli insegna in parabole, dice, perché alcuni sono ammessi al segreto del regno, mentre altri, “quelli di fuori”, non sono ammessi. Essi udranno ma non percepiranno, vedranno ma non comprenderanno, affinché non si convertano e non siano perdonati.

Si tratta di un contrasto sconcertante. La parabola parla di una diffusione aperta, stravagante e indiscriminata della Parola. Il seme viene gettato qui, là e ovunque. È messo a disposizione di tutti. I commenti di Gesù sembrano implicare una distinzione tra coloro che sono ammessi e coloro che sono esclusi. Questo va bene, penseremo, finché sono le persone stesse a scegliere se essere ammesse o escluse. Non è forse questo che dice la parabola? Ci sembrerà molto strano, invece, se sembra che sia Dio a scegliere chi sarà ammesso e chi sarà escluso. In effetti, Gesù cita un passo del profeta Isaia per dire che ci saranno alcuni che non capiranno, che non percepiranno, che non risponderanno a ciò che la Parola di Dio richiede.

La conversazione sull'uso delle parabole da parte di Gesù nell'insegnamento è quindi una seconda versione della parabola del seminatore. Il suo insegnamento è offerto apertamente e indiscriminatamente. Deve prendere una barca perché c'è tanta gente radunata in riva al mare. Parla a tutti della parabola. Alcuni la ascoltano e si lasciano condurre nel mistero che porta con sé. O almeno vengono da lui per farsela spiegare. Ci sono anche altri che la ascoltano, ma per i quali il mistero rimane chiuso.

Ciò significa che la parabola riguarda anche ciò che voi e io stiamo facendo ora, pensando alla parabola del seminatore e cercando di capirla. Questo è un altro modo in cui le parabole funzionano. Saltano fuori dalla pagina e afferrano il lettore o l'ascoltatore. Ci abbracciano e ci portano dentro di sé, in modo che le loro domande siano rivolte direttamente a noi. Sei tu, sono io, un terreno ricco per la Parola di Dio? O siamo il sentiero, il terreno roccioso, un luogo spinoso impigliato in ansie o distrazioni? Siete voi, sono io, tra i discepoli ammessi al segreto del Regno? O siamo tra coloro che ascoltano ma non percepiscono ancora, vedono ma non capiscono ancora?

La parabola del seminatore è la prima e la chiave delle parabole. Impegnarsi con essa ci obbliga a un particolare tipo di meditazione su Gesù e sul suo insegnamento. L'interpretazione è facile da capire, ma la conversazione su questo tipo di insegnamento in parabole non è facile da capire. Dobbiamo pensare non solo al tipo di terreno che siamo, ma al mistero della vocazione e della risposta, dell'elezione e del giudizio, del peccato e della grazia.

martedì 28 gennaio 2025

CONFERENZA IN ONORE DI SAN TOMMASO D'AQUINO 2025

Credere è vedere: L'Aquinate sul mistero della fede

Questo articolo è stato pubblicato (in inglese) in Religious Life Review 52 (2013) 135-142


È ragionevole e necessario credere

Nell'Observer Review del 31 dicembre 1995, Richard Dawkins scriveva:

Vi dirò per cosa spero che gli anni Novanta vengano ricordati. Spero che sia l'ultimo decennio in cui la gente crede alle cose per tradizione, per autorità o per convinzione interiore privata, piuttosto che per evidenza. Non c'è speranza.

Dawkins vuole purificare il nostro accesso al mondo, chiudendo la maggior parte delle porte attraverso le quali la conoscenza è possibile per la maggior parte di noi, e limitando la base del credere all'evidentia sola. Nel suo Commento al Credo degli Apostoli, Tommaso d'Aquino voleva tenere aperte tutte le porte: non solo l'evidenza, ma anche la tradizione, l'autorità e la convinzione interiore privata. Vedremo che la visione dell'Aquinate è più ragionevole come resoconto del modo in cui il nostro conoscere e il nostro credere avvengono effettivamente.

Ci sono quelli che dicono che siamo stupidi a credere a cose che non vediamo”, scrive l'Aquinate, ‘dicono che dovremmo credere solo a ciò che ci è evidente’. Ma ci sono molte buone ragioni, secondo lui, per non essere d'accordo con coloro che vorrebbero chiudere in questo modo il nostro accesso alla conoscenza.

Innanzitutto, questa visione dimentica la debolezza della mente umana. Se fossimo in grado di comprendere perfettamente tutto ciò che esiste, visibile e invisibile, allora sarebbe davvero sciocco credere alle cose: dovremmo andare a capirle da soli. Ma anche il più intelligente degli scienziati umani non può comprendere completamente nemmeno la natura di una mosca. L'Aquinate racconta di un filosofo che si chiuse in solitudine per trent'anni per concentrarsi sulla comprensione dell'ape. Se consideriamo quanto sia limitata la nostra conoscenza, sarebbe sciocco per noi non credere, fidarci dei maestri.

Certo, gli scienziati sanno molto di più oggi di quanto non sapessero nel XIIImo secolo. Ma quando accettiamo che gli scienziati abbiano il diritto di insegnarci, riconosciamo la loro autorità. È ragionevole (e per la maggior parte di noi necessario) accettare come vero ciò che gli scienziati dicono su cose di cui non abbiamo esperienza o capacità di valutare le prove. Questo è il secondo argomento di Tommaso a favore della ragionevolezza del credere. Quando uno scienziato parla di cose che rientrano nelle sue competenze, accettiamo ciò che dice. Se arriva un'altra persona che non ha nulla di paragonabile alla sua competenza nell'area in questione, allora preferiamo il suo insegnamento a quello di lui, a meno che non abbiamo qualche buona ragione per pensare che la sua opinione abbia maggiori probabilità di essere vera.

Il punto, per il momento, è che questo modo di credere è ragionevole e non stupido. Credere non è, come alcuni (dogmaticamente) dicono oggi, “irrazionale”. I romanzi di Brian Moore sono meravigliosi, ma purtroppo, in una delle sue opere, parla della fede come del “contrario della ragione”. Si tratta di un pregiudizio moderno comune che, se applicato sistematicamente, ridurrebbe drasticamente l'esperienza umana. Nel caso di Moore sembra nascere dalle ansie per la “religione” ed è in realtà in contrasto con la ricca comprensione dell'esperienza umana che troviamo nei suoi romanzi. Ma se dovessimo seguire fino in fondo l'idea che la fede è l'opposto della ragione, ci troveremmo in un mondo di pazzi proprio perché gran parte della conoscenza che ognuno ha è una conoscenza che viene creduta. Chesterton diceva che il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma colui che ha perso tutto tranne la ragione.

Questo è anche l'argomento successivo dell'Aquinate: se una persona decide di credere solo a ciò che sa personalmente come vero, allora la vita in questo mondo diventa impossibile. Come potremmo vivere nel mondo se non crediamo a qualcuno? Si noti che per l'Aquinate la credenza non riguarda solo “le cose che riteniamo vere”, ma anche “le persone della cui conoscenza siamo disposti a fidarci”. In una famosa affermazione l'Aquinate si chiede: “come potremmo sapere chi è nostro padre se non credessimo a qualcuno”? In assoluto, forse la persona che ho sempre creduto essere mio padre non era mio padre. Come posso saperlo? Tutte le porte attraverso le quali posso conoscere le cose sono in accordo su chi sia mio padre. Non sarebbe un'indicazione di malattia mentale rifiutare di accettare ciò che la tradizione familiare, coloro che hanno l'autorità di sapere, la convinzione personale interiore, supportata dall'evidenza della somiglianza fisica, mi dicono di mio padre?

La fede, uno dei “doni più alti” (1 Corinzi 13:13)

Uno dei migliori insegnanti che ho avuto pensava che le persone tendessero a leggere la Summa theologiae dell'Aquinate troppo lentamente. Un modo di procedere ponderato da un punto all'altro è un modo per farlo, ma può non riuscire a cogliere il senso del movimento all'interno dei trattati della Summa. Nel caso della considerazione della fede, ad esempio, il fatto che la attribuisca all'intelletto può trarre in inganno se non si tiene presente che essa implica sempre anche un atto della volontà. Nei termini dell'Aquinate, una fede puramente intellettuale rimane “non formata”: non è ancora cresciuta per essere pienamente se stessa, per essere “fede che opera per mezzo dell'amore”. La fede è un tipo di visione, una conoscenza, ma è sempre anche “in un vetro oscuro” (1 Corinzi 13:12). La fede è sempre sia “positiva” che “negativa”, ci mette in contatto con la verità ma ci lascia sempre più o meno perplessi. La fede ci unisce a Dio, che trascende completamente la creazione e la nostra esperienza di essa, ma che è anche condiscendente nel rivelarsi a noi e nel chiamarci a condividere la sua vita. Quando l'Aquinate parla della certezza della fede, è fondamentale capire che questa non proviene dall'interno del credente (come se potessimo intenzionalmente generare questa certezza stringendo i denti), ma proviene piuttosto da Colui che è l'oggetto della fede.

Per l'Aquinate, la conoscenza che la fede dà non è forte come quella che otteniamo dalla scienza. Tuttavia, conosciamo le cose per fede. Siamo obbligati ad articolare la nostra conoscenza nel linguaggio - questo è il modo in cui funziona tutta la conoscenza umana - e così anche siamo obbligati ad articolare la nostra fede. Questo solleva già alcune domande sulla fede teologica. Se Dio è perfettamente semplice in sé, eppure la fede in Dio (perché è umana) deve essere articolata, la fede tocca la realtà di Dio o arriva solo a quei modi umani di parlare di Dio? L'Aquinate ritiene che la fede tocchi effettivamente Dio “attraverso” i modi in cui il mistero di Dio è stato articolato. La rivelazione divina, il Verbo che si fa carne, significa che Dio si esprime negli eventi della nostra storia e in ciò che gli esseri umani hanno scritto su quegli eventi. In una frase spesso citata, l'Aquinate dice che la fede non termina nelle forme in cui è stata enunciata, ma nella realtà che quelle forme esprimono. Quando diciamo il Credo, per esempio, crediamo che la nostra fede non raggiunga solo il contenuto intellettuale delle proposizioni che stiamo enunciando, ma raggiunga Dio che si è rivelato in questi modi.

La fede significa vedere nel buio: presentandola in questo modo, l'Aquinate si colloca nella lunga tradizione mistica del cristianesimo. Lo Pseudo-Dionigi è la prima autorità che cita nella sua riflessione sulla fede, un monaco siriano delVIsecolo che parla di una conoscenza che è al di là del sapere (Teologia mistica) e allo stesso tempo parla della “fede divina” come forte, certa e liberante. Il carmelitano spagnolo Giovanni della Croce, allievo sia dello Pseudo-Dionigi che dell'Aquinate, afferma che la notte mistica è illuminata solo dalla luce della fede, ma questa luce è più sicura di quella del mezzogiorno, è una notte “più bella dell'alba” (In una notte oscura, versetti 4-5). L'Aquinate stesso presenta un racconto dialettico della fede in cui non c'è nulla di falso, perché è un contatto con la Verità stessa, mentre il suo oggetto rimane per noi invisibile, oscuro, sconosciuto, misterioso e assente.

La fede come decisione

La fede implica sempre una decisione. Qualcosa per cui esistono prove convincenti e su cui la mente è totalmente soddisfatta, non lascerebbe spazio alla decisione. Se un'ipotesi di geometria è stata compresa perfettamente e la sua conclusione è stata dimostrata con certezza, sarebbe perverso decidere di rifiutare quella conclusione. Nelle questioni di fede, invece, l'evidenza non è sufficiente a soddisfare l'intelletto. Nella fede c'è spazio per la mente per scegliere, per dire quello che pensa sia il caso sulla base delle prove disponibili o sulla base dell'affidabilità di chi presenta le prove.

Questa decisione di credere non è un “salto nel buio” irrazionale, ma è sostenuta da ragioni esterne e interne. Le porte della conoscenza che l'Aquinate vuole tenere aperte sono tutte coinvolte: prove, tradizione, autorità, convinzione personale interiore. Ciò che viene creduto è ritenuto credibile sulla base di segni o per qualche altra ragione. Anche se non possiamo vedere l'oggetto della fede in sé, l'Aquinate ritiene che possiamo vedere che l'oggetto della fede è credibile.

Al di fuori di noi ci sono i miracoli, l'esempio di vita cristiana, la fede e l'amore delle comunità cristiane, l'inadeguatezza di visioni alternative della realtà, la predicazione di testimoni affidabili: tutti questi elementi sostengono la decisione di credere e permettono di vedere la credibilità di ciò che si crede. Non provano la fede in modo tale da rendere inevitabile la decisione di credere. Ma dimostrano che non è irrazionale credere in Dio e nella sua provvidenza.

La decisione di credere è sostenuta anche dall'interno. Dio stesso è, in definitiva, l'unico motivo dell'atto di fede che crede alla parola di Dio semplicemente perché è la parola di Dio. L'aiuto dall'esterno può essere definito il motivo oggettivo, ma la risposta soggettiva richiede il dono della grazia. San Paolo parla della fede come di un “dono” (1 Corinzi 12:9; 13:13). Si sfiora il mistero della grazia e di Dio che opera all'interno della libertà umana, su cui l'Aquinate riflette più a lungo quando considera in dettaglio l'atto di fede (Summa theologiae II.II q.2). È sufficiente dire che nella fede c'è una luce soggettiva, una luce che si aggiunge a quella naturale del nostro spirito, che ci aiuta a discernere i misteri della fede e a vedere che dobbiamo credere a Dio quando parla.

Fede e domande

Poiché alla mente non sono state fornite prove dimostrative e convincenti, essa rimane inquieta nel credere. Per questo l'Aquinate usa una frase trovata in Sant'Agostino: fede significa cum assensione cogitare. Ancora una volta la fede è a due facce. Comporta l'assenso e allo stesso tempo la riflessione, la considerazione, la domanda, la meditazione su ciò a cui si dà l'assenso. La fede è un atto intellettuale che si distingue da tutti gli altri atti intellettuali (dubbio, sospetto, opinione, conoscenza e comprensione) per il fatto che assenso e cogitatio sono presenti in egual misura e contemporaneamente. Un altro modo per dirlo è dire che la fede significa “fidarsi mentre si riflette”. Ne abbiamo un modello impressionante in Maria, la madre di Gesù, che credette a ciò che le era stato detto mentre lo meditava nel suo cuore (Luca 1:38,45; 2:19,51).

Per l'Aquinate, l'atto di credere è quindi una cosa misteriosa. Poiché implica la cogitatio, è un'inquietudine continua. Ma poiché è un assenso, significa anche giungere al riposo, a una decisione, a un'opzione, a un assenso a una posizione piuttosto che a un'altra. Platone dice da qualche parte che “bisogna andare verso la verità con tutta l'anima” e l'Aquinate spiega l'atto del credere parlando dei ruoli rispettivi di intelletto e volontà. L'intelletto non arriva a riposare nella conclusione naturale del suo corretto funzionamento. Non arriva a vedere l'intelligibilità dell'oggetto in esame in modo che la sua ricerca si concluda naturalmente. La volontà comanda all'intelletto di fermarsi in una posizione piuttosto che in un'altra per ragioni appropriate alla volontà stessa: il bene che è implicato nel credere piuttosto che nel non credere, l'affidabilità del testimone che parla, l'utilità di ciò che le sue parole promettono. La fede in senso teologico è quindi un atto cognitivo unico, in cui la mente è portata alla decisione dalla volontà sotto la spinta della grazia di Dio.

L'intelletto nel credere è catturato, dice l'Aquinate, riferendosi a 2 Corinzi 10:5. Nell'atto di credere, l'intelletto è determinato nel suo giudizio non da se stesso e dal suo proprio funzionamento, ma da una potenza “esterna” a se stesso, cioè la volontà (anche se dobbiamo stare attenti a non staccare queste potenze l'una dall'altra). Nel credere c'è un elemento di sottomissione, di abbandono fiducioso a livello del cuore, di affettività, di fiducia in Colui che afferma. Da qui l'inquietudine dell'intelletto che non ha raggiunto il suo fine naturale nella conoscenza, nella comprensione o nella visione. Questa inquietudine precede l'atto di credere, mentre lottiamo con la credibilità, la non assurdità, del credere, e rimane insieme all'atto di credere, mentre continuiamo a cercare di capire che cosa crediamo mentre ci impegniamo a farlo. Essere credenti significa vivere tra queste due riflessioni.

Fede e amore

Come in inglese, così in latino, si può “credere” che qualcosa sia vero, si può “credere” a una persona quando ci dice qualcosa e si può “credere in” una persona. L'Aquinate dice che tutti e tre i tipi di credere vanno a costituire la fede teologica. Credere che la proposizione “Dio esiste” sia vera è un esempio di ciò che John Henry Newman chiamava assenso nozionale. È un'accettazione intellettuale di qualcosa come vero e posso crederci senza che questo faccia necessariamente una differenza significativa nella mia vita. Anche credere a Dio quando parla può essere inteso in modo intellettuale o nozionale (anche se è difficile immaginare che qualcuno creda che Dio abbia parlato da qualche parte e che questo non faccia alcuna differenza nella sua vita).

In questi primi due modi, “anche i demoni credono” (Giacomo 2:19). Ma per una fede in senso profondo, come per un “vero assenso” nel senso di Newman, è necessario il terzo aspetto della fede. “Credere in” Dio significa allora dare la propria fiducia e confidenza a Dio, affidarsi a Dio, affidare la propria vita a Dio. Per l'Aquinate questa è una “fede formata”, una fede giunta alla sua maturità nell'amore. Scrive altrove che credere in Dio significa amando in eum tendere, tendere verso Dio amandolo. La fede in questo senso è il principio di tutte le opere buone, dice, la fede che Gesù chiama “opera di Dio” (Gv 6,29).

Per l'Aquinate, la fede ci permette di partecipare all'autoconoscenza di Dio. Ci dà il più fragile acquisto di quella conoscenza. Ma quando ci ricordiamo del mistero di cui la fede è la porta (At 14,27), non disprezziamo la sua fragilità, ma lottiamo con tutta l'energia della nostra vita per mantenerla.

domenica 26 gennaio 2025

TERZA SETTIMANA - DOMENICA (ANNO C)

Letture: Neemia 8:2-6, 8-10; Salmo 18; 1 Corinzi 12:12-30; Luca 1:1-4; 4:14-21

Alcuni anni fa i vescovi americani hanno prodotto un documento sull'omelia domenicale intitolato “Fulfilled in your hearing”. La frase è tratta dalla lettura del Vangelo di oggi, quando Gesù dice questo ai suoi a Nazareth. Secondo il Vangelo, non dice altro. Al contrario, Esdra, nella prima lettura, leggeva la legge al popolo facendo interpretazioni e spiegando il senso in modo che capissero. Si commuovevano fino alle lacrime. Gesù non offre alcuna interpretazione o spiegazione, oltre a dire che la promessa contenuta nelle Scritture si è compiuta. La settimana prossima leggeremo che i suoi ascoltatori furono spinti all'ira dalla sua predicazione.

L'affermazione di Gesù è chiara. Egli sta dicendo che non è un profeta come tanti e che la sua predicazione non è solo un altro momento della serie in cui Dio rinnova l'alleanza con il popolo.Egli è il Messia, quello promesso nel testo appena letto, quello unto per annunciare la buona novella ai poveri e la liberazione dei prigionieri, per ridare la vista ai ciechi e liberare gli oppressi. È lui stesso l'interpretazione del testo. Potremmo anche andare oltre e dire che il testo interpreta Lui, poiché è Lui stesso la Parola a cui queste parole rimandano.

È raro che la predicazione ci muova a qualcosa, che sia lacrime o rabbia! Le parole della Scrittura sono troppo spesso familiari e piatte, lette in modo monotono e buttato via, predicate in modo superficiale e incerto. Forse, come il coro dell'opera di T.S.Eliot Assassinio nella cattedrale, “non vogliamo che accada nulla”. È bello essere confortati dalle parole delle Scritture e fingere di lasciarsi interpellare da esse. Ma se dovesse succedere qualcosa? Se un predicatore centrasse il bersaglio? Se un testo si avvicinasse al suo compimento nel nostro uditorio, un testo sul giudizio o un testo sull'amore? E se qualcuno prendesse sul serio l'insegnamento di Gesù?

Gesù viene a Nazareth “nella forza dello Spirito” ed è così che dobbiamo avvicinarci alla lettura e all'ascolto della Parola di Dio. Quando viene letta e accolta nella preghiera, c'è la speranza che la Parola possa raggiungere lo scopo per cui è stata mandata. Allora saremo pronti per il suo adempimento nel nostro ascolto. Allora saremo pronti perché qualcosa accada. E se la leggiamo in questo modo, qualcosa accadrà.

sabato 25 gennaio 2025

CONVERSIONE DI SAN PAOLO - 25 GENNAIO

Letture: At 22,3-16 / At 9,1-22; Salmo 117; Marco 16,15-18

Per la prima metà della sua vita fu Saulo e per la seconda parte Paolo. Divenne apostolo delle genti, fondatore di Chiese, predicatore itinerante e scrittore di lettere. Alla fine testimoniò Cristo versando il suo sangue come martire per la fede a Roma. Il 25 gennaio è la festa della Conversione di San Paolo, il momento in cui smise di essere Saulo e divenne Paolo. Per grazia di Dio era destinato a diventare uno dei più grandi santi della Chiesa, un uomo la cui vita e i cui scritti continuano a nutrire la fede di milioni di persone.

Paolo si descrive come “uno nato prematuramente” (1 Corinzi 15), messo al mondo come “l'ultimo e il più piccolo” degli apostoli, coloro che hanno avuto il privilegio di incontrare il Signore risorto. La sua vita prima di quel momento - la sua vita come “Saulo”, culminata nella persecuzione della Chiesa di Dio - non conta più.

È vero che in 2 Corinzi 11, Filippesi 3 e Romani 11 Paolo ci dà molte informazioni sulla sua vita e sui suoi tempi, sulla sua ascendenza e sulla sua formazione, sugli eventi della sua vita prima e dopo la conversione. Gli Atti degli Apostoli colmano molte lacune e altre possono essere ricavate da altre lettere del Nuovo Testamento.

Ma se vogliamo prendere sul serio le sue stesse parole, la vita significativa dell'apostolo Paolo è la sua predicazione del Vangelo e la sua fondazione di chiese. La sua vita in Cristo è la vita che conta. Non c'è nulla prima o intorno a essa che sia degno di grande attenzione. Questo perché per lui “vivere è Cristo” (Filippesi 1.21), così che “non è più Paolo che vive, ma Cristo che vive in lui” (Galati 2.20). Il destino di Paolo è ora completamente intrecciato con il destino di Cristo e del suo Corpo, la Chiesa.

Paolo appartiene alla schiera dei profeti di Israele per i quali una visione e una vocazione inaugurano una nuova vita. Isaia, ad esempio, vide la gloria di Dio nel tempio di Gerusalemme, sentì la propria indegnità, ebbe le labbra bruciate dal fuoco e poi si affidò alla grazia che lo rese portatore della parola di Dio (Isaia 6). Anche Amos, il guardiano di sicomori, viene trasformato in profeta (Amos 7). Geremia viene chiamato nonostante si senta troppo giovane per le responsabilità che comporta (Geremia 1).

Possiamo usare le parole di Isaia, che descrivono gli effetti della presenza di Dio nel tempio, per dire che l'esperienza di Paolo di una nascita prematura ha significato lo scuotimento delle sue fondamenta e il riempimento della sua casa di fumo. Rimase confuso e accecato per qualche tempo, finché un rappresentante della Chiesa, Anania, venne come strumento dello Spirito di Dio e lo guidò alla nuova nascita (Atti 9). Poi, nel battesimo, come ha insegnato a tutta la Chiesa, Paolo è diventato una nuova creazione (2 Corinzi 5.17).

E così inizia la sua vita. Non possiamo dubitare che l'esperienza personale di Paolo con Gesù sulla via di Damasco e nei giorni successivi meriti tutta l'attenzione che le è stata dedicata. Gli Atti degli Apostoli raccontano la storia tre volte. (Gli artisti tendono a dipingere la scena con Paolo che cade da cavallo, ma in nessuno di questi racconti si fa riferimento a un cavallo). Il suo insegnamento e l'energia con cui viaggiava avanti e indietro per l'Impero romano erano il risultato di quel momento in cui Paolo incontrò Gesù e ne fu travolto per sempre.

Cosa faceva allora San Paolo tutto il giorno? Ci dice che si consumava nell'ansia e nella cura delle chiese. Ci sono accenni al fatto che continuò a guadagnarsi da vivere con il suo mestiere di costruttore di tende (1 Corinzi 9). Ma questa sarebbe stata una noiosa distrazione dalla passione del suo cuore, che era quella di predicare il vangelo del Signore crocifisso e risorto, di diventare tutto per tutti per poterne in qualche modo conquistare qualcuno.Predicava a giudei e greci, a commercianti e filosofi, a guardie carcerarie e leader politici, a uomini e donne.

Come strumento dello Spirito, raggiunse risultati notevoli. Fondò e rafforzò comunità cristiane in molti luoghi.Portò il Vangelo in Europa. Terminò la sua vita morendo martire a Roma. Ebbe il privilegio di seguire Cristo in senso non solo figurato. Con il suo sangue fisico Paolo completò l'effusione della passione del suo cuore, il suo amore per Cristo, quell'amore di Dio che era stato riversato nel suo cuore dallo Spirito Santo. Visse sempre nella fede e nell'amore, senza mai dimenticare la grazia di Dio che operava in lui nonostante le molte difficoltà e debolezze personali.

San Paolo è una delle personalità più conosciute del mondo antico che continua a insegnare e a ispirare milioni di discepoli di Gesù. Il 25 gennaio ricordiamo le cose meravigliose che Dio ha fatto attraverso di lui. Con le parole di Paolo, “rendiamo grazie a Dio che gli ha dato la vittoria per mezzo del nostro Signore, Gesù Cristo” (1 Corinzi 15.57).

mercoledì 22 gennaio 2025

SECONDA SETTIMANA - MERCOLEDI (ANNI DISPARI)

Letture: Ebrei 7.1-3, 15-17; Salmo 110; Marco 3.1-6

C'è molta emozione nella lettura del Vangelo di oggi. Gesù è arrabbiato con coloro che stanno rapidamente diventando suoi avversari ed è triste per la loro durezza di cuore. Da parte loro sono determinati a distruggerlo. È chiaro che sono entrati nella pelle dell'altro. Tutti noi sappiamo cosa significhi che le persone “ci danno fastidio”. In senso negativo, succede quando le persone ci irritano e ci fanno arrabbiare profondamente. Quando siamo fortemente attratti da una persona, magari innamorandocene, ci entra nella pelle in senso positivo. In ogni caso, una persona è entrata in noi, occupa la nostra mente, i nostri pensieri e i nostri sentimenti, nel bene e nel male.

Perché vogliono già distruggere? Siamo solo all'inizio del terzo capitolo del Vangelo di Marco e già vogliono ucciderlo. Un rapido sguardo al capitolo precedente ci mostra il perché. Gesù ha rivendicato l'autorità di perdonare i peccati (il paralitico abbassato davanti a lui), ha mangiato con gli esattori delle tasse e i peccatori (la chiamata di Levi/Matthew), ha risposto alla loro domanda critica sul digiuno descrivendosi come “lo Sposo” e ha infine rivendicato l'autorità sul giorno di sabato, descrivendosi ancora una volta come “il figlio dell'uomo”.

A volte ci si chiede “in quale punto dei Vangeli Gesù afferma di essere Dio”? Beh, non c'è una frase come questa: “Gesù disse: ‘Io sono Dio’”. Ma conoscendo il contesto dell'Antico Testamento e qualcosa della cultura ebraica, possiamo vedere quanto sia evidente che egli afferma di essere più di un profeta, molto più di un profeta: perdona i peccati, raccoglie gli alienati, parla di sé come lo Sposo (sappiamo chi è lo Sposo di Israele) e come il “figlio dell'uomo”, una figura celeste associata all'instaurazione del regno di Dio.

Nei termini della loro cultura comune, Gesù fa un'affermazione scandalosa, oltraggiosa, blasfema: non c'è da stupirsi che abbia irritato i suoi avversari. Ma perché gli danno fastidio? È lui che è arrabbiato e triste. Sembra che la sua rabbia sia dovuta al loro silenzio. “Sono rimasti in silenzio”, ci viene detto, e questo sembra essere il motivo scatenante della sua rabbia. Così come la loro apparente indifferenza alla condizione dell'uomo con la mano avvizzita, la loro durezza di cuore e la mancanza di compassione.

Il silenzio è spesso una questione di aggressività passiva e tutti noi lo sappiamo. In alcune circostanze, quando le persone non dicono nulla, stanno facendo una dichiarazione molto chiara e violenta. Si rifiutano di impegnarsi. E questo scatena in Gesù una grande rabbia. La sua rabbia è onesta, esplicita, articolata. La loro rabbia si nasconde negli angoli, sussurra, complotta.

La differenza tra un discepolo e un fariseo o un erodiano è che il discepolo continua a parlare con Gesù. Il discepolo continua a cercare di impegnarsi con il Maestro. È un messaggio che possiamo trarre dal Vangelo di oggi: continuare a parlare con Gesù. Anche se - soprattutto se - siete confusi, incerti, arrabbiati o tristi, parlatene con lui. Quando iniziate a pensare che Dio si stia contraddicendo nella vostra vita, che vi conduca su una strada e poi sembri chiudere quella strada, parlatene con lui. I discepoli dicono cose stupide, fanno domande sbagliate, non capiscono, ma almeno restano in relazione con Gesù, cercano di continuare il cammino con lui.

Permettete al Signore di entrare nella vostra pelle e poi, qualsiasi cosa accada nella vostra vita, continuate a parlare con lui.

domenica 19 gennaio 2025

SECONDA SETTIMANA - DOMENICA (ANNO C)

Letture: Isaia 62:1-5; Salmo 96; 1 Corinzi 12:4-11; Giovanni 2:1-12

Il miracolo di Cana è un segno e non un trucco. Ciò significa che è portatore di un significato su Gesù e sulla sua missione. Attraverso questo segno egli inizia a rivelare la sua gloria e i discepoli, rispondendo a questa gloria, diventano credenti.

Molti testi dell'Antico Testamento parlano di un banchetto di nozze in cui sarà servito il vino migliore in abbondanza. Questo banchetto celebra le nozze tra Dio e il popolo di Dio. Non saranno più abbandonati perché Dio si compiace di loro. Non saranno più desolati perché ora sono sposati. Il vino di Cana è sufficiente per tenere in allegria una grande festa di nozze per quindici giorni! Questo è il tipo di stravaganza che gli innamorati capiscono. Nel Cantico dei Cantici il vino equivale all'amore. Quindi una stravaganza di vino significa una stravaganza d'amore.

Ma Cana è un segno che indica il Calvario. In entrambe le occasioni Gesù si rivolge a sua madre chiamandola “donna” (il nome di Eva, che indica che nel mistero della nuova alleanza avrà un ruolo unico, archetipico). A Cana Gesù dice a sua madre che la sua “ora” non è ancora giunta. Quando Gesù muore, il discepolo amato prende Maria nella sua casa “da quell'ora”. L'ora è quella in cui Gesù passa da questo mondo al Padre e Cana la anticipa. Dalla croce Gesù dice “ho sete”. Colui che aveva fornito vino in stravagante abbondanza è inaridito e colui che aveva dato agli ospiti il vino migliore riceve in cambio vino acido. L'amante tremendo si riversa sulla sposa che ama e riceve in cambio l'amarezza dell'indifferenza e dell'odio. Quando la sua vita si è spenta - o meglio, quando ha spirato il suo Spirito - dal suo costato sgorgano sangue e acqua, un'altra eco del segno dato a Cana e un'indicazione del banchetto in cui il suo amore continua a nutrire la sua sposa, il banchetto dell'Eucaristia.

Soprattutto il riferimento alla “gloria” collega Cana al Calvario. Abbiamo visto la sua gloria”, dice San Giovanni, ‘la gloria del Figlio unigenito dal Padre’. Questa gloria si rivela sulla croce, dove vediamo l'amore e l'obbedienza che unisce il Figlio e il Padre. Qui si consuma il matrimonio - sono le ultime parole di Gesù - e le lacrime del peccato e della sofferenza si trasformano per sempre nel vino dell'amore e della gioia.

Così abbiamo Cana, il Calvario e l'Eucaristia. Il segno che ci viene dato, che possiamo vedere ogni giorno, è il pane e il vino con cui Egli nutre il suo popolo radunato, quello che crede in Lui, vede la sua gloria e si nutre del suo Corpo e del suo Sangue. È un'ulteriore stravaganza, la generosità dell'amore divino che si colloca nell'ordine dei segni, si traduce in segni sacramentali messi a nostra disposizione.

Tutto questo era stato promesso da secoli, ma si è realizzato in un modo che nessuno aveva mai sospettato. Il Messia avrebbe dato da mangiare e da bere al suo popolo, e lo fa quando viene dando da mangiare alle moltitudini e cambiando l'acqua in vino. Ma questi sono ancora solo segni, che indicano la realtà che è la sua vita e la sua missione, soprattutto la sua morte, il suo corpo dato per noi e il suo sangue versato per noi. Questo amore generoso e stravagante è lì per noi, da condividere in entrambi i significati della parola: partecipando ad esso noi stessi e portando altri a partecipare con noi.

sabato 18 gennaio 2025

PRIMA SETTIMANA - SABATO (ANNI DISPARI)

Letture: Ebrei 4:12-16; Salmo 19; Marco 2:13-17

L'occhio onniveggente di Dio era uno strumento utilizzato per ricordare che Dio è ovunque, conosce ogni pensiero, ascolta ogni parola e vede ogni azione. Egli è anche a conoscenza di ogni omissione, cosicché la nostra confessione a Dio dei nostri peccati, siano essi di pensiero, di parola, di azione o di omissione, non è una vera novità per lui: egli sa già tutto.

Può sembrare un po' terrificante, e in effetti incuteva paura nel cuore di molti, essere sotto la costante sorveglianza di un “grande fratello” celeste. A volte si dice: “Sono stato cresciuto come cattolico e ho le colpe che lo dimostrano”. (Lo stesso si dice all'interno di varie forme di protestantesimo e anche di altre tradizioni religiose). È strano come le comunità cristiane siano arrivate a posizionarsi, o a essere posizionate, al servizio di una morale vittoriana e puritana che è riuscita semplicemente a ribaltare ciò che Gesù dice nel Vangelo di oggi, convincendo la gente che in realtà era venuto per i sani piuttosto che per i malati. I malati, soprattutto quelli morali, erano disprezzati e rifiutati, scacciati dalla società, scacciati spesso guidati da congregazioni cristiane che servivano gli interessi di quella società.

Come ne parla la Lettera agli Ebrei, questo esame da parte di colui al quale dobbiamo rendere conto, può essere facilmente percepito come una sorta di minaccia.  Sembra piuttosto chirurgico: una spada che penetra tra le giunture e le midolla, tra l'anima e lo spirito. Tuttavia, la provvidenza universale e particolare di Dio, di cui parliamo in entrambe le letture di oggi, dovrebbe essere una buona notizia per noi. Possiamo immaginare che l'interesse che i genitori e gli altri nutrono nei confronti di un neonato sia una buona analogia con l'interesse che Dio nutre nei confronti dei suoi figli, vegliando su ogni loro respiro ed esaminando ogni dettaglio di come stanno. Ogni capello del vostro capo è contato: e se questa fosse una testimonianza d'amore piuttosto che un'istigazione alla paura?

Ebrei ci indica subito Cristo e il modo in cui si è esercitata la provvidenza universale e particolare di Dio. Questa provvidenza sta attuando il proposito di Dio attraverso colui che conosce la nostra debolezza ed è stato tentato in ogni modo come noi. Allo stesso modo, nella lettura del Vangelo, vediamo come la sua conoscenza dei peccatori porti Gesù all'ufficio di Levi, un esattore delle tasse. Viene quindi criticato dagli osservatori della morale pubblica per aver mangiato con gli esattori delle tasse e altri peccatori: come può essere che uno che pretende di essere un maestro e una guida si mescoli con queste persone?

Facciamo invece questa semplice inversione: il Vangelo è amore e non paura, un amore perfetto che scaccia ogni paura. Gesù è venuto davvero per i malati, per chiamarli a stare con lui e ad accompagnarlo nella costruzione del regno. È venuto a portare l'amore del Padre nella vita dei peccatori come Levi e per farlo è obbligato a mescolarsi con loro, a vivere in mezzo a loro, a passare i suoi giorni in loro compagnia. Deve conoscerli e così facendo ci insegna che la conoscenza divina di tutte le cose deriva dall'amore divino di tutte le cose. È lo stesso Spirito che scruta le profondità di Dio e che scruta i cuori degli uomini, aiutandoci a vedere non una spada che pende su di noi, ma i doni che abbiamo ricevuto, i doni che vuole ancora portarci. 


giovedì 16 gennaio 2025

PRIMA SETTIMANA GIOVEDI (ANNI DISPARI)


Il cuore indurito è una specie di lebbra interiore, almeno nelle sue conseguenze. L'indurimento del cuore porta all'isolamento e alla confusione nelle relazioni. E ci chiude in noi stessi. La persona il cui cuore è indurito vive separata dall'interazione umana, anche quando è circondata da altre persone. 

C'è molto sul cuore nelle Scritture. Ci sono avvertimenti, come oggi, circa l'indurimento del cuore. Geremia chiede una circoncisione del cuore. Ezechiele parla della necessità che cuori di pietra siano sostituiti con cuori di carne.

Ma c’è anche un incoraggiamento nelle letture bibliche di oggi. Ogni 'oggi', finché l’oggi dura, è un'opportunità. La Chiesa inizia la sua preghiera, ogni giorno, con il salmo citato nella prima lettura dalla Lettera agli Ebrei. Come un giardiniere che si occupa del suo giardino ogni giorno, non possiamo vedere i frutti del nostro lavoro (il lavoro di Dio) immediatamente. Non ci rendiamo conto di ciò che viene tenuto a bada e sotto controllo da questa preghiera quotidiana. Mentre ci sforziamo di mantenere i nostri cuori aperti, siamo perlomeno disposti verso qualcosa di nuovo e di fecondo. Se non facciamo ciò ogni giorno, poi mancheremo il bersaglio nel giorno in cui questo qualcosa si realizzerà.

Un incoraggiamento ancora più profondo si trova nel fatto che Gesù si identifica con il lebbroso, almeno nel prendere su di sé le conseguenze di essere lebbroso. La festa di Domenica scorsa, del Battesimo del Signore, ha celebrato la sua solidarietà con i peccatori nell'atto di essere battezzato. Solidarietà che si può vedere ancora più chiaramente nella sua agonia e desolazione. Anche se egli è l’amorevole bontà di Dio fatta carne, ha assaggiato l'amarezza della durezza di cuore. Ha assaggiato tutto ciò ancora più profondamente, proprio perché il suo cuore è tenero del tenero amore di Dio. Ha sperimentato l'oscurità dell’abbandono di Dio pur rimanendo senza peccato. Ancora, ha sperimentato tutto ciò più acutamente per il fatto che è il Figlio eterno del Padre della Luce. 

Abbiamo un Signore che ha inviato il suo Spirito nei nostri cuori, rimuovendo i cuori di pietra, dandoci in cambio dei cuori di carne. Oggi - perché no? - Egli può cambiarci, rendendoci persone dal cuore aperto e compassionevole, come prima d'ora non eravamo.

lunedì 13 gennaio 2025

PRIMA SETTIMANA LUNEDI (ANNI DISPARI)

Letture: Ebrei 1,1-6; Salmo 97; Marco 1,14-20

Come in Matteo e Giovanni, Marco ci dice che l'arresto di Giovanni Battista è il segnale dell'inizio del ministero pubblico di Gesù. Egli era già attivo prima di allora, come una sorta di discepolo di Giovanni (o almeno così sembrerebbe guardando dall'esterno), ma quando viene a sapere dell'arresto di Giovanni le cose cambiano rapidamente e radicalmente: si ritira dalla Giudea in Galilea e inizia la sua opera di predicazione, guarigione ed esorcismo.

Nel Vangelo di Marco c'è un forte contrasto tra la predicazione del Battista e quella di Gesù. Giovanni predicava un battesimo di pentimento per il perdono dei peccati. Gesù predica il vangelo di Dio, il compimento del tempo e l'imminenza del regno di Dio. È tempo di pentirsi e di credere nel Vangelo.

Tra la predicazione di Giovanni e quella di Gesù ci sono il battesimo di Gesù e la sua tentazione nel deserto, entrambi descritti brevemente ma profondamente da Marco. L'apertura dei cieli in occasione del battesimo è la risposta a un'antica preghiera di Israele, affinché Dio aprisse i cieli, intervenisse, visitasse il suo popolo, scendesse, lo salvasse. Marco ci dice che questa preghiera di Israele trova risposta nel momento del battesimo di Gesù: lo Spirito viene dai cieli aperti per ungere Gesù mentre le parole del Padre, che accompagnano l'unzione dello Spirito, lo riconoscono come il Figlio prediletto di cui il Padre si compiace.

Gesù è ora stabilito nella sua identità. Ciò avviene a livello della sua natura divina (se così si può dire) nel battesimo.E avviene a livello della sua natura umana nella tentazione nel deserto. Lì, come descrive Marco, il Figlio di Dio (Mc 1,1) è al centro della creazione, tentato dal diavolo come Adamo ed Eva, è con le bestie selvatiche come le profezie avevano predetto per il bambino che avrebbe guidato il popolo nel regno, e gli angeli lo assistono come era stato promesso per l'eletto di Dio nei salmi.

Da qui l'enorme differenza tra la predicazione del Battista - un invito al pentimento e alla sua attuazione simbolica nel battesimo - e la predicazione di Gesù - che porta il vangelo di Dio, annuncia che il tempo è compiuto, dice che il regno di Dio è vicino. C'è una logica completamente nuova per il pentimento, un livello completamente nuovo di vita spirituale, non solo per cercare di riordinare e sistemare noi stessi, ma per “credere”, per aprirci all'approccio di Dio, per essere pronti, come i primi discepoli, a rispondere alla sua chiamata e, se necessario, a lasciare tutto ciò che abbiamo conosciuto fino ad ora per seguirlo nel suo regno.

La prima lettura di oggi, i versetti iniziali della Lettera agli Ebrei, coincide splendidamente con questo. Dio aveva già parlato attraverso i profeti in molti e in vari modi, ma in questi ultimi giorni (quando il tempo è compiuto), ha parlato attraverso un Figlio (di cui si compiace), che ha fatto erede di tutte le cose e attraverso il quale ha creato l'universo (satana, angeli, bestie selvatiche). Questo Figlio è la refulgenza della gloria di Dio, l'impronta stessa del suo essere, che sostiene tutte le cose con la sua parola potente e compie la purificazione dei peccati (il regno di Dio non è solo in arrivo, ma è ormai stabilito nell'insegnamento, nelle azioni e nelle sofferenze di Gesù).

Aspettate un attimo”, potremmo essere tentati di dire.È tutto troppo, troppo ricco, per il primo lunedì del tempo ordinario. C'è già tutto, un riassunto completo di praticamente tutto il Credo in due brevi letture.Ma anche noi siamo invitati dagli angeli a vedere la gloria del bambino nato a Natale.E anche noi siamo invitati da questo bambino, ormai cresciuto fino alla maturità, a seguirlo. Seguirlo nella ricca esperienza di vita umana che egli rende possibile per noi: la vita nel regno qui e ora, la vita alla sua presenza nel regno celeste (i cieli sono stati squarciati non solo perché lui “scendesse”, ma perché noi “salissimo”). Perché esitare? Nutriamoci di queste dottrine che sostengono la vita e gioiamo della gloria che ci viene rivelata attraverso di esse.

domenica 12 gennaio 2025

BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C)

Letture: Isaia 40:1-5, 9-11; Salmo 104; Tito 2:11-14; 3:4-7; Luca 3:15-16, 21-22

G.K.Chesterton dice da qualche parte che l'unica dottrina cristiana che non ha bisogno di argomenti a sostegno è la dottrina del peccato originale. Camminate per qualsiasi strada, dice, e vedrete le conseguenze di quel peccato. Suppongo che intenda l'orgoglio, la cupidigia, la lussuria, l'ira, la gola, l'invidia, l'accidia, e forse anche qualche altro, l'ingiustizia, il pregiudizio, l'egoismo...

Qualche mese fa ho avuto la gioia di battezzare la mia nipotina. Alcune preghiere del rito possono sembrare strane quando si battezza un neonato. Subito dopo il momento del battesimo stesso, per esempio, stavo usando preghiere in cui le parlavo come se fosse già adulta! Il rito che abbiamo è fondamentalmente per il battesimo degli adulti, adattato ora per battezzare i bambini, ma alcune parti adulte rimangono.

Un altro momento che può sembrare strano è la prima unzione, con l'olio dei catecumeni, e la preghiera di esorcismo che l'accompagna. Perché parlare a questo piccolo fagottino di gioia, puro, innocente, perfetto, grazie a Dio, di cose brutte come il male, il peccato, la morte e il diavolo? Fa tutto parte di una mitologia superata, una storia per far capire qualcosa, sì, ma non un argomento da trattare nelle meravigliose prime settimane e mesi di vita di un bambino?

Allo stesso tempo, guardando la cerchia dei miei familiari, molti dei quali ho battezzato, e conoscendo qualcosa delle lotte e delle difficoltà di ciascuno, oltre che delle mie, mi sembra giusto che anche le realtà più dure dell'esperienza umana vengano riconosciute, se non altro perché sono inevitabili. In effetti, è proprio questo il senso del battesimo, che non è solo una cerimonia di assegnazione di un nome. Il battesimo significa incorporare la bambina a Cristo, renderla membro del suo corpo, come dice San Paolo, morire sacramentalmente con Cristo nelle acque del battesimo per risorgere con Lui alla vita eterna.

È molto da mettere sulle spalle di un neonato. È molto da condividere con un neonato, ma lo facciamo con la forza della nostra convinzione ed esperienza della vita umana e di ciò che la fede cristiana illumina e stabilisce in noi per quella vita.

Il periodo liturgico natalizio si conclude con il battesimo del bambino nato a Betlemme da parte di Giovanni nel fiume Giordano. Finalmente è arrivato il momento di Giovanni, che cede la missione a colui che battezza nello Spirito Santo e nel fuoco. È il momento in cui si rivela la solidarietà di Gesù con il resto della famiglia umana. Sebbene lo crediamo senza peccato, egli sta con i peccatori e dimostra di essere tutt'uno con noi, anche nel nostro peccato e per la nostra salvezza.

Lo stesso momento rivela la solidarietà di Gesù con la sua famiglia eterna, lo Spirito che appare come colomba, il Padre di cui si sente la voce dai cieli aperti.

È quindi anche una sorta di matrimonio, quando si uniscono due famiglie, quella umana, meravigliosa e fragile, e quella celeste, eterna e sempre creatrice. La tradizione liturgica della Chiesa collega il Battesimo del Signore con la sua Epifania, la rivelazione che Gesù è il salvatore di tutti gli uomini, e con le nozze di Cana, il primo segno dato da Gesù della comunione che era venuto a stabilire tra Dio e gli esseri umani. Sono tutti e tre momenti di “epifania” in cui Gesù si rivela per quello che è, ai Magi, al Giordano, a Cana.

Così, in una mite giornata di settembre, ci siamo riuniti in una chiesa fuori Dublino e abbiamo celebrato quelli che San Giovanni Crisostomo amava chiamare i “riti di iniziazione che inspirano meraviglia”. Sembra un titolo impegnativo per una cerimonia semplice. Ma è così. Impressionante quando si approfondisce un po' la storia del battesimo cristiano e il suo significato. Impressionante se ricordiamo che attraverso questo sacramento mia nipote ha ricevuto la più grande delle grazie, una solidarietà e persino un'identificazione con Cristo, il pegno della sua presenza per sempre. Ha ricevuto il diritto di partecipare al culto della Chiesa, che è la preghiera e il sacrificio di Cristo stesso. Ha ricevuto la forza di perseverare nel dono della vita eterna che ha ricevuto anche quando arriverà il giorno della prova.

Camminate per qualsiasi strada, diceva Chesterton, e vedrete il peccato originale. La nostra preghiera oggi, mentre celebriamo il Battesimo del Signore, è che mentre percorriamo le strade e le vie della nostra vita ricordiamo sempre la solidarietà di Gesù con noi. Si è identificato con noi stando accanto a noi nelle acque del Giordano. Lo ha fatto perché noi potessimo identificarci con lui e perché anche noi, nei momenti di preghiera con lui, potessimo sentire la voce del Padre che ci dice: “Tu sei il mio figlio prediletto, con te mi sono compiaciuto”.

sabato 11 gennaio 2025

11 Gennaio

 Letture: 1 Giovanni 5,5-13; Salmo 147; Luca 5,12-16

Alcuni degli avvenimenti che stanno accadendo nel mondo potrebbero indurci a pensare che ritirarsi in un luogo deserto a pregare, come fa Gesù alla fine del Vangelo di oggi, potrebbe essere la cosa migliore da fare all'inizio di quest'anno. I disastri naturali, le guerre in corso e le minacce di guerra, la crisi climatica, i crimini di violenza e gli abusi sessuali, i tassi di aborto e di suicidio: tutto questo può sembrare troppo, lasciandoci tristi, impauriti e impotenti. L'uomo che Gesù incontra nel Vangelo di oggi è “pieno di lebbra”, proprio come il mondo di oggi può sembrare completamente malato. Gesù ha risorse che (sembra) noi non abbiamo: può stendere la mano, toccare l'uomo e guarirlo in un istante, perché è questo che vuole: “Lo voglio. Sii purificato”.

Il Verbo di Dio si è fatto carne e abita in mezzo a noi, Gesù è venuto proprio per affrontare la malattia del mondo e lo fa predicando la verità, insegnando la via della saggezza per gli esseri umani, guarendo i malati, allontanando i demoni. C'è un ritmo di contemplazione e azione nel suo ministero. Tutta la sua vita nascosta, tra i dodici e i trent'anni, è una sorta di lunga preparazione contemplativa al suo breve ma rivoluzionario ministero pubblico. Durante questi anni cresce in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. Una volta iniziato il suo ministero, però, i suoi momenti di contemplazione sono pochi e lontani, e la gente lo cerca continuamente.

Ma è vero che lui ha risorse che noi non abbiamo? Da qualche parte dice che coloro che credono in lui compiranno azioni grandi come le sue, e anche di più. La sua mano tesa che tocca le persone assume ora la forma della vita sacramentale della Chiesa - l'acqua e il sangue ne sono testimoni, il battesimo e l'Eucaristia. La sua volontà di guarirci e il suo comando che bandisce la malattia assumono ora la forma della sua parola predicata in tanti luoghi ogni giorno, la parola con cui ci dice ancora: “Io voglio, siate puliti”. Siamo purificati dalla sua parola, ci dice Giovanni nel suo Vangelo (15,3).

E lo Spirito è il terzo testimone che accompagna i sacramenti e la parola, la testimonianza di Dio all'interno degli esseri umani che già stabilisce la vita eterna in coloro che la ricevono. Nella sua lettera Giovanni vuole che i suoi lettori sappiano che hanno già la vita eterna, che sono stati unti con lo Spirito Santo, che sono stati resi partecipi della natura divina (è la seconda lettera di Pietro 1.4): in altre parole, le risorse a disposizione di Gesù sono state condivise con coloro che credono in lui.

Abbiamo anche bisogno di momenti contemplativi in cui recuperare il senso dei doni che abbiamo già ricevuto. Forse è più urgente che mai all'inizio di quest'anno con tutto ciò che può appesantirci. Mentre il mondo entra in quello che sembra un luogo oscuro, è più che mai urgente che ci uniamo a Gesù in luoghi deserti per pregare. Ma è urgente anche che lo facciamo non per sfuggire a ciò che può sembrare opprimente, un mondo “pieno di lebbra”, ma per tornare, in questo anno giubilare, a ciò che ci è stato dato come nostro possesso, una partecipazione al Suo Spirito. Se ce ne siamo dimenticati, o abbiamo in qualche modo perso il contatto con esso, o ne siamo diventati estranei, allora questo è il momento di tornare ad esso. È la nostra terra e la nostra eredità, donataci dal Signore. Il Giubileo, o Anno Santo, è un momento in cui siamo purificati e rafforzati, per poter risplendere come le luci in questo mondo oscuro che siamo chiamati a essere, persone di verità, giustizia, compassione e amore. Queste sono le risorse che guariscono e salvano e Dio ci ha resi collaboratori di Cristo per vivere e agire come lui, per praticare queste virtù e così, a nostra volta, guarire e rafforzare il nostro mondo.


venerdì 10 gennaio 2025

10 GENNAIO

Letture: 1 Giovanni 4:19-5:4; Salmo 72; Luca 4:14-22

L'omelia che Gesù tenne nella sinagoga di Nazareth può essere presa come prototipo o modello per qualsiasi omelia (Lc 4,16-30). L'Introduzione al Lezionario individua quattro obiettivi per l'omelia (§41) e a Nazaret Gesù li affronta tutti e quattro. Questi obiettivi sono

  • condurre gli uditori a una conoscenza affettiva della Sacra Scrittura
  • aprirli alla gratitudine per le opere meravigliose di Dio
  • rafforzare la fede degli ascoltatori
  • prepararli alla comunione e alle esigenze della vita cristiana. 

Come risponde a questi obiettivi l'omelia di Gesù a Nazareth? Innanzitutto, ha scelto un testo dal Libro di Isaia, il passo che parla dello Spirito del Signore che viene a ungere il messaggero del Signore, incaricandolo di evangelizzare i poveri, di proclamare la libertà ai prigionieri, di far vedere i ciechi, di liberare gli oppressi e di proclamare l'anno di grazia del Signore. Oggi si è adempiuta questa Scrittura nel vostro udito”, dice Gesù, e ci viene detto che ‘si meravigliarono delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca’ (Luca 4:21-22). Letteralmente significa le parole di grazia che egli pronunciò. Il brano di Isaia parla della grazia, o favore, dell'anno giubilare, in cui un nuovo inizio rende possibile una nuova vita. Essi sono rincuorati e incoraggiati da questo. Più avanti nel Vangelo di Luca si parla di discepoli il cui cuore ardeva quando egli apriva loro le Scritture (Lc 24,32), ma già a Nazareth tutti parlavano bene di lui.

Oggi si è compiuta questa Scrittura nel vostro ascolto”. Questo può essere considerato il compito fondamentale della predicazione di un'omelia: mostrare come la Scrittura appena letta si compia nella vita di coloro che ascoltano.  Il secondo obiettivo dell'omelia è quello di aprire le persone alla gratitudine per le opere meravigliose di Dio. Queste opere vengono lette nelle letture della Scrittura non solo per ricordare grandi eventi in altri luoghi e in altri tempi, ma per mostrare come continuano a essere efficaci qui e ora. La Parola di Dio è dunque “sacramentale”, in quanto realizza nella vita dei credenti le realtà di cui parla. Potremmo dire che è una buona notizia solo quando coloro che ascoltano sono aiutati a vedere come la Parola che è stata proclamata opera nella loro vita.

Gesù predica per rafforzare la fede di coloro che ascoltano: questo è il terzo obiettivo di un'omelia. Il testo di Isaia era presumibilmente già ben noto ai suoi fedeli ed egli cerca di interpretarne il significato per loro. La differenza nel suo insegnamento, ci viene detto altrove, è che Gesù parlava con autorità e con sapienza, spesso confermando ciò che insegnava con segni e prodigi (Marco 1,27; Matteo 13,54; Luca 13,10). Ma a Nazaret la sua predicazione si interrompe e la situazione si complica.

Cosa è andato storto? (Questo presuppone che qualcosa sia andato storto: forse quello che è successo è un esempio di quanto possa essere efficace la predicazione). Pensando al quarto scopo dell'omelia, possiamo vedere che Gesù sta cercando di prepararli alla comunione e alle esigenze di vivere secondo la sua nuova via, ma questo non va bene per loro. Se c'è un incoraggiamento nella predicazione di un'omelia, c'è anche una sfida. Le parole gentili invitano a una vita generosa: essere santi come Dio è santo, compassionevoli come Dio è compassionevole, amarsi come Gesù ci ha amati.

Da una parte Gesù, nella sua omelia, dice che le promesse della grazia di Dio si stanno realizzando anche mentre ascoltano. Queste promesse si stanno realizzando in lui, nella sua presenza in mezzo a loro con il suo insegnamento e le sue opere di potere. Chi non sarebbe rafforzato e incoraggiato?

D'altra parte, egli inizia a spiegare le implicazioni di questo tempo di grazia, mostrando come esso chiami i suoi ascoltatori a fare i conti con aspetti profondi ed esigenti dell'opera benefica di Dio, al di là del loro luogo di comfort. Ricorda loro come i profeti precedenti abbiano portato la parola e la potenza di Dio oltre i confini di Israele. La sua predicazione si interrompe quando li invita ad aprire i loro cuori e le loro vite, per essere nuovamente ricettivi alla grazia del Dio vivente. Il testo antico ha preso vita e le sue benedizioni sono accolte, ma le sue richieste no. Lo stato d'animo passa dalla meraviglia alla rabbia ed egli deve passare in mezzo a loro per andarsene. ...

giovedì 9 gennaio 2025

9 GENNAIO


Una frase del racconto di Marco sul cammino di Gesù sulle acque è omessa dai racconti paralleli di Matteo 14 e Giovanni 6. “Intendeva passare oltre”, ci dice Marco (6,48). Strano che sia questa la frase che sembra strana in un racconto di un uomo che cammina sulle acque attraverso un mare in tempesta!

La paura dei discepoli non è legata alle condizioni meteorologiche, ma piuttosto allo strano fatto che Gesù appaia loro sull'acqua. Fate coraggio”, dice, ‘sono io, non temete’. Ego eimi è la frase tradotta “sono io”, il nome divino così importante in tutto il Vangelo di Giovanni (“Io sono”), ma che non riceve altrettanta attenzione quando appare qui in Marco. Se non per notare che il Signore dei mari è Dio creatore, colui che ne stabilisce i limiti, li popola di creature e ha il potere di dividerli, disperderli o farli erompere nel deserto.

È un altro episodio in cui diventa chiaro, si rivela, che Dio è presente in Gesù. È un'altra Epifania, dunque. Matteo la completa con il racconto di Pietro che chiede di imitare Gesù camminando sulle acque. Giovanni la conclude in modo rapido, facendo sì che tutti vengano magicamente trasportati a destinazione. Ma Matteo e Giovanni usano la stessa frase greca di Marco: “fatevi coraggio, sono io, non temete”.

Quindi, all'interno di questa strana storia troviamo una frase così strana (almeno per alcuni lettori) che viene omessa da Matteo e Giovanni: “intendeva passare accanto a loro”. Sembra che questa sia la frase che mette più a dura prova la credulità, la lectio difficilior che ha la pretesa di essere originale proprio perché è una lettura più difficile. Qualunque cosa strana e meravigliosa abbia fatto il Verbo incarnato, comunque abbia deciso di divertirsi in relazione alla creazione, c'è qualcosa di scandaloso, a quanto pare, nel fatto che passi davanti ai discepoli. Sembra che significhi ignorarli, avere progetti e scopi che per il momento non li includono.

È questo che è scioccante, scandaloso, bizzarro in questa storia surreale? Che il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, abbia progetti e scopi che vanno oltre le preoccupazioni dei suoi immediati discepoli? Che la sua mente fosse, per così dire, altrove? Alcuni interpreti cercano di spiegare il significato del testo, per dimostrare che Gesù non poteva avere intenzione di ignorare i discepoli.

La spiegazione migliore, però, è che questa frase appartiene alle altre frasi e caratteristiche di questo episodio che lo rendono una teofania, una rivelazione della presenza e della gloria di Dio. I più famosi “passaggi” di Dio nell'Antico Testamento sono quelli in cui si rivela più pienamente a Mosè (Esodo 33:22) e a Elia (1 Re 19:11). Paradossalmente, quindi, il “passaggio” del Signore significa una presenza più intensa e intima del mistero divino, che nel passare si avvicina. Avvicinandosi, Dio diventa anche più misterioso, perché solo nella sua natura di Dio può avvicinarsi e cioè nella sua natura di mistero, di infinito, di incomprensibile. Così Mosè vede solo le spalle di Dio ed Elia si accorge di Dio nel suono di un bel silenzio.

I discepoli sono, opportunamente, terrorizzati, non per le condizioni atmosferiche ma per colui che cammina sulle acque. Ma lui si rivolge a loro, li rassicura, parla con loro e sale sulla barca con loro. Ecco una nuova realtà, che Colui che è, il Signore delle acque, passando, e quindi avvicinandosi nel mistero della sua natura, è ora accessibile e disponibile, ha un volto e una voce, può essere nella barca con loro, è lì per essere toccato e visto e ascoltato, nella persona di Gesù.

Così Marco, con questo strano commento, è più fedele al linguaggio della teofania divina di quanto non lo siano Matteo e Giovanni, che lo lasciano cadere. Uno dei testi più belli della Bibbia in cui la gloria di Dio è percepita nel suo passaggio è Giobbe, capitolo 9. Accostandolo al testo di Marco letto oggi, vediamo ancora una volta come in Gesù Dio risponda alle domande di Giobbe e così facendo ci attiri in misteri più profondi:

... come possono i semplici mortali provare la loro innocenza davanti a Dio?
3 Pur volendo disputare con lui,
non potevano rispondergli una volta su mille.
4 La sua sapienza è profonda, la sua potenza è immensa.
Chi ha resistito a lui e ne è uscito indenne?
5 Sposta le montagne senza che se ne accorgano
e le rovescia nella sua ira.
6 Scuote la terra dal suo posto
e fa tremare le sue colonne.
7 Parla al sole ed esso non brilla;
e spegne la luce delle stelle.
8 Lui solo distende i cieli
e calpesta le onde del mare.
9 Egli è il Creatore dell'Orsa e di Orione,
delle Pleiadi e delle costellazioni del sud.
10 Egli compie meraviglie che non si possono scandagliare,
miracoli che non si possono contare.
11 Quando mi passa accanto, non lo vedo;
quando passa, non lo percepisco.
12 Se mi rapisce, chi può fermarlo?
Chi potrà dirgli: “Che cosa fai?” ...

mercoledì 8 gennaio 2025

8 GENNAIO

Letture: 1 Giovanni 4,7-10; Salmo; Marco 6,34-44

È possibile insegnare molte cose a cinquemila persone e averne ancora molte. Le “opere di misericordia spirituali” si espandono addirittura nell'essere praticate, poiché chi viene istruito può insegnare ad altri, così come chi viene amato può amare altri, chi viene confortato nell'afflizione imparerà a confortare altri peccatori nell'afflizione, e così via.

La nostra attenzione, tuttavia, è attirata dall'evento più evidentemente miracoloso di sfamare quel numero di persone con pane e pesce. Ma l'insegnamento al popolo - un altro tipo di alimentazione - è quello che viene menzionato per primo. La compassione del Signore, vedendo la folla come una pecora senza pastore (vessata e sconsolata è come la descrive il Vangelo di Matteo), si esprime in primo luogo nell'insegnamento.

Aristotele dice da qualche parte che le persone devono mangiare prima di poter filosofare e ha molto senso. La fame distrae da qualsiasi altra cosa e questo bisogno umano fondamentale deve essere soddisfatto prima che se ne possano soddisfare altri.

Ma le letture di oggi ci ricordano ciò che Gesù disse al diavolo nel momento delle sue tentazioni: l'essere umano non vive di solo pane. E allora cos'altro? Beh, amore e verità è la risposta che ascoltiamo oggi. Dio è amore e conoscere Dio è amare così come amare è conoscere Dio. E questo nostro amore non è semplicemente un tentativo di ingraziarci Dio: la buona notizia è che è Dio che ci ha amati per primo.

Quale fame c'è in noi nell'ascoltare queste due grandi affermazioni: “Dio è amore” e ‘Questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi’? C'è una fame profonda che viene soddisfatta dall'ascolto di queste affermazioni. Rileggetele, digeritele, fatele vostre, mangiate questi insegnamenti in modo che diventino parte del vostro essere, una seconda natura per voi.

E quale fame in noi è rassicurata dall'udire che la prima espressione della compassione del Signore verso la moltitudine tormentata fu quella di insegnare loro molte cose, di assecondare il loro desiderio di conoscenza. È un altro desiderio fondamentale in noi, quello di essere nella luce, di essere informati e consapevoli, di sapere cosa succede intorno a noi, di sapere come stanno le cose, di conoscere la verità.

Gesù è innanzitutto un maestro e i suoi miracoli, i segni che ha compiuto, sono tutti al servizio di questo insegnamento. Sì, soddisfano i bisogni umani reali di cibo, di salute, di libertà, ma non sono mai semplici atti di magia potente, fatti per impressionare, per sostenere il suo insegnamento in modo esteriore. Sono fatti per servire i reali bisogni umani e, così facendo, per condurre gli esseri umani sempre più avanti. Devono condurre gli esseri umani al di là dei bisogni fisici che vengono soddisfatti nei prodigi che egli compie, affinché apprezzino i bisogni spirituali di cui essi sono la manifestazione (cecità spirituale, sete spirituale, fame spirituale, libertà spirituale).

L'amore di Dio per noi si manifesta nel fatto che ha mandato suo Figlio come espiazione per i nostri peccati. In altre parole, per rispondere al bisogno più profondo dell'umanità, il nostro bisogno di essere liberi dal peccato e dalle sue conseguenze. Vediamo queste conseguenze intorno a noi e può sembrare che siano più potenti di qualsiasi cosa possiamo cercare di usare contro di esse. Anche questo va meditato, digerito, preso a cuore: quali sono i nostri peccati e perché abbiamo bisogno di un salvatore che li espii? Perché la compassione di Dio deve esprimersi, infine, sul Calvario?

martedì 7 gennaio 2025

7 GENNAIO

Letture: 1 Giovanni 3.22-4.6; Salmo; Matteo 4.12-17, 23-25

Il testo di Isaia citato nel Vangelo di oggi ha un sapore poetico, parole belle, immagini che stimolano l'immaginazione: terra di Zabulon, terra di Neftali, via del mare oltre il Giordano, Galilea delle nazioni. Zabulon e Neftali sono due delle tribù minori di Israele, che si stabilirono nella parte settentrionale del paese. Si trovano nella bella regione della Galilea, dove si svolge la prima parte del ministero pubblico di Gesù. È chiamata “Galilea delle nazioni”, essendo questa zona vicina alle regioni costiere e alla Siria, un'area attraverso la quale avvenivano molti scambi e comunicazioni.

L'universalismo che abbiamo visto nella festa dell'Epifania continua qui: Gesù inizia il suo ministero di insegnamento, predicazione e guarigione in un crocevia del mondo, quasi potremmo dire all'angolo della strada, per chiunque e per tutti, e per Israele nella sua interazione con le altre nazioni, perché questa era la sua missione fin dall'inizio.

La Prima Lettera di Giovanni ci dice che appartengono a Dio coloro che riconoscono Gesù venuto in carne e ossa e che si amano come lui ha amato i suoi discepoli. Ci sono solo questi due criteri di appartenenza e nient'altro è rilevante, niente di razziale o etnico o linguistico o culturale. Venire nella carne” significa nascere nel nostro mondo, non solo in un corpo umano come il nostro, fatto di sangue e ossa, ma nella società e nella storia umana, in un'epoca e in una razza e in una cultura particolari, con tutto ciò che questo comporta.

Si è fatto uno di noi, uno solo di noi, affinché tutti noi potessimo giungere alla nuova luce che egli è. Al Messia vengono date in eredità tutte le nazioni, il suo possesso si estende fino ai confini della terra. Ancora una volta questo è confermato dall'adorazione dei Magi, quei cercatori e cercatrici venuti da lontano per rendere omaggio al nuovo re.

Hanno seguito la stella fino a Betlemme, la stella è il primo bagliore di una luce che diventerà sempre più forte. Ma la luce splende nelle tenebre e il ministero di Gesù inizia quando viene a sapere dell'arresto di Giovanni Battista. Su questo bel paesaggio cala già l'ombra delle tenebre, l'ombra della croce che è il destino di questo giovane profeta.

C'è ancora un lungo cammino da percorrere, dalla Galilea delle nazioni alla comunità dei discepoli a cui è indirizzata la Prima Lettera di Giovanni. Ma possiamo dire che questa strada è tutta incentrata su una luce che diventa sempre più luminosa, man mano che allontana le tenebre che ci sono nelle vicende umane. E sarà nel momento di buio più profondo, il Calvario, che risplenderà la luce più luminosa, la gloria che gli è propria come figlio unico del Padre, rivelando la profondità della peccaminosità umana e la portata sempre più grande dell'amore di Dio. Lo Spirito che abbiamo ricevuto è lo Spirito di Gesù che lo ha spinto nel deserto e poi in Galilea e poi a Gerusalemme, fino alla sua morte e risurrezione. La luce giunta nel mondo con la nascita di Gesù non illumina semplicemente la nostra situazione, ma la trasforma, dando a coloro che credono in lui il potere di diventare figli di Dio.

Questa è la luce che sorge a Betlemme, la luce che inizia a irradiare in Galilea. Essa brilla ancora nel nostro mondo, nonostante le tante tenebre in cui siamo immersi, chiamandoci sempre a riconoscerlo e a imparare da lui ad amarci gli uni gli altri.