Letture: 1 Giovanni 3,7-10; Salmo 97/98; Giovanni 1,35-42
Da bambini ci hanno insegnato che è scortese fissare le persone. Eppure, nella lettura del Vangelo di oggi, due degli eroi della storia cristiana fanno proprio questo. Innanzitutto Giovanni Battista fissa intensamente Gesù al suo passaggio prima di dire ai suoi discepoli che Gesù è l'Agnello di Dio. Poi Gesù stesso fissa intensamente Simone, il fratello di Andrea, quando gli viene incontro.
Perché tutti questi sguardi? Forse l'idea è che sia il mattino presto quando Giovanni identifica Gesù, la sera quando Gesù incontra Simon Pietro. In entrambi i casi la luce sarebbe stata fioca. Forse il significato è solo questo, anche se, trattandosi del Vangelo di Giovanni, esitiamo a pensare che il suo significato si esaurisca in questa accezione piatta e letterale.
Forse significa che è stato attraverso una sorta di contemplazione che Giovanni è arrivato a capire chi fosse Gesù e attraverso una sorta di contemplazione che Gesù è arrivato a vedere in Pietro ciò che aveva profetizzato su di lui quando lo aveva chiamato Cefa, o “Roccia”. Più che guardare, Giovanni e Gesù vedono. Lo stesso vale per i discepoli che chiedono a Gesù dove alloggia, che lo seguono e poi passano la giornata con lui. Questi uomini non si scambiano semplicemente sguardi superficiali, ma si frequentano, si studiano, potremmo dire, mettono energia nel loro sguardo, per vedere la persona in modo più profondo.
Ciò che viene chiesto ai discepoli cristiani nella prima lettura può essere incluso nel termine “attenzione”. Essere seguaci di Cristo significa occuparsi del fratello e della sorella. Sappiamo di appartenere a Dio da due cose: in primo luogo agendo con giustizia (alcune traduzioni dicono quando siamo “santi” o “giusti”) e in secondo luogo quando amiamo i nostri fratelli e sorelle. La giustizia e la carità sono quindi i segni di riconoscimento del discepolo.
Per crescere in queste virtù dobbiamo prestare attenzione ad esse, alle loro esigenze e a come dobbiamo agire per praticarle. Una delle cose da fare è tenere lo sguardo fisso su Cristo, che è il modello di tutta la nostra vita, il nostro maestro o formatore. Egli ci insegna certamente ad occuparci degli altri. Dobbiamo “studiare” noi stessi e gli altri, così come la situazione in cui ci troviamo ad incontrare gli altri. Cosa richiede la giustizia in questo momento? Cosa richiede la carità qui e ora?
Viviamo in un mondo sempre più veloce nel produrre informazioni per noi, ma cosa comporta la formazione di cui abbiamo bisogno per essere persone di giustizia e di carità? Ci vuole tempo ed esperienza, passare le giornate con Gesù dalla mattina alla sera, accettare la guida dei profeti e dei maestri, essere pronti a mettere in pratica ciò che stiamo imparando condividendolo con gli altri, come Andrea dice a suo fratello Simone che hanno trovato il Messia. E così inizia a nascere la Chiesa, la comunità dei discepoli.
"Fissando lo squardo" è la traduzione italiana dell'espressione ‘fissare intensamente’. È ciò che cerchiamo nella meditazione cristiana o nella preghiera contemplativa: che la nostra mente e il nostro cuore, il nostro “occhio interiore”, siano fissi su Cristo, desiderosi di imparare da Lui e poi di mettere in pratica ciò che riceviamo da Lui. E lo facciamo non solo praticando la preghiera, ma anche occupandoci degli altri già nella giustizia e nella carità.
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