Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

mercoledì 1 ottobre 2025

Settimana 26 mercoledi (Anno 1)

Letture: Neemia 2,1-8; Salmo 137; Luca 9,57-62

Ancora una volta la città di Gerusalemme è al centro dell'attenzione nella liturgia odierna. Neemia si trova tra gli esuli a Babilonia e trova un ascoltatore comprensivo nel re Artaserse, al quale presta servizio e che nota la sua tristezza. Artaserse è il terzo re persiano di cui sentiamo parlare in questi giorni, dopo i suoi predecessori Ciro e Dario. A tutti e tre è attribuito nella Bibbia il merito di aver facilitato il ritorno degli ebrei esiliati nella terra di Giuda.

La tristezza di Neemia si riflette nel più lamentoso dei salmi: «Sui fiumi di Babilonia, seduti, piangevamo ricordando Sion». Non era solo la normale nostalgia di casa e la malinconia di chi era stato costretto all'esilio, ma qualcosa di molto più potente. Poiché significava perdere tutti i modi in cui Dio aveva assicurato al suo popolo la sua presenza - la terra, la città, il tempio - era una tristezza del cuore, come notò il re. Ma potremmo anche dire che era una tristezza dell'anima - metafisica, teologica, spirituale - al pensiero che fosse stata proprio l'infedeltà del popolo ad aver portato alla sua perdita e al suo esilio. Quindi una tristezza mista a senso di colpa, un dolore profondo. Come poteva il popolo fingere di essere gioioso vivendo in un tale stato d'animo?

Stavano però cominciando a capire che il Signore, il loro Dio, non era limitato a loro o alla loro città. Non aveva forse usato potenze straniere come suoi strumenti per provocare l'esilio? E non stava forse usando questi re stranieri come suoi ministri per facilitare la restaurazione? Potrebbe sembrare che dovremmo applicare a Dio stesso i sentimenti degli esuli: che la mia destra si secchi se ti dimentico, Gerusalemme, e che la mia lingua si attacchi al palato se non ti ricordo. Infatti, non molto tempo prima, attraverso il profeta Geremia, Egli aveva dichiarato che il suo amore per loro era eterno (Geremia 31,1).

Anche Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e c'è un'intensità nel suo stato d'animo mentre viaggia. La sua destinazione, tuttavia, non è solo la città terrena di Gerusalemme, ma ciò che egli chiama «il Regno di Dio». È lì che sta andando e capisce che sarà difficile trovare compagni che rimangano con lui una volta che avranno compreso cosa comporterà l'inaugurazione del Regno. Lui stesso ne è chiaramente consapevole: richiederà libertà, distacco, sacrificio di sé stessi e di tutto ciò che si possiede; richiederà una forza e un coraggio superiori a quelli umani ordinari.

Neemia è in viaggio per ricostruire il Tempio. Gesù è in viaggio per inaugurare il Regno. Ora l'amore eterno di Dio, incarnato in Gesù Cristo, si confronterà con i più grandi nemici dell'umanità, il peccato, le potenze del male, la morte stessa, per vincere questi nemici e stabilire un regno eterno di giustizia, amore e pace. È già stato stabilito, e sta arrivando, anche se piangiamo tutto ciò che continua a ostacolarlo: guerre e oppressione, violenza e sfruttamento, ingiustizia e crudeltà. Che la nostra mano destra si secchi e la nostra lingua si attacchi al palato se non ricordiamo ciò che il Signore ha fatto e sta facendo per noi.

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