Letture: Romani 8,26-30; Salmo 13; Luca 13,22-30
Le letture ci presentano una serie di enigmi. Il primo è tra la prima lettura e il Vangelo. Paolo ci insegna che anche se non sappiamo come pregare come dovremmo, lo Spirito intercede per noi con sospiri troppo profondi per essere espressi a parole. Dio, che conosce tutto ciò che è nei nostri cuori, ascolta le suppliche dei santi espresse dallo Spirito, suppliche che sono secondo la volontà di Dio. Il Vangelo, al contrario, ci presenta un'immagine di Dio che rifiuta di aprire la porta ad alcuni di coloro che bussano: «Non so da dove venite», dice.
Questo è doppiamente confuso perché non solo crea un contrasto tra le due letture di oggi, ma sembra contraddire ciò che Gesù ha insegnato in precedenza nel Vangelo, in particolare «bussate e vi sarà aperto». Ciò deve significare che ciò che viene chiesto quando la porta rimane chiusa non è conforme alla volontà di Dio, non è un'interpretazione da parte dello Spirito dei desideri del cuore umano. Allora cosa c'è che non va? Cosa entra in gioco per deviare questa preghiera e renderla impotente? È un altro esempio della preghiera del fariseo di cui abbiamo sentito parlare domenica scorsa, una preghiera che è solo “a se stesso” e non a Dio?
Deve esserci qualcosa di sbagliato nella domanda “saranno pochi quelli che saranno salvati”. Come il fariseo che prega nel Tempio, chi pone la domanda ha gli occhi puntati sugli altri. Non chiede “sarò salvato?”, che sembra essere l'unica domanda pertinente a questo proposito. Un particolare interesse per la questione della salvezza è una distrazione dal compito principale di seguire Gesù. Renderla una domanda speculativa, da poltrona teologica, è indecente quando si tratta di una domanda urgente, una domanda reale, sul benessere degli esseri umani, ora e nel mondo a venire. Per il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar questa domanda non solo è indecente, ma è contraria alla legge suprema della carità. La carità, amare tutti gli uomini e tutte le donne come Cristo li ama, ci obbliga a sperare nella salvezza di tutti loro, nel loro benessere eterno. Se voglio porre questo tipo di domanda, dovrei porla solo in relazione alla mia salvezza.
Balthasar ha imparato questo, naturalmente, dai Vangeli. Così, nel brano di oggi, Gesù ribalta la domanda su chi la pone: «Sarai salvato?». Conosci la strada per arrivare alla porta? Sai come vivere in modo che, quando arriverai alla porta, sarai riconosciuto come membro della famiglia? Quindi non dobbiamo presumere - una presunzione implicita nella domanda originale, a quanto pare. Preoccupati della tua salvezza e di ciò che è necessario ora, se vuoi prepararti ad essa.
Nel Nuovo Testamento si parla molto delle porte, della porta che si aprirà quando busseremo e della porta di oggi che rimarrà chiusa quando busseremo. Nel Vangelo di Giovanni Gesù descrive se stesso come la porta, la via attraverso la quale le pecore entrano ed escono dall'ovile. Nel Libro dell'Apocalisse è lui che bussa alla nostra porta e sta a noi aprirla: «Ecco, io sto alla porta e busso».
Ancora una volta Gesù presenta un paradosso: «alcuni sono ultimi che saranno primi, e alcuni sono primi che saranno ultimi». Se vogliamo giocare a un certo gioco ed entrare nella matematica della salvezza, allora ci troviamo, ancora una volta, accanto al fariseo nel Tempio che misura la sua performance rispetto a quella del pubblicano. Chi di loro è primo e chi ultimo? Viaggiamo invece con Gesù verso Gerusalemme, dove questi enigmi, paradossi e domande trovano la loro misteriosa risoluzione. La croce del Signore, l'albero della vita, è anche la chiave che svela il mistero dell'amore e della misericordia divini. È così che si apre la porta, con il suo sacrificio per tutti coloro che non sono degni di entrare. Attraverso di lui essi sono redenti e resi figli di Dio dallo Spirito, e così possono presentarsi alla porta ed essere riconosciuti come parte della famiglia, figli e figlie del Padre celeste, adottati come fratelli e sorelle del Signore per dono dello stesso Spirito. Non arriveremo quindi sicuri e presuntuosi, confrontandoci con gli altri e interrogandoci sulla loro salvezza. Arriveremo senza parole ed esitanti, non sapendo come pregare come dovremmo, sopraffatti dal dono che stiamo ricevendo, l'infinita misericordia di Dio. Lo Spirito testimonierà allora al nostro spirito che siamo davvero figli di Dio, non più servi e schiavi ma figli e figlie, non più estranei ma concittadini dei santi e membri della famiglia del cielo.
L'antifona del Magnificat del 20 dicembre ci offre un'altra immagine correlata. Gesù è la Chiave di Davide, colui che viene a condurre il prigioniero fuori dalla prigione, a liberare coloro che sono seduti nelle tenebre e nell'ombra della morte. Attraverso l'opera di Cristo, tutti gli esseri umani - questa è la nostra speranza - sono resi capaci di prendere posto al banchetto nel regno di Dio.
 
Nessun commento:
Posta un commento