Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

mercoledì 29 maggio 2024

Settimana 08 Mercoledi (Anno 2)

 Letture: 1 Pietro 1,18-25; Salmo 147; Marco 10,32-45

Qualcuno una volta ha descritto la storia del cristianesimo come una storia dei molti modi in cui i cristiani hanno cercato di fuggire dalla Croce di Cristo, di smorzare il suo messaggio, di attenuare il suo pungiglione.

I primi cristiani cercavano nell'Antico Testamento immagini e simboli, suggerimenti e indizi sull'identità del Messia che aspettavano e sullo scopo della sua missione. Nel Libro di Isaia trovarono lunghi, toccanti e bellissimi passaggi su un Servo sofferente. Egli sarebbe stato il servo di Dio che avrebbe portato i peccati di tutti. La sua vita e la sua morte sarebbero state una vittoria, non solo per lui stesso, ma per i molti che sarebbero diventati uno con lui. Questi passi si trovano nel Libro di Isaia, capitoli 42, 44, 49 e 52-53. Giovanni Battista e Gesù stesso conoscevano questi passi che li aiutarono a comprendere la loro missione.

L'"Agnello di Dio", il "Figlio dell'uomo", il "Servo del Signore", è venuto sulla terra non per essere servito, ma per servire, soffrire, morire e dare la sua vita in riscatto per molti. Il linguaggio della lettura del Vangelo di oggi ci sembrerà estraneo, strano e, per come è stato interpretato nella storia cristiana, forse persino scandaloso. Parlare di bere una coppa va bene, ma parlare di riscatto è un po' strano. Riscatto per chi? Perché? A quale prezzo? Una frase come "il Signore si è compiaciuto di schiacciarlo con la sofferenza" (Isaia 53,10) suona decisamente oscena. Cosa può avere a che fare un Dio così sadico con il Padre celeste, misericordioso e compassionevole, in cui crediamo?

Per qualche motivo abbiamo bisogno dello shock che ci dà il servo sofferente. Potremmo facilmente, per familiarità, dimenticare l'orrore della crocifissione, la desolazione del Getsemani, il fallimento del Calvario, la notte del "Dio mio, perché mi hai abbandonato". Il "servo sofferente" è un richiamo costante a ciò che ha comportato il Venerdì Santo: strano che resti uno dei giorni dell'anno che attira alla liturgia molte persone che altrimenti non ci andrebbero.

Che cosa significa chiamare Cristo "servo sofferente"? Cosa muove il nostro cuore e la nostra mente quando la croce ci viene posta davanti in tutta la sua solitudine e tristezza? La croce parla della peccaminosità umana. Confrontatela con la comica preoccupazione di Giacomo e Giovanni di sapere chi avrebbe avuto i posti migliori nel regno: il "prezzo" dell'ingresso nel regno era la passione e la morte di Cristo! L'ira di Dio non è una difesa del proprio orgoglio ferito, ma piuttosto una tristezza per il danno che facciamo a noi stessi e gli uni agli altri. Questa è la gravità del peccato: mancanza di amore, ingiustizia, crudeltà, egoismo.

Ma la croce parla anche del grande amore di Dio, dell'umiltà e della vulnerabilità di Dio, di quanto Dio sia disposto a fare per coloro che gli stanno a cuore. La sofferenza di Cristo è un grido per il nostro amore, un grido che riecheggia nei secoli nei cuori di tutti coloro che cercano di amare. Chiamare Gesù "servo sofferente" significa riconoscere in lui colui che Dio ha mandato a salvare il suo popolo. Gesù ci ha salvato con il suo insegnamento e il suo esempio. Ci ha salvato mostrandoci la via dell'amore. Ci ha salvati spezzando il nodo del peccato e della morte in cui eravamo intrappolati. Ci ha salvati vivendo nella verità, senza compromessi, anche quando questo significava la sua stessa morte. Ha dimostrato che, per quanto grave sia il peccato, l'amore è più grave e più potente. È l'amore che crea un luogo dove tutti possono vivere nell'integrità e nella giustizia, nella gioia e nella pace - quello che chiamiamo il Regno di Dio.

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