Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

mercoledì 3 settembre 2025

Settimana 22 Mercoledi (Anno 1)

Letture: Colossesi 1,1-8; Salmo 52; Luca 4,38-44

Nelle lettere di Paolo ci sono diversi passaggi in cui la struttura fondamentale della vita in Cristo è espressa in termini di fede, speranza e amore. Lo troviamo in modo particolarmente famoso alla fine del grande “inno all'amore” in 1 Corinzi 13 e di nuovo nei versetti iniziali della Prima Lettera ai Tessalonicesi. Lo ritroviamo ancora una volta nei primi versetti della Lettera ai Colossesi, dove Paolo e Timoteo rendono grazie per i membri di quella chiesa. Essi hanno già sentito parlare della fede dei Colossesi e dell'amore che essi nutrono per tutti i santi grazie alla speranza che è loro riservata in cielo.

Questi doni dello Spirito, che la tradizione successiva chiamerà “virtù teologali”, sono le disposizioni, gli atteggiamenti o i modi di comportarsi fondamentali che caratterizzano la persona cristiana. Li vediamo nella vita di Gesù stesso e anche in modo abbastanza chiaro nelle tre sezioni della lettura del Vangelo di oggi.

La preghiera è l'atto caratteristico della virtù della speranza, è così che la speranza si esprime tipicamente. Gli apostoli intercedettero presso Gesù per la suocera di Simone, egli li ascoltò e la guarì. In altre parole, essi pregarono Gesù, chiedendo il suo aiuto, ed egli li ascoltò. Il fulcro della speranza cristiana non è tanto il favore o l'aiuto richiesto, quanto la Persona alla quale il favore o l'aiuto è richiesto. E così è anche qui. Molte volte nei Vangeli Gesù incoraggia i suoi discepoli a pregare con semplicità, chiedendo ciò di cui hanno bisogno e ciò che desiderano. Devono diventare come bambini in questo, confidando che il Padre risponderà alle loro richieste. La speranza è anche la virtù dell'eterna giovinezza, poiché ci fa guardare con fiducia al futuro che verrà. La speranza ci apre a quel futuro, ci mantiene pronti alla novità e alla sorpresa, ci rende capaci di pregare.

La carità pastorale di Cristo si manifesta nel suo servizio alle persone nelle città e nei villaggi della Galilea, della Giudea e oltre. Essi accorrono a lui in massa, i malati, i turbati e gli afflitti. Egli è disponibile per loro, sempre pronto a rispondere alla loro chiamata anche quando questo lo allontana dalla preghiera o dal tempo di riposo con i discepoli. Non fa distinzioni, poiché l'amore non fa distinzioni, vedendo solo i figli bisognosi del Padre, i suoi fratelli e sorelle bisognosi.

Il suo compito principale è quello di predicare la buona novella del regno di Dio. Nel fare questo, li chiama alla fede, ad avere fiducia in Lui e nel Padre che lo ha mandato a predicare loro. Egli è il seminatore che esce a seminare il suo seme, a piantare tra loro la parola della verità, che mette radici, cresce e porta frutto non solo tra i suoi contemporanei, ma tra tutti coloro che sono giunti all'obbedienza della fede attraverso la predicazione della Chiesa.

Quindi la fede, la speranza e l'amore rimangono, queste tre cose. Esse ci uniscono a Cristo nella sua opera e nel suo rapporto con il Padre, doni o virtù che ci uniscono direttamente a Dio (da qui il nome di virtù “teologali”), che esprimono la vita dello Spirito che è stato riversato nei nostri cuori. Possa Dio rafforzare questi doni in tutti coloro che leggono queste parole oggi.

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