Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

giovedì 3 luglio 2025

San Tommaso Apostolo - 3 luglio

Letture: Efesini 2,19-22; Salmo 116; Giovanni 20,24-29

L'apostolo Tommaso va ringraziato non tanto per aver posto la domanda ragionevole - «vuoi che io creda senza prove? » - quanto per essere stato il primo cristiano a richiamare la nostra attenzione sulle ferite di Gesù. A volte si dice che il Vangelo di Giovanni è il più spirituale dei Vangeli, ma si potrebbe altrettanto facilmente definirlo il più fisico. Inizia dicendoci che il Verbo si è fatto carne e finisce raccontandoci della carnalità del Signore risorto, di quanto Egli sia una realtà fisica. Il momento in cui la sua carne viene aperta e trafitta dalla lancia del soldato è di grande significato: ne uscirono sangue e acqua, come può testimoniare chi ne fu testimone. Tommaso è invitato a ripercorrere il percorso della lancia.

Il corpo del Signore risorto è segnato dalle ferite della sua passione. Il danno che gli è stato fatto nel corso della sua vita e della sua morte, le cicatrici del suo lavoro, gli abusi a cui è stato sottoposto: tutto questo può guarire in qualche modo, è persino assunto nella glorificazione del suo corpo, ma sarà sempre lì, sarà sempre un dato di fatto della vita vissuta in questo corpo, della sofferenza che ha sopportato. La storia dell'esperienza di quel corpo in questo mondo è per sempre impressa nella sua carne. Tommaso ci aiuta a vedere che ci sono danni inflitti ai corpi che non possono essere riparati, che ci sono ferite, debolezze e imperfezioni che sono ancora visibili anche nella gloria della Resurrezione. Tommaso prepara Gesù a insegnarci che dalle sue ferite siamo guariti, perché nelle sue ferite Egli è glorioso.

Vulnera significa ferite, vulnerabilità è la capacità di essere feriti. I corpi che sono solo fantasia non possono essere feriti o colpiti in alcun modo, non possono essere toccati e non sono suscettibili alla sofferenza. Ma Gesù ha condiviso la sofferenza e la perseveranza che caratterizzano ogni vita umana. Questo è ciò di cui sono capaci i corpi: soffrire, sopportare, toccare ed essere toccati, influenzare ed essere influenzati. Questo è ciò di cui è gloriosamente capace il corpo glorificato di Gesù: toccare ed essere toccato, influenzare ed essere influenzato. In altre parole, nel suo corpo risorto, più che mai, egli è capace di amare.

Diventiamo esperti nel conoscere le vulnerabilità degli altri e più condividiamo intimamente la vita, più diventiamo esperti in questo. Possiamo sfruttare e abusare degli altri, approfittando della loro vulnerabilità. Ma è nelle ferite e nella debolezza, nei limiti e nelle imperfezioni che l'opera della grazia si vede più chiaramente. I discepoli lo capirono presto, Paolo in modo particolarmente evidente, che quando siamo deboli siamo forti, che la grazia di Dio è sufficiente per la nostra debolezza, che la debolezza di Dio è più potente della forza umana e la sua follia più saggia della saggezza umana. I santi che ci sono più utili non sono quelli perfetti come in Photoshop, che proiettiamo in un luogo di perfezione sovrumana. I santi che ci sono più utili sono quelli in cui vediamo la grazia di Dio risplendere gloriosamente attraverso la debolezza umana, in primo luogo gli stessi apostoli nella loro fragilità e vulnerabilità, Pietro che vacilla e Tommaso il dubbioso.

Dobbiamo quindi guardare alle ferite di Nostro Signore e anche alle nostre ferite. Sono luoghi di sofferenza, ma questo significa che sono luoghi che sollecitano l'amore, perché amare è essere vulnerabili, toccabili, aperti alla condivisione delle sofferenze altrui. Il corpo del Signore risorto è il corpo più bello, glorioso, affascinante e seducente del creato. E lo è perché nella risurrezione rimane un corpo capace di respirare e di vivere, capace di toccare e di amare. Noi non adoriamo idoli morti, per quanto belli possano sembrare. Adoriamo il Dio vivo e vero che condivide la nostra debolezza affinché noi (anche nella nostra carne) possiamo condividere la sua gloria.

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