Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

domenica 27 luglio 2025

SETTIMANA 17 DOMENICA (ANNO C)

Letture: Genesi 18,20-32; Salmo 138; Colossesi 2,12-14; Luca 11,1-13

La preghiera è molto semplice: significa chiedere qualcosa a qualcuno. Il motivo per cui una persona prega varia a seconda del rapporto che ha con colui al quale si rivolge. Se si tratta di un rapporto d'affari o professionale, è possibile una certa libertà nel chiedere qualcosa, ma entro limiti ben precisi. Ne abbiamo un esempio nella prima lettura di oggi, in cui Abramo contratta con Dio. Si tratta di un rapporto d'affari o professionale, ma in un contesto orientale, dove è possibile un maggior grado di libertà. Infatti, come sanno bene coloro che hanno visitato i bazar di quelle parti del mondo, è normale contrattare. Parte del carattere di una vendita nelle strade di Gerusalemme, ad esempio, è entrare nel negozio, rifiutare il primo prezzo offerto, magari bere un tè e poi contrattare un po' con il venditore, in modo che entrambe le parti abbiano la sensazione di aver guadagnato qualcosa.

Questa è solo una rozza analogia con Abramo che contratta con Dio. La posta in gioco è alta: il destino del popolo di Sodoma e Gomorra. Abramo fa appello alla giustizia di Dio: «Non dovrebbe il giudice di tutto il mondo agire con giustizia?». Certo, potremmo dire, e sembra che Dio sia disposto a scendere a patti anche per una sola persona giusta, ma la contrattazione si ferma a dieci e questo è l'accordo su cui Abramo e Dio si separano.

Il Vangelo ci offre tre insegnamenti correlati sulla preghiera. Il primo è il Padre Nostro nella versione di Luca, più breve di quella di Matteo, e dato in risposta alla richiesta dei discepoli: «Insegnaci a pregare». Presumibilmente avevano già pregato in precedenza, ma ora, avendo visto Gesù in preghiera, vogliono farlo come lui. La preghiera che egli insegna loro, secondo alcuni studiosi, è semplicemente un brillante riassunto delle preghiere di Israele. Tutte le diverse intenzioni espresse nei salmi - supplica, ringraziamento, lode, lamentazione - sono elencate nelle frasi del Padre Nostro. È come se Gesù dicesse: «Pregate Dio sulla base del rapporto consolidato tra Dio e voi, dell'alleanza che Dio ha stretto e rinnovato con i vostri padri».

Il secondo insegnamento sposta l'accento sull'amicizia: forse questa è la relazione migliore su cui basare la pratica della preghiera. Sembra chiaro che gli amici si daranno reciprocamente ciò di cui hanno bisogno, ma ci possono essere dei limiti alla loro generosità o la richiesta può essere irragionevole, come in questo caso. Ma allora la perseveranza dovrebbe essere sufficiente per superare quei limiti e l'amico, infastidito o vergognandosi, finirà per darti ciò che vuoi, anche solo per avere un po' di pace dal tuo tormento.

Il terzo insegnamento sulla preghiera ci riporta a casa, potremmo dire, almeno per quanto riguarda la comprensione cristiana della preghiera. Dobbiamo pensare a Dio come a un “Padre”. Riflettiamo quindi su questo rapporto, sul bambino che chiede qualcosa al padre, e poi vediamo quali limiti potrebbero esserci alla preghiera su questa base. Il padre non ingannerà il figlio né gli darà qualcosa di dannoso. È la prima parola della preghiera che Gesù insegna ai suoi discepoli: “Padre”. Non è l'“Abba” di Marco, dei Romani e dei Galati, ma è abbastanza simile, evocando un rapporto di fiducia e intimità.

E ora tutti i limiti sono annullati (il termine è tratto dalla seconda lettura, Colossesi 2). Il Padre è ora pronto a dare doni che vanno oltre qualsiasi cosa i figli possano chiedere: “Se voi, che siete malvagi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono”. Come potremmo sapere cosa chiedere se chiedessimo lo Spirito Santo? Abbiamo bisogno dello stesso Spirito, ci dice Paolo, se vogliamo cominciare a comprendere i doni che Dio ci ha fatto.

Ci troviamo quindi in una relazione radicalmente nuova, non limitata da norme di giustizia, ma in cui la misericordia e la grazia anticipano sia le esigenze della giustizia che i limiti delle nostre richieste. Anche quando eravate morti, egli vi ha dato la vita, dice Paolo nella seconda lettura, annullando il vincolo che ci legava a lui, inchiodandolo alla croce.

Quindi siamo destinatari prima ancora di essere richiedenti. Abbiamo i nostri bisogni, i nostri desideri e le nostre speranze; le nostre preoccupazioni, le nostre tristezze e le nostre delusioni; e siamo incoraggiati a parlare con Dio di tutto questo. Ma i doni di Dio hanno preceduto tutto questo, sono venuti prima delle nostre preghiere. Passiamo la nostra vita cercando di comprendere i doni che abbiamo ricevuto. Gli occhi della fede ci rivelano che viviamo in un mondo dove non ci sono limiti alla misericordia e alla bontà; dove chiunque chiede riceve, chiunque cerca trova, chiunque bussa gli viene aperto. Il Padre è sempre pronto a darci lo Spirito Santo, un dono che anticipa la nostra richiesta, poiché è solo nella forza dello stesso Spirito che possiamo chiamare Dio “Padre” o chiamare Gesù “Signore”.

La preghiera è molto semplice: significa chiedere qualcosa a qualcuno. Il fondamento su cui si basa la preghiera varia a seconda del rapporto tra chi prega e colui al quale si rivolge. Adottati come figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle di Gesù, destinatari dello Spirito che ci permette di dire «Abba, Padre», perché mai dovremmo esitare a pregare? Perché tirarci indietro dal chiedere, dal cercare, dal bussare? Perché dubitare che il Padre celeste sia pronto, sta aspettando, a donare lo Spirito Santo a chi glielo chiede?

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