Letture: Genesi 41,55-57; 42,5-7, 17-24; Salmo 33; Matteo 10,1-7
La storia di Giuseppe, venduto in Egitto dai suoi fratelli, ma poi elevato a una posizione di estrema importanza nel governo di quel paese, in grado di salvare la sua famiglia dalla carestia e infine riconciliarsi con loro, rimane una delle storie bibliche più popolari. Basta ricordare il successo del musical di Lloyd-Webber Joseph and The Amazing Technicolour Dreamcoat per rendersi conto di quanto questa storia sia ancora popolare.
Ma sebbene si tratti di una storia tratta dalla Bibbia, in essa vi sono pochissimi riferimenti a Dio. È in netto contrasto con ciò che leggiamo degli altri patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, o più tardi di Mosè e Davide. Nella loro vita Dio era molto più direttamente e costantemente coinvolto, parlando e discutendo con loro, organizzando le cose e chiedendo loro di fare ciò che avrebbe garantito la loro perseveranza nel rapporto con Lui. Nel caso di Giuseppe, la vita è più simile a quella che viviamo noi ogni giorno, dominata dalle normali interazioni e necessità umane, con la fede, sì, nella provvidenza di Dio per il popolo, che viene riconosciuta di tanto in tanto, ma per la maggior parte del tempo si va avanti con i compiti e le esigenze di ogni giorno.
Questo riferimento occasionale a Dio nel racconto su Giuseppe non deve però ingannarci. Essendo oggi, insieme alla lettura del Vangelo in cui sentiamo parlare della chiamata degli apostoli, ci invita a confrontare Giuseppe e Gesù nella loro responsabilità e cura per il popolo. I dodici apostoli sono i patriarchi del nuovo Israele, dove i dodici figli di Giacobbe erano i patriarchi del primo Israele. Proprio come Giuseppe finisce per essere colui che dà il pane che nutre e sostiene il popolo di Dio - e garantisce così la continuazione dell'alleanza - Gesù è colui che dà il pane che nutre e sostiene la Chiesa, il nuovo Israele.
È sorprendente che il Nuovo Testamento non faccia riferimento a questo dono del pane da parte di Giuseppe in Egitto, ma è un collegamento che possiamo fare. Giuseppe è diventato infatti una sorta di salvatore del mondo per la sua capacità di distribuire cibo a tutti in un momento di carestia universale. Gesù è il vero salvatore del mondo per la sua capacità di dare la vita al mondo attraverso il sacrificio del suo corpo e del suo sangue, il pane e il vino spezzati e versati affinché tutti possano vivere.
Gli apostoli sono chiamati a partecipare a questa missione di Gesù, ad essere suoi assistenti e collaboratori nella distribuzione dei doni di Dio al popolo. In questo sono simili a Giuseppe. Molti di noi hanno il privilegio di partecipare ogni giorno al pasto eucaristico, mangiando il corpo e bevendo il sangue di Cristo per la vita delle nostre anime e per la vita di fede che siamo chiamati a condividere con gli altri. Ma anche se non abbiamo questo privilegio, riceviamo ogni giorno i doni di Dio nel cibo ordinario. Di solito oggi lo diamo per scontato e Dio appare esplicitamente raramente come nelle storie su Giuseppe. Ma questo non significa che non sia presente, che non ci nutra non solo nel sacramento, ma anche nel cibo e nella bevanda ordinari per i quali rendiamo grazie e che riceviamo come segni della sua cura continua. Egli ci nutre costantemente anche attraverso l'insegnamento della Chiesa, in cui nutre le nostre menti e i nostri cuori, rafforzando in noi la vita di fede, speranza e amore, che è la nostra vera vita nascosta con Cristo in Dio.
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