La Lettera di San Giacomo viene in mente quando si pensa alla vita della comunità. Inevitabilmente i giovani che vengono a cercare i Dominicani parlano della vita della comunità come di una delle cose che vogliono, una delle cose che li attrae verso il nostro modo di vivere. Ma sappiamo dall'esperienza che la vita comunitaria diventa spesso problematica in seguito, alcuni arrivano al punto di trovarla pesante, inutile e un peso che sembra non valga la pena portare. La Lettera di Giacomo parla di questo, di persone che credono in Cristo che cercano di vivere insieme e delle difficoltà che essi sperimentano. Ha molti commenti relativi alla vita della comunità nella sua discussione sui vizi e sulle virtù, sulla rabbia e sulla parzialità, sul controllo della lingua, sulla gelosia e sull'ambizione. È una lettera molto pratica.
Giacomo punta il dito sugli atteggiamenti e le disposizioni che rendono difficile la vita. Le persone si sentono solitamente sollevate quando ricevono una "diagnosi" per un problema anche prima di sapere se ci sia un trattamento per esso e che cosa il trattamento potrebbe comportare. Capire dove nascano i problemi, e innanzitutto perché ci siano problemi, è già una crescita nella saggezza. Giacomo fa questo per noi. La lettera appartiene fermamente alle tradizioni ebraiche di sapienza pratica, basandosi sulla letteratura sapienziale e profetica dell'Antico Testamento. Ciò la avvicina a gran parte del più antico materiale evangelico. Il suo insegnamento è simile a quello che troviamo in Matteo e Luca, sulle beatitudini e i guai, sugli atteggiamenti nei confronti della legge, sul non giudicare gli altri, sulla preghiera, il pericolo delle ricchezze e così via.
Giacomo è molto chiaro sul fatto che i problemi nelle comunità nascono come conseguenza di problemi all'interno degli individui: 4,1ss. Quindi non troviamo qui un'analisi marxista, che consideri i problemi come originati dai sistemi o dalle strutture o dall'uso di potere di altre persone, ma piuttosto un'analisi spirituale e persino psicologica, che vede come i problemi di convivenza derivino da conflitti interni all'individuo. Ecco perché il desiderio è una preoccupazione centrale nella lettera. Si riferisce non solo alla voglia, ma ad "avere" in generale, e a "volere" in generale, a quel tipo di avere e di volere che può essere realizzato solo a scapito degli altri. "Dove c'è invidia e contesa, c'è disordine", dice in 3,16. Ecco quando le cose vanno male. Secondo il linguaggio dell'Antico Testamento, è stoltezza, che si manifesta come amara gelosia e ambizione egoista. Voglio avere - ma il mio volere avere scatena in me queste cose negative: la gelosia e l'ambizione. La sua analisi sembra anticipare il genere di cose di cui parla René Girard nella sua analisi del desiderio e delle sue conseguenze distruttive per le società umane.
C'è, comunque, anche un livello "socio-politico" nell'analisi che troviamo in Giacomo. Parla del pericolo delle ricchezze e del potere, del modo in cui ci comportiamo con i ricchi e potenti e il modo in cui ci comportiamo con i poveri e gli umili. C'è anche la possibilità che rispondiamo in modo diverso a persone pulite, ordinate e ben vestite, a persone sporche, disordinate e maleodoranti. Ci scopriremo a reagire diversamente di fronte a persone che il mondo ha deciso che sono importanti e di fronte a coloro che ha deciso che non sono importanti. Possiamo tradurlo nei nostri rapporti tra le famiglie e le comunità: chi conta? Qual è l'ordine gerarchico?
Quindi cosa fare? La preghiera è una delle cose da fare e Giacomo parla di questo parecchie volte per essere una lettera così breve e non solo nel celebre passaggio che la Chiesa vede come l'istituzione del sacramento dell'unzione, la preghiera di fede per il malato. E c'è una svolta interessante perché Giacomo ci avverte che possiamo anche mettere la nostra preghiera al servizio del nostro desiderio. Potresti dire: "Beh, non è quello che dobbiamo fare?" Tommaso d'Aquino definisce la preghiera come "l'interprete del desiderio". Ma Giacomo dice: "Domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri" (4,3). Le passioni di cui ha appena parlato sono gelosie e ambizioni, quindi dobbiamo fare attenzione a non cercare di mettere la nostra preghiera al servizio di queste.
Mentre leggiamo la lettera probabilmente ci ritroveremo a desiderare che Giacomo sia più cristiano - che dica qualcosa su Cristo, sull'amore e sulla grazia. Non dice molto di Cristo, menziona l'amore per il prossimo come la "legge regale" e ripete i passaggi dell'Antico Testamento che dicono che Dio dona la sua grazia agli umili.
Per uno che parla molto della misericordia, la sua analisi è abbastanza spietata. Egli inventa una parola per i suoi lettori - tu sei dipsuchos, dice, di animo doppio, diviso, il tuo desiderio è frammentato e qui è la radice dei tuoi problemi. "Soprattutto", dice in 5,12, e ci aspettiamo qualcosa di grande dopo tutto questo, "soprattutto, non giurate né per il cielo, né per la terra, né con altro giuramento; ma il vostro sì, sia sì, e il vostro no, sia no'. È un po' deludente dopo il comando ("soprattutto"), ma il mondo sarebbe trasformato e la nostra vita comunitaria migliorata notevolmente se usassimo le nostre lingue con la cura che Giacomo raccomanda e se quando parliamo lo facessimo con l'integrità e la franchezza cui egli esorta.
Anche se non trova il tempo di indicare soluzioni chiaramente come altri moralisti del Nuovo Testamento (Paolo, 1 Pietro), Giacomo individua brillantemente i problemi della vita comunitaria e ci ricorda la necessità di mettere la nostra fiducia nella grazia di Dio (Giacomo 4,7a, 8,10).
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