Letture: Atti 8,1b-8; Salmo 66; Giovanni 6,35-40
Non è la prima volta che sentiamo parlare di eventi esterni che, nonostante se stessi e persino contrariamente al loro scopo esplicito, favoriscono la diffusione del Vangelo. Che si tratti di persecuzioni, come in questo caso, o di resistenza e indifferenza, di discussioni tra gli stessi predicatori, o della necessità di riprendersi da un incontro doloroso, sono molti i fattori esterni che determinano grandi progressi nella predicazione del Vangelo. Dispersi a causa della persecuzione scoppiata a Gerusalemme dopo il martirio di Stefano, una persecuzione il cui promotore più energico è Saulo, i predicatori cristiani si recano in diverse parti della Terra Santa e così adempiono la seconda parte della profezia fatta da Gesù all'inizio degli Atti: «sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (1,8).
Parte della predicazione originaria degli apostoli è che anche le decisioni e le azioni dei nemici di Gesù sono state utilizzate da Dio per realizzare il disegno che era sempre stato nelle sue intenzioni. Egli ha mandato il Figlio nel mondo perché lo amava tanto, affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Il Figlio non perderà nulla di ciò che gli è stato affidato, ma lo risusciterà nell'ultimo giorno. Questi disegni divini si realizzano attraverso gli eventi della passione e della morte di Gesù, che sembravano porre fine alla sua missione e che erano stati progettati dagli agenti umani proprio a questo scopo, ma che in realtà erano i mezzi usati da Dio per portare a compimento quella missione.
Così, alcune parti di Giovanni 6, come il brano che ascoltiamo oggi, possono sembrare riferirsi non solo all'Eucaristia, ma all'intero evento della nascita, del ministero, della morte e della risurrezione di Gesù. Questo è giusto, perché l'Eucaristia contiene tutto il mistero dell'Incarnazione. L'Eucaristia è, come dice il Concilio Vaticano II, «fonte e culmine della vita cristiana», da cui tutto scaturisce e a cui tutto converge. Uno scrittore precedente, commentando Giovanni 6, lo esprime in questo modo:
«Anche se fosse vero che questo capitolo [Giovanni 6] non si riferisce all'Eucaristia ma all'intera opera di Cristo, la cui Incarnazione nutre le anime degli uomini, esso mostra comunque il posto dell'Eucaristia nel cristianesimo con la stessa forza che avrebbe se il suo riferimento fosse più direttamente eucaristico. Infatti, il linguaggio del «pane» e del «mangiare», del «sangue» e del «bere» è il linguaggio eucaristico del cristiano, ed esprimere l'Incarnazione con il linguaggio dell'Eucaristia significa sottolineare l'importanza del rito con la stessa enfasi con cui esprimere l'Eucaristia in termini di Incarnazione» (A.M. Ramsey, The Gospel and the Catholic Church, New York 1936, p. 106).
Nel suo commento a Giovanni 6, Tommaso d'Aquino dice cose simili. Come egli afferma in modo più succinto nella sua antifona per la festa del Corpus Domini, nell'Eucaristia riceviamo tutto il mistero di Cristo, rinnoviamo la memoria della sua passione, le nostre anime sono piene di grazia e riceviamo una garanzia di gloria eterna. In altre parole, tutta l'opera dell'Incarnazione è contenuta nell'Eucaristia: il Verbo che si fa carne per rivelarci il Padre, il Figlio mandato dal Padre per essere il sacrificio che toglie i nostri peccati, il Signore risorto riconosciuto nello spezzare il pane. Tutto questo è contenuto nell'Eucaristia, agli occhi degli uomini un semplice e abituale rituale di letture, preghiere e gesti, ma per chi crede il sacro banchetto in cui ci nutriamo di Gesù, nostro pane di vita e nostro pane vivo.
Nessun commento:
Posta un commento