Letture: Atti 14,5-18; Salmo 115; Giovanni 14,21-26
Paolo e Barnaba vivono un'esperienza altalenante mentre viaggiano per l'Asia Minore predicando il Vangelo. In un momento rischiano di essere lapidati e si danno alla fuga. In quello successivo rischiano di essere divinizzati, mentre la gente si prepara a sacrificare animali in loro onore. L'irruzione del sacro genera paura e stupore, spingendo gli esseri umani a cercare di espellere la causa di tali sentimenti o di includerla in qualche modo nel loro modo di pensare e di vivere.
La fede (che Paolo vede nell'uomo paralizzato) è una porta, un'apertura, una visione su un altro paesaggio, ma che rimane in gran parte oscuro e misterioso. («Ora vedo come in uno specchio, in modo confuso»). Alcune manifestazioni della fede ci incoraggiano ad accoglierla, ad accoglierla e ad abbracciarla: la guarigione di un paralitico, per esempio. In altri momenti vorremo allontanarci da questa chiamata alla fede e respingerla: quando ci mostra come uomini e donne paralizzati, per esempio, e ci spinge a ristrutturare il nostro mondo e a rivedere radicalmente il nostro modo di pensare e di vivere.
Tutto questo accade con la predicazione del Vangelo: gli storpi saltano in piedi e camminano, mentre le convinzioni morali e dottrinali consolidate di ebrei e gentili vengono relativizzate e viene chiesto loro di aprirsi a una nuova realtà. Viene loro detto di alzarsi, di scrollarsi di dosso una paralisi di cui forse non erano consapevoli, e di camminare in un modo nuovo.
Gesù parla di questa nuova realtà, di questo nuovo modo di camminare, nel Vangelo di oggi. Prima e ultima è l'amore, l'amore per la sua parola, un amore ricambiato perché non ha origine nel credente ma in colui che pronuncia quella parola («questo è l'amore di cui parlo, non il nostro amore per Dio, ma l'amore di Dio per noi»). Colui che ci pronuncia quella parola è Gesù, che ci insegna però che la parola che pronuncia non ha origine in se stesso, ma nel Padre che lo ha mandato. Insieme ameranno coloro che osservano la loro parola, verranno e dimoreranno con loro.
Ora Gesù rivela di più, insegnandoci che questa parola sarà portata avanti da un altro avvocato, un altro che sarà mandato dal Padre e da Gesù restituito al Padre. Questo è lo Spirito Santo, la potenza dell'amore che dimora in coloro che credono per garantire che siano pienamente istruiti, che ricordino la pienezza della parola del Signore.
È l'irruzione del santo promesso dalla predicazione del Vangelo. «Irruzione» sembra una parola troppo violenta per questo evento, questa venuta del Padre, del Verbo e dello Spirito per dimorare in noi, per fare la loro casa in noi, per rimanere (che bella parola!), per consolidare in noi la parola che è amore che è Dio. La tradizione cristiana ne parlerà come della dimora delle Persone della Santissima Trinità o addirittura come della partecipazione dell'essere umano alla natura divina. (Quindi i Licaoni che volevano adorare Paolo e Barnaba non avevano del tutto torto, anche se la loro comprensione era ancora piuttosto distorta!
Lapideremo coloro che portano questo messaggio della dimora di Dio nel cuore degli uomini? Ne saremo così presi da trattare i suoi portatori come guru, forse addirittura come dei? Potremmo pensare di essere al di là di entrambe queste reazioni primitive. Più probabilmente, allora, in noi sarebbe più facile considerarla una cosa da poco, già alla nostra portata, trattarla con un'indifferenza nata dalla familiarità.
Dobbiamo confidare che la parola del Padre, pronunciata da Gesù e ripetuta nei secoli dallo Spirito Santo nella Chiesa, troverà il modo di ricordarci la sua presenza, la sua promessa, la sua chiamata. È un processo delicato, perché è un richiamo a noi e in noi da parte di Dio che è infinitamente santo. Come accoglieremo un approccio così intimo e profondo? A volte potremmo volerlo respingere e voltargli le spalle. A volte potremmo volerlo usare per i nostri scopi.
Mentre ci avviciniamo alla Pentecoste, preghiamo di poter rimanere aperti alla venuta dello Spirito, desiderosi di ascoltare la parola nella sua pienezza, pronti ad entrare più profondamente nel suo significato, disposti ai cambiamenti radicali che la parola promette. Non abbiate paura, dice il Signore, bussando alla nostra porta, venite con intenzioni oneste, affinché, osservando la sua parola, possiamo rimanere nel suo amore, affinché lui con il Padre e lo Spirito Santo dimori in noi e noi abbiamo la vita, una pienezza di vita ancora inimmaginabile.
La paura ci mette in guardia da ciò che potremmo perdere. L'amore ci insegna che ciò che potremmo perdere non è nulla in confronto ai doni che ci attendono.
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