Letture: Esodo 40,16-21.34-38; Salmo 84; Matteo 13,47-53
Potremmo sorridere dell'apparente ingenuità dei discepoli nella loro risposta a Gesù (forse anche lui sorrideva). «Capite tutte queste cose?», chiede loro. «Sì», rispondono con quello che sembra entusiasmo. Tutte queste cose? Sì! Conosciamo bene la loro tendenza a fraintendere gli insegnamenti di Gesù. Sappiamo anche che non hanno davvero idea di cosa li aspetti, né per Gesù né per loro stessi.
Forse intendono dire «capiamo la parabola»: riguarda il giudizio finale, gli angeli che separano i buoni dai cattivi. Non è forse un bene che siano gli angeli e non gli esseri umani a fare questa distinzione? Forse vedono questo punto. Ci sarà più speranza che sia un giudizio senza pregiudizi, più giusto di quanto potremmo fare noi, più obiettivo.
La prima lettura parla di un momento di tranquillità nella comprensione del popolo di Dio mentre attraversa il deserto. Durante il viaggio Dio è con loro, guida le cose. La Tenda e la Dimora significano che Egli è presente, la sua gloria riempie quello spazio, essi sanno che Egli è con loro nella nuvola di giorno e nel fuoco visibile di notte. Per ora non ci sono lamenti, né lamentele.
È forse che il popolo eletto, come i discepoli, è giunto a «comprendere tutte queste cose» (rappresentate dai dieci comandamenti posti nell'arca e dalla parabola del giudizio nel Vangelo)? Entrambi i gruppi potrebbero sentirsi di dire «sì, comprendiamo». Ma nel caso degli Ebrei sappiamo bene che non è così, e non solo perché lo leggiamo. Lo sappiamo per esperienza propria. Presto saranno nuovamente oppressi dalla stanchezza e dalla fame, dalle paure e dalle ansie.
In un certo senso anche noi comprendiamo tutto questo: Dio è sempre con noi, Dio guida sempre le cose, Dio è amore e l'azione di Dio è sempre creativa, quindi tutto andrà bene e ogni cosa andrà bene. Anche il peccato è necessario, come dice Giuliana di Norwich, ha il suo strano posto nel testimoniare la misericordia di Dio. In linea di principio lo sappiamo e ci atteniamo a questo con fede. Ma ci sono momenti in cui perdiamo la consapevolezza di ciò, una consapevolezza che in altri momenti può essere così forte in noi.
A dire il vero, abbiamo bisogno di perdere quella consapevolezza di tanto in tanto. A dire il vero, non abbiamo ancora compreso tutto ciò che Dio vuole rivelarci di sé, né comprendiamo tutto del nostro posto nel suo piano. Potremmo addirittura voler confinare Dio nella Sua Tenda. Il “tutto” che pensiamo di capire potrebbe essere semplicemente il “basta” che riusciamo a gestire. Ma Dio è sempre davanti a noi, ci guida verso nuovi luoghi e nuove esperienze, ci chiama ad affrontare nuove sfide e nuove possibilità.
Così il vecchio ci conforta, anche nel suo mix di bene e male, successo e fallimento, forza e debolezza. Sappiamo dove siamo. I problemi degli individui, delle famiglie, delle comunità e delle istituzioni persistono finché durano – a volte per molti anni – perché ci abituiamo ai nostri vecchi problemi. Certo, li lamentiamo e ci lamentiamo, ma ci sono familiari, abbiamo trovato il modo di conviverci e, in fondo, siamo contenti che rimangano, perché chi lo sa quali nuovi problemi potrebbero arrivare con il cambiamento? Meglio il male che conosciamo che quello che non conosciamo, dicono.
Ma Dio, Creatore di tutte le cose, Signore degli Ebrei, Padre di Gesù, è sempre antico e sempre nuovo. È sempre con noi. Ma se vogliamo rimanere con Lui, dobbiamo essere pronti a muoverci con Lui, a smontare la nostra tenda e ad andare avanti. La saggezza significa certamente apprezzare ciò che è buono in ciò che è vecchio, ma significa anche essere pronti a seguirLo lungo nuovi sentieri. Poiché Dio è «Io sono colui che sono», Colui che sarà con noi, possiamo essere certi che la cosa nuova che sta costruendo significherà, alla fine, una rivelazione più piena della sua gloria e una gioia più profonda e una pienezza di vita per noi.
Comprendiamo tutte queste cose? Certo che no. Ma non rinunciamo al cammino. Continuiamo a seguire dove Egli ci conduce, perché Egli è sempre con noi.