Sant'Agostino di Ippona (354 - 430)
Come domenicani, nella nostra formula di professione menzioniamo tre santi: Maria, Domenico e Agostino. Naturalmente, se il provinciale in carica o il Maestro dell'Ordine è un santo, ne menzioniamo uno o due in più, ma è improbabile che saremo ancora in vita per vederli elevati alla gloria dell'altare.
Professiamo secondo la regola del beato Agostino. È la prima parte del contratto che stipuliamo tra noi nell'Ordine, per vivere insieme secondo questa regola, una delle più brevi tra le regole monastiche e quella scelta da san Domenico per la sua nuova comunità di fratelli. Proprio come Agostino, come qualcuno ha detto, «supera tutti gli altri teologi nella coerenza e nella chiarezza con cui pone la caritas, l'amore, al centro della vita cristiana, così anche tutta la vita della comunità religiosa che vive secondo la sua regola deve essere espressione vivente dell'amore cristiano».
L'amore che rimane per sempre deve prevalere in tutto, dice la Regola nel suo quinto capitolo. L'affermazione iniziale della Regola – almeno nell'edizione latina delle nostre Costituzioni: nella recente traduzione inglese questa prima frase è scomparsa – è che prima di ogni altra cosa dobbiamo amare Dio e poi il prossimo, perché questi sono i comandamenti principali che ci sono stati dati. Quindi la prima cosa che la nostra regola ci chiede non è altro, né più né meno, che l'osservanza del grande comandamento in cui Gesù ha riassunto tutta la legge.
La teologia morale di Agostino è incentrata sulla carità, sull'amore. La sua comprensione delle virtù cardinali di prudenza, giustizia, temperanza e fortezza è che esse sono espressioni diverse dell'amore. In situazioni e circostanze diverse, ciò che si chiede all'amore è che sia giusto o temperato, prudente o coraggioso, ma in fondo è sempre amore. È come se si schierasse con Socrate nel concordare che esiste una virtù fondamentale a cui tutte le altre possono essere ridotte: la saggezza per Socrate, ora battezzata per diventare caritas o amore per Sant'Agostino.
Nel suo commento alla prima lettera di Giovanni, Agostino a un certo punto dice: «Ama e fa' ciò che vuoi». A volte si presume che egli abbia detto «ama Dio e fa' ciò che vuoi», ma in realtà egli dice «ama e fa' ciò che vuoi». Naturalmente egli intendeva dire che chi ama veramente deve finire per amare Dio e il prossimo. «Lascia che l'amore abbia radice in te» è il modo in cui conclude questa sezione della sua omelia (In I Giovanni VII, 8), «e da quella radice non potrà scaturire altro che il bene». Poiché san Giovanni dice nella sua prima lettera che Dio è amore, Agostino concluse che l'amore è la guida più sicura e il criterio più affidabile per noi che cerchiamo di seguire Cristo. Era convinto che l'amore nel vero senso della parola viene da Dio e conduce a Dio.
Fu la loro vita d'amore che colpì Agostino quando visitò le comunità religiose cristiane poco dopo la sua conversione. Egli scrive di loro:
Lì si pratica l'amore prima di ogni altra cosa. È la norma per il cibo e il parlare, per il vestire e per tutto il comportamento. Tutti sono uniti in un unico amore, tutti respirano un unico amore. Un'offesa contro l'amore è considerata un'offesa contro Dio; tutto ciò che è contrario all'amore è rifiutato e scacciato; se qualcosa offende l'amore, non è permesso che rimanga nemmeno per un giorno. Essi sanno infatti che l'amore è così importante per Cristo e gli apostoli che, se manca, tutto il resto è vano, mentre se è presente, tutto il resto è perfetto (La vita cattolica, 33.7).
La regola secondo cui viviamo è molto pratica anche in materia di cibo e abbigliamento, lavoro e compagnia, e tutto al servizio dell'amore. Per Agostino l'amore è la regola della fede sia in materia di dottrina che in materia di pratica. Facendo eco a 1 Corinzi 13, egli dice:
Tutti possono firmarsi con il segno di Cristo, tutti possono rispondere Amen, tutti possono cantare Alleluia, tutti possono ricevere il battesimo ed entrare nella chiesa... la differenza tra i figli di Dio e i figli di Satana è solo l'amore. Chi possiede l'amore è nato da Dio. Chi non lo possiede non è nato da Dio... Senza di esso tutto il resto è inutile, qualunque cosa tu abbia; esso basta da solo, anche se non hai nient'altro (Sulla prima lettera di Giovanni 5,7).
Questo ci fa capire ancora più chiaramente ciò che Paolo insegna in 1 Corinzi 13: posso farmi il segno della croce, posso rispondere Amen e cantare Alleluia, posso ricevere il battesimo ed entrare in chiesa, posso persino prendere i voti religiosi e promettere di vivere secondo la regola del beato Agostino e gli istituti dei Frati Predicatori, ma se sono senza amore non guadagno nulla e non sono nulla.
Per quanto riguarda la dottrina, Agostino è altrettanto chiaro e coerente nel riferirsi al grande comandamento come alla regola della nostra fede. Nella sua opera Sulla dottrina cristiana, Agostino dice:
Se qualcuno pensa di aver compreso le divine Scritture, o una parte di esse, in modo tale che con tale comprensione non costruisce quel doppio amore per Dio e per il prossimo, non le ha ancora comprese (De Doctrina Christiana I, XXXVI, 40).
Ecco un primo principio dell'interpretazione biblica. Anche la lettera del Vangelo uccide, dice Agostino altrove, se non è presente in noi la grazia guaritrice della fede.
Quindi la prima cosa che fa la nostra Regola è rimandarci direttamente al Vangelo e al cuore del Vangelo. La nostra vita consiste nel crescere nell'amore di Dio e del prossimo. Siamo qui perché crediamo che questo è il luogo in cui siamo chiamati a seguire Cristo. Seguire Cristo significa amare Dio e il nostro prossimo. Ed è qui che dobbiamo praticarlo, farlo e migliorarci. Non è in un tempo futuro, in un'altra situazione, con persone diverse, che potremo crescere nella carità. È qui e ora, in questa comunità e con queste persone, che deve essere fatto, altrimenti non sarà fatto affatto.
La Regola di Sant'Agostino conclude:
Il Signore vi conceda la grazia di osservare tutte queste cose come amanti della bellezza spirituale, della buona vita che condividete insieme, ricca del buon profumo di Cristo, una vita non più da schiavi sotto una legge, ma da persone libere stabilite sotto la grazia.