Un regalo più grande non potevi farmi, uno zampillo d’acqua fresca dopo giorni e giorni in un deserto che sai bene quanto arido. Sarò all’altezza di questo dono, lo prometto a me stessa.
Etty Hillesum

Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!
Caterina da Siena

lunedì 25 agosto 2025

Settimana 21 Lunedi (Anno 1)

Letture: 1 Tessalonicesi 1,1-5.8b-10; Salmo 149; Matteo 23,13-22

Oggi iniziamo la lettura della Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi, il primo testo del Nuovo Testamento. Esistono certamente testi più antichi, nei Vangeli e in altri testi del Nuovo Testamento, ma questo è probabilmente il primo testo cristiano ad essere stato completato. Ci troviamo quindi all'inizio, mentre riceviamo il documento in cui il movimento cristiano si presenta per la prima volta alla storia in forma scritta.

È quindi ancora più sorprendente che il paragrafo iniziale ci offra una delle più belle sintesi dello stile di vita cristiano, i cui elementi più importanti sono qui identificati nelle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Paolo ne parla altrove, sia singolarmente, sia in coppia, sia in trio (il più famoso è 1 Corinzi 13,13), ma c'è una grande forza nel modo in cui descrive qui questi componenti essenziali della vita cristiana: l'opera della fede, il lavoro dell'amore, la fermezza della speranza.

Si tratta quindi di doni attivi, virtù in senso stretto, grazie che consentono a chi le riceve di mettersi all'opera per vivere questo nuovo modo di vivere: non solo pensare e parlare, ma agire in conformità con la chiamata che hanno ricevuto. Ciò richiede lavoro (ergon), fatica (kopos) e pazienza o perseveranza (hupomone). Le virtù della fede, della speranza e della carità che ci chiedono queste cose sono anche i doni attraverso i quali riceviamo l'energia necessaria per viverle.

Sono chiamate virtù "teologali" perché ci uniscono direttamente a Dio e hanno Dio solo come loro oggetto primario. Gesù ci chiama a questo nella lettura del Vangelo di oggi, criticando i farisei per aver abbassato il loro sguardo e aver dato a cose inferiori a Dio l'impegno e l'obbedienza che dovrebbero essere dati solo a Dio. È una tentazione costante dei sistemi religiosi quella di chiuderci in forme e pratiche particolari. Quando credere, sperare e amare Dio diventano troppo difficili da sostenere, ricadiamo nella religione, nelle forme e nelle pratiche che si occupano più o meno direttamente delle cose di Dio e che ci rassicurano che stiamo ancora andando bene. O almeno così sembra.

Le virtù teologali, invece, ci aprono in modi diversi a ciò che è trascendente, infinito ed eterno: vedere qualcosa del mistero ora rivelato in Cristo, sebbene nascosto prima dei secoli; affidarci a Cristo in ciò che insegna e promette riguardo a ciò che Dio ha preparato per noi; avventurarci nell'oceano dell'amore di Dio, che ha altezze e profondità oltre la nostra immaginazione. Sono vie di trascendenza, guardare a ciò che è oltre, vivere di ciò che deve ancora venire, amare come Gesù ha amato i suoi discepoli, «fino alla fine».

La grazia non è magia, e questo modo di vivere ci richiede impegno, fatica e perseveranza. Ciò che fa la grazia di Dio è rafforzarci nella fede, sostenerci nella speranza e renderci capaci di amare Dio e gli altri con il dono più grande di tutti, l'amore stesso di Dio riversato nei nostri cuori.

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